Grazie, ma so cavarmela da solo – L’Opinione

Facce da TGM – L’Opinione è lo spazio dedicato alle “columns” di The Games Machine: articoli e visioni su argomenti caldi o fortemente dibattuti che animano le discussioni, anche molto dure, all’interno della redazione di TGM, talvolta con posizioni – davvero o solo in apparenza – antitetiche. L’obiettivo è dar voce ai nostri redattori come specchio del quadro complesso e articolato, talvolta persino controverso, che circonda il mondo dei videogiochi, all’interno di confini dettati da etica e buon gusto ma senza depotenziare il messaggio e, così, la ricerca di confronto su temi sensibili e delicati. Buona lettura!

Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più del leone o verrà uccisa. Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, un leone si sveglia e sa che dovrà correre più della gazzella o morirà di fame.

Che bello, se alla mattina si svegliassero solo leoni e gazzelle.

E fin qui nulla di male. Malauguratamente, però, a volte si sveglia anche qualche moralizzatore con l’illuminata missione di decidere a cosa io debba o non debba giocare. E mica me li paga lui, i videogame. In quel caso, potrei quasi vederci un senso, come quando da bambino supplicavo mia mamma di comprarmi Baron Karza. Suo il denaro, sua l’insindacabile decisione. Oggi li acquisto con i miei soldini, dopo aver versato il dovuto al fisco.

WENDY, LA KAREN DEGLI ANNI ‘70

Eppure, la mia libertà di spendere come mi pare è appesa a un filo: basta che una Wendy Walker qualsiasi rimanga scioccata da un cabinato piazzato nel posto sbagliato al momento sbagliato e decida di scriverci un articolo velenoso con il chiaro intento di boicottare il prodotto, per scatenare fuoco e fiamme. È successo davvero, negli Stati Uniti del 1976, con Death Race, bisnonno di Carmageddon: alla guida di qualcosa che assomiglia vagamente a una macchina, bisogna uccidere delle cose che assomigliano vagamente a dei pedoni, i quali morendo emettono qualcosa che assomiglia vagamente a un urlo di dolore.

censura videogiochi

Death Race. Immagini davvero truculente.

Wendy, credendosi l’ultimo bastione a difesa di una società prossima al collasso, verga feroci critiche e le spedisce al caporedattore. Fantastico, penserete: che gli USA fossero così scevri da pensieri e preoccupazioni da potersi dedicare anche a dettagli quali i videogame, all’epoca lungi dall’essere un fenomeno di massa. In effetti, se escludiamo gli strascichi della guerra in Vietnam, la Guerra Fredda, la paranoia della minaccia comunista, l’assassinio dell’ex ministro cileno Orlando Letelier su suolo americano per mano della dittatura di Pinochet e un centinaio abbondante di morti in seguito all’esondazione del Big Thompson, il ‘76 fu un anno tranquillo; non c’era nulla che meritasse un approfondimento serio, perché dunque non scagliare strali contro un pugno di pixel in movimento? “La persona non è più uno spettatore, bensì un attore dell’atto violento”, fu detto.

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L’hanno presa bene, dai.

In un mondo perfetto, Wendy sarebbe stata sbertucciata fino a farla desistere dallo scrivere anche la lista della spesa. Nella realtà, Death Race fu ritirato da alcune sale giochi, anche se complessivamente il publisher Exidy registrò un notevole aumento delle vendite. Ma il Rubicone era stato attraversato.

PER COLPA DI CUSTER

Nel 1982 arriva Custer’s Revenge, nel quale un cowboy nudo dal pene importante e turgido deve evitare frecce per poi abusare di una nativa americana legata a un palo, scatenando l’ira di diverse associazioni fino alla sua rimozione dal mercato. Decisione più che legittima, questa volta? Codice penale – poiché si parla di un grosso pene – alla mano, uccidere deliberatamente esseri umani come in Death Race è più grave di quanto compiuto da Custer nel videogame a lui dedicato.

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Hai capito, il cowboy.

Tuttavia abbiamo riso di Wendy, magari dipingendola nella nostra testa come un’attempata zia zitella con la casa piena di gatti, mentre nel secondo caso è un po’ più difficile prendere le difese degli sviluppatori. Questo porta a un grosso interrogativo: con quale criterio decidere cosa censurare e cosa lasciar passare? Ognuno ha un proprio metro di giudizio. C’è chi ha trovato eccessiva la violenza di Carmageddon arrivando a sostituire i pedoni con zombie o robot, chi ha bandito Manhunt per la brutalità degli omicidi, chi non ha tollerato che Bowser e Peach bevessero champagne per festeggiare la vittoria in Super Mario Kart, chi ha ritenuto che The Binding of Isaac, ispirato a un passaggio della Bibbia, avesse “contenuti religiosi discutibili”. Qualcuno dunque avrà provato frustrazione nel vedere un tizio girare indomito con quell’affarone all’aria evitando frecce senza perdere la “concentrazione”.

A che serve la censura, quando vige la dura legge del mercato?

