Devo fare pace con GTA (6) – L'Opinione

Su GTA 6 sono combattuto. Non ovviamente sul gioco in sé, di cui non sappiamo nulla e finché non esce non esiste, né sul “giocarlo o non giocarlo”, perché alla fine vuoi davvero non giocare una roba così tanto importante? No, in realtà sono combattuto perché non pubblicavano un gioco della serie da un sacco di tempo, da dieci anni, o se preferite da due generazioni e mezza fa. Nel frattempo, il mondo dei videogiochi è cambiato moltissimo, il mondo della critica è cambiato moltissimo e soprattutto io sono cambiato moltissimo.

L’ultimo GTA è uscito che avevo diciott’anni, in concomitanza con la fine della mia vita di ragazzino. La serie era stata per tutta la mia adolescenza quella dei giochi “da grandi”, quelli violenti, quelli aperti in cui si poteva “fare tutto”, e alla fine per lo più si sparava alla polizia e si picchiava la gente. Dopotutto quando sei un ragazzino non è semplice andare oltre la superficialità di certe cose, anche quando i temi ti vengono sbattuti in faccia, tipo negli infiniti monologhi filosofici e politici di Metal Gear Solid. Figurati in dei giochi in cui il messaggio è abbozzato, satirico, molto più adulto e difficile da cogliere rispetto a quell’etichetta di giochi-violenti-non-per-bambini che gli avevamo appioppato, noi e i telegiornali.

Di fatto era la serie del giocazzeggio, del free roaming estremo, del girare senza meta che in qualche modo finiva sempre a inseguimenti e sparatorie, ma anche delle palestre in cui pompare i muscoli, dei negozi in cui comprare i vestiti, dei graffiti, del tuning tamarro sulle auto. A chi importa della trama? Ricordo che avevo dieci anni o poco più e tutti nel quartiere giocavamo a San Andreas per decine di ore, ma non ce n’era uno che avesse davvero finito il gioco.

A CHI IMPORTA DELLA TRAMA?

Da questo punto di vista lo spin off di CJ era effettivamente il migliore della serie. Mi ricordo un successo di pubblico clamoroso, e in effetti ora spulciando tra le statistiche vedo che ha venduto più copie del capitolo seguente, nonostante la fama del brand GTA sia sempre cresciuta e nonostante quello dopo non fosse uno spin off. E la cosa non mi stupisce. In effetti è triste che di contro proprio il quarto capitolo sia forse il migliore della serie, nella sua coerenza tra messaggio narrativo ed esperienza di gioco, nel modo in cui taglia via molti fronzoli legati al giocazzeggio e si concentra su quello che voleva raccontare. E però noi ragazzini volevamo cazzeggiare e sparare, quindi meglio San Andreas e che importa del messaggio. Anzi, è peggio di così, perché il cazzeggio e la violenza diventano il messaggio stesso della serie, con buona pace delle intenzioni narrative. Ed è normale: sono i sistemi e le interazioni che esperiamo in un gioco a darci un messaggio molto più delle parole e le narrazioni passive che ci vengono propinate.

Ma nel 2013 la mia adolescenza volgeva al termine e per me GTA 5 è stato quasi una boa attorno a cui girare, uscito e divorato dopo aver superato il test d’ingresso per l’università, mentre aspettavo che cominciassero le lezioni e abbondavo di tempo libero. Ed è stato un capitolo in un certo senso democristiano rispetto al precedente. A guardarlo oggi raccontava con sagacia e la giusta dose di ironia vari aspetti della società americana e delle sue storture, come di consueto per la serie. Soprattutto lo faceva sfruttando i tre protagonisti, diversissimi tra loro per evidenziare le sfaccettature culturali e il dislivello sociale. Inoltre riusciva a sperimentare, proprio grazie a questi tre personaggi giocabili, e aggirare alcuni problemi peculiari degli open world, soprattutto a proposito della famigerata dissonanza ludonarrativa.

DIVENTARE ADULTI

Il fatto è che faceva tutto questo restando saldamente ancorato al suo spirito di giocazzeggio, non azzardandosi minimamente a rifare lo stesso “errore” del quarto capitolo, a darsi un tono più serioso. E già allora, in questo quinto, ci avevo visto degli spunti più adulti, che semplicemente non avevo visto nei precedenti perché ero un ragazzino. Nel mezzo ho recuperato pure Red Dead Redemption, e pur nella mia immaturità critica dell’epoca percepivo fosse qualcosa di più profondo del “GTA nel far west”.

Nonostante avessi comunque vent’anni o giù di lì, e alla fine il gioco l’avessi preso per sparare ai cowboy. Quel qualcosa in più, quel qualcosa di diverso che ho percepito in quel selvaggio west agli sgoccioli, lo aveva reso il mio preferito tra i giochi Rockstar nonostante non avessi perfettamente capito perché. Lo avrei capito non troppo tempo dopo.

Di fatto il loro primo gioco a cui ho giocato “da adulto” e con un po’ più di comprensione del linguaggio è stato il secondo Red Dead Redemption, che ho seguito con curiosità dai primi rumor e in effetti si è poi rivelato un gioco davvero epocale, di cui forse parliamo anche troppo poco e troppo raramente. Lì ho visto davvero per la prima volta oltre il giocazzeggio, ho visto la volontà di Rockstar di usare l’open world come strumento per raccontare, facendo vivere al giocatore determinate cose. E ho capito di trovarmi davanti a uno dei migliori videogiochi mai realizzati.

COSA VUOLE ESSERE GTA 6?

Ed è per questo che oggi nei confronti di GTA6 sono davvero combattuto. Da un lato perché ai miei occhi è rimasta quella serie adolescenziale, che ora torna con un nuovo capitolo ma in cui alla fine si gioca sempre per sparare alla polizia e fare il gangster americano. Dall’altro però è cambiato il mio modo di giocare ai videogiochi, di vedere la stessa Rockstar, forse è proprio cambiata Rockstar Games perfino. A guardare questo primissimo trailer sembra esserci tutta l’intenzione di raccontare ancora una volta l’assurdità degli Stati Uniti, sembra esserci una particolare attenzione per i social che così tanto caratterizzano il nostro tempo, e sembra esserci la volontà di sperimentare ancora con i protagonisti, andando stavolta a raccontare di una coppia, con tutte le implicazioni e i potenziali pericoli che questo comporta.

La verità è che da GTA6 non so bene cosa aspettarmi. Se sperare in un’esperienza scardinante come Red Dead Redemption 2, o se piuttosto entrare nello stato mentale per cui sarà sempre il solito, ossia ancora un gioco adolescenziale, in cui magari adesso il me adulto vedrà dei sottotesti che prima non vedeva, ma pur sempre una roba in cui si spara agli sbirri e si va in giro a fare brutto con tutti. Andrò per la prima opzione, immagino, senza dimenticare cosa ha rappresentato GTA nella mia adolescenza, e cosa vedo adesso nei giochi Rockstar. Che ricordarsi da dove si viene è importante, ma lo è di più crescere e migliorarsi, e guardare al mondo con gli occhi di oggi e non con quelli di ieri.

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