Black Mirror, la serie che analizza il nostro rapporto con la tecnologia ponendo l’accento sulle nostre debolezze, arriva alla sua quarta stagione e festeggia il secondo anno in scuderia Netflix con sei nuovi episodi pubblicati il 29 dicembre 2017, giusto per permettere a qualche addetto del settore di fare la battuta scontata sul fine anno col botto.
Black Mirror vive di una sorta di adorazione generale da parte del pubblico per la sua capacità di offrire spunti di riflessione su un probabile futuro (un “what-if” da incubo) e, soprattutto, perché osa essere disturbante, provocatoria e cruda. Divide gli spettatori con teorie, li unisce nell’odio verso gli stupidi aggeggi dai quali sono dipendenti esasperando le dipendenze hi-tech, permette loro di fare autocritica o di rannicchiarsi dondolando in un angolo dopo la visione di ogni episodio. Sette anni di distopie raccontate alternando poesia e violenza, metafore e racconti tanto verosimili quanto spaventosi, che culminano in una quarta stagione che non solo cambia le storie, ma anche il modo di raccontarle.
Violenza è la parola chiave del quarto giro sulla giostra di Black Mirror
Se nelle prime stagioni era “l’ambiente Black Mirror” a offrirci un continuum, con i suoi background asettici e i colori freddi, la quarta apre le porte della distopia con un episodio quasi totalmente estraneo a ciò a cui ci aveva abituati: USS Callister lancia un messaggio al telespettatore, rivisitando a modo suo l’effetto nostalgia degli anni ‘80, attingendo a piene mani da Star Trek e infilandoci anche una dose altissima di ironia, quasi inusuale per essere un episodio classico della serie. La prima è una puntata iconica perché coraggiosa e stramba, e che riflette lo stile di Netflix, tuttavia abbastanza debole a livello di trama: la grande assente è quella morale scolpita nella scala di grigi tipica di ogni episodio, che per anni ne ha rappresentato il tratto distintivo della serie.
Arkangel affronta il tema della famiglia con le psicosi di un neo-genitore e un sistema sperimentale che permette alla madre di controllare in maniera invasiva la figlia. Diretta da Jodie Foster, Arkangel riesce a far percepire l’assenza di dialogo dei protagonisti, a porre l’accento sulle ansie ed insicurezze di una madre e su come spesso piccole e impercettibili cose possano influenzare l’intero processo di crescita di un essere umano, regalandoci un dramma di tutto rispetto. Da far vedere ai genitori più apprensivi, sembra funzioni.
in questa stagione ci ritroviamo ad assistere a situazioni di pancia, scoprendo gli istinti primordiali e carnali dei protagonisti
Quando Black Mirror incontra la commedia romantica e vuole regalare agli spettatori una storia scalda cuore com’è stata San Junipero nel 2016, nasce Hang The DJ. Dall’intreccio tra la tecnologia mostrata nell’episodio – un Tinder futuristico che si preoccupa della vita sentimentale della gente a 360° gradi e un mondo in cui la sfera privata di una persona è gestita da un’Intelligenza Artificiale – emergono bellissimi spunti di riflessione e una storia godibilissima, anche se dal finale scontato. Tuttavia, come si dice spesso, l’importante è il viaggio e non la destinazione, e Hang The DJ diventa una carezza che ci consola dalla crudeltà di Crocodile, tra le più criticate a causa di un grande assente: il filone tecnologico che causa la psicosi del protagonista , tipica costruzione blackmirroriana. Il device utilizzato infatti, già protagonista di Orso Bianco della seconda stagione, non è direttamente la causa che innesca l’intera puntata, ma non per questo manca del tipico spirito di Black Mirror, anzi: l’episodio è costruito magnificamente, esplicitando tutta la violenza della serie (e soprattutto della stagione) e legando le due puntate sia tramite la tecnologia utilizzata, sia con un escamotage psicologico. Il risultato è un viaggio narrativo dove il raccogli-ricordi non è la causa della nostra disumanità ma diventa lo strumento con il quale la canalizziamo per punirne altre, in un loop di violenza e corto circuito di moralità.
La puntata finale contiene un numero spropositato di citazioni di tutta la serie
Black Museum esplora l’universo creato in sette anni, ispirandosi chiaramente agli speciali di Halloween dei Simpson (La Paura Fa Novanta), ricalcandone anche la verve recitativa e la linea tragicomica nella costruzione dell’episodio che, se possibile, la rende ancora più angosciante. La puntata finale di questa stagione contiene un numero spropositato di citazioni di tutta la serie e il museo diventa il contenitore perfetto per per salutare questa quarta fatica di Brooker.
La creatura di Charlie Brooker rimane una delle serie più angoscianti e crude perché riesce a parlare di noi con onestà
Tutto ciò che ci resta, in attesa di un’eventuale prossima stagione, è quel glitch con il logo della serie, che, scomparendo, lascia un vetro rotto e il nostro volto riflesso sullo schermo. Dannato Charlie Brooker!