Tra l’incudine delle software house e il martello della censura ci sono io, che reputo Custer’s Revenge improponibile innanzitutto per il gameplay banale e ripetitivo, anni luce indietro rispetto a Pitfall, iconico platformer destinato a far scuola, uscito nello stesso anno per lo stesso Atari 2600. Se nessuno si fosse indignato, è altamente probabile che il cowboy dei miei stivali sarebbe finito nell’oblio nel giro di un paio di giorni, grazie a un efficientissimo sistema che decide chi deve rimanere e chi deve sparire, alla faccia di qualsiasi moralizzatore: il mercato. Chiedete pure conferma a E.T. the Extra-Terrestrial. O ai giocatori che scaricarono la patch per ripristinare sangue e pedoni in Carmageddon, perché investire uno zombie ripieno di succo alla menta non è per nulla divertente.

TEMPI PASSATI? MICA TANTO!

Se state leggendo queste righe con un sorriso di nostalgia, ritornando con la mente agli albori del gaming, quando tutto era naïf, pure la censura, vi sbagliate: la Mannaia Morale ha continuato a colpire implacabile, fino ai giorni nostri. È notizia freschissima l’iniziativa del gruppo australiano Collective Shout che ha spinto store quali itch.io e Steam a rimuovere giochi dai presunti contenuti NSFW, facendo pressione su servizi di pagamento quali Visa, PayPal e Mastercard. Nel mirino è finito un po’ di tutto: titoli LGBTQ+, satire erotiche, opere artistiche indipendenti, varie ed eventuali. L’arma del delitto non è stata la censura legale, ma la leva economica: minacciare il blocco dei pagamenti equivale a soffocare le vendite.

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Ecco il salvatore dell’umanità numero 68485737386.

Un processo che bypassa il tribunale arrivando direttamente nel conto corrente, accelerando enormemente i tempi. La situazione è in continua evoluzione e non è dato sapere come andrà a finire, ma una cosa è certa: esistono persone che possono battere i pugni su scrivanie iper capitaliste e venir ascoltati, a prescindere dal senso pratico della richiesta. Attenzione dunque: la prossima volta che gioite perché qualcuno boicotta un gioco che non gradite, sappiate che c’è sempre qualcun altro pronto a boicottare ciò che piace a voi, con ancora più forza, visibilità e voglia di punire.

AH SHIT, HERE WE GO AGAIN

Un pericoloso precedente, che “precedente” non è: parlerei piuttosto di malsana abitudine. Abbiamo perso nel momento in cui abbiamo riso di Wendy invece di preoccuparci. Oggi l’omicidio nei videogame è tollerato, ma il campo di battaglia si è spostato, diventando ideologico. Da una parte, chi vuole cancellare tutto ciò che non viene ritenuto inclusivo. Dall’altra, chi vuole rimuovere ogni opera che contenga anche un solo personaggio LGBTQ+. Hogwarts Legacy fu boicottato per via delle posizioni transfobiche attribuite a J.K. Rowling. Allo stesso tempo, The Last of Us Part II è stato attaccato per la relazione omosessuale di Ellie. In entrambi i casi fortunatamente il tutto si limitò a rant sui social e review bombing, ma è chiaro che ci siano due correnti di pensiero diverse, con un fine comune: decidere per noi a cosa possiamo o non possiamo giocare.

Io, ogni volta che qualche gruppo estremista guarda storto un videogame.

A differenza della legge della conservazione della forza, secondo la quale l’energia non si crea né si distrugge ma si trasforma, la censura moderna non si accontenta di trasformarsi: si moltiplica. Per come la vedo io, quando a prevalere sono stati i gruppi woke, i picchi di moralismo hanno raggiunto livelli altissimi; quando, invece, ha preso il sopravvento la contro censura conservatrice, il rischio è stato di asfissia per saturazione ideologica. L’escalation prevale sull’equilibrio.

NO, NON È PER IL NOSTRO BENE

Entrambi i movimenti fingono di agire per il nostro bene, ma in realtà non si battono per noi, non gli importa nulla della nostra libertà o maturità. Quello che vogliono davvero è distruggere un nemico che esiste solo nelle loro fantasie, un bersaglio costruito a tavolino nel cuore della notte in qualche garage. Per puro desiderio di controllo, per sentirsi dalla parte giusta, per accumulare like, consensi e potere. Senza neppure il coraggio di ammetterlo. Usano parole come “protezione“, “inclusività“, “valori” come scudi semantici dietro i quali nascondere un narcisismo morale guidato da uno smisurato ego che impedisce ogni autocritica. Quindi grazie del pensiero, ma so badare a me stesso.

Con nuove combo e fatality da provare, davvero dovrei interessarmi alla sua vita sessuale?

Posso giocare a Resident Evil 5 sterminando orde di nemici di colore in un villaggio africano senza che nascano in me ambizioni colonialiste. E certo non ho problemi a giocare con Kung Jin a Mortal Kombat anche da persona etero. Decido io cosa comprare, a mio rischio e pericolo. Esigo di poter scegliere se mettere in libreria un titolo disturbante, volgare, grezzo, eccessivo, sperimentale, trash, coraggioso, del quale magari chiederò il refund dopo dieci minuti, ma in assoluta autonomia. Ringrazio tutti quelli che hanno provato a salvarmi la vita a suon di lettere aperte scritte con inchiostri nerissimi o arcobaleno, ma credo che anche stavolta farò a modo mio.

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Onimusha: Way of the Sword – Anteprima

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