Di questi tempi si fa un gran parlare di videogiochi come medium adulto, e tra chi lo fa più spesso ci siamo sicuramente noi di TGM. Io per primo, da anni, vado combattendo contro mulini a vento di ogni sorta, cercando di convincere l’interlocutore di turno, che si tratti di un parente distratto o di un sottosegretario alla cultura, di quanto sia cresciuto il videogioco. Di come siano lontani i tempi di Pong, o anche solo di Pac-Man o DooM, che non si tratta più di semplici passatempi per disagiati che trasformano innocui ragazzini in asociali psicopatici. Non si è mai trattato di questo, intendiamoci, ma per molti – fino a qualche anno fa – era sicuramente così, e per alcuni di loro lo è ancora oggi. E per questo è sempre difficile far capire alla gente che i videogiochi sono diventati a tutti gli effetti veicoli privilegati di emozioni e di storie tanto quanto il cinema, i libri o la televisione.
i videogiochi sono a tutti gli effetti veicoli di emozioni e di storie tanto quanto il cinema, i libri o la televisione
Tutto vero. Tutto bello. Però. In questi giorni, a tempo più o meno perso, sto dedicandomi al nuovo DLC di
Forza Horizon 3 dedicato alle
Hot Wheels, e parallelamente al nuovo episodio di
Trackmania 2, Lagoon. Di entrambi avrò modo di scrivere in maggior dettaglio nei prossimi giorni, ma una cosa la posso già dire: mi sto divertendo come un pazzo. Ma tanto, proprio. Con
Hot Wheels in particolare, che mischia le macchine “vere” di Forza (compreso il loro accurato modello fisico) con le piste arancioni piene di trampolini, acceleratori, giri della morte e dinosauri pronti ad azzannare il primo che passa.
Si tratta, senza tanti giri di parole, della trasposizione su schermo di quello che la mia mente vedeva quando, da bambino, giocavo con le macchinine. Esattamente quella roba lì. Ed è bellissimo.

Il mio “inner child”, il bambino che vive ancora dentro di me, viene strattonato così forte da trovarsi praticamente costretto suo malgrado a tornare in superficie, facendosi strada a gomitate tra problemi di tutti i giorni, assilli da adulto e magagne della vecchiaia. Succede più o meno ogni volta che mi trovo un pad tra le mani e un volante virtuale da guidare, ma a questo giro mi ha colpito l’intensità della sua presenza.
Riuscire a far emergere il bambino che c’è in noi non è solo un fatto di gameplay
E badate bene, non si tratta affatto (o non solo) di gameplay divertente, coinvolgente e tutte quelle robe lì. Si tratta anche e soprattutto di
emozioni primordiali, elementari e semplici come possono essere solo quelle di un bambino, quasi inconsce. Ed è bello, insomma. Bello ogni tanto poter prendere in mano un pad e non pensare a niente, ma solo a svagarsi videoludicamente nella forma più pura e innocente possibile. Che per me possono essere le corse sulle piste delle macchinine, per voi sarà sicuramente altro. Tra discussioni alte sul videogioco come forma d’arte, come mezzo espressivo e tutto il resto, è salutare che ci sia ancora spazio per titoli che non hanno altro obiettivo se non regalare qualcosa di semplicemente, autenticamente divertente. Che poi, se uno ci pensa un po’ (ed ecco l’adulto che cerca di dire la sua, sempre), è anche questo un grande segno di maturità.