Deathloop è sostanzialmente uno stiloso mistery game in soggettiva dove tutto avviene in funzione del loop perfetto
Le invasioni sono la ciliegina sulla torta perché rendono ancora più elettrica un’esperienza già coinvolgente di suo, ma ci permettono anche di parlare di un problema: l’IA dei nemici. Un classico sistema di allerta audio/visiva e ronde li contraddistingue, ma non risaltano per arguzia e intraprendenza ed è un peccato perché spiccano negativamente se paragonati alla cura riposta nel resto.
PECCATO PER L’IA DEI NEMICI NON PARTICOLARMENTE BRILLANTE

Durante il gioco ho cambiato approccio passando da Rambo a Lupin con agilità invidiabile. Non è codardia, ok?
Oltre alla personalizzazione, Arkane Lyon ha spinto forte anche su un altro suo cavallo di battaglia, quel design dei livelli che qui assurge a vette di maestria assolute. Ogni edificio o area non ha mai un solo punto d’accesso, volendo a ogni loop si può optare per un approccio differente e ciò riguarda anche la risoluzione di determinati enigmi/assassini, ma qui devo fermarmi altrimenti vi rovino le sorprese. Vi dico solo questo: ho completato il gioco al 55% e Julianna ha un sacco di sfide online da completare.
LA DURA VITA DELL’ARTISTA
Artisticamente Deathloop è delizioso, il colpo d’occhio di Blackreef è capace di conquistare non tanto per la qualità dei modelli o dell’effettistica, quanto per il conturbante intreccio tra i tanti minuziosi dettagli e una coerenza scenica che, sia negli esterni sia negli interni, in movimento rende persino di più. Prendendo a piene mani dallo stile retro-futurista anni ’60, Deathloop ci scaraventa tra i freddi vicoli di un’utopia volutamente ed esageratamente allucinante ma comunque convincente in cui ogni anfratto sembra dipinto a mano, quasi come se ogni elemento a schermo sia al suo posto perché qualcuno ce l’ha messo con meticolosa delicatezza. Che poi è proprio la stessa sensazione che ti attanaglia quando impugni il DualSense, quell’impressione di stringere tra le mani la concretizzazione di un’idea realizzata con indefesso amore per il proprio lavoro in qualche bottega artigianale. Come dimostra la dinamica soundtrack dalle sonorità sempre calzanti e all’occorrenza incalzanti, la produzione di Arkane Lyon è roba da artisti.
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