Due pensieri agli estremi, che per me sono entrambi nobili e legittimi, se sinceri.
Uno è quello che ritiene che nessuno di noi sette miliardi abbia nessun diritto in più degli altri di vivere e muoversi in ogni luogo del mondo, se rispetta le regole condivise in quei luoghi. E che agli italiani – per fare un esempio – sia capitata la fortuna di nascere in un paese piuttosto ricco, democratico e sicuro: ed è una fortuna, non un diritto, quasi tutti noi non abbiamo fatto niente per rivendicarne il merito o le pretese. Potevamo nascere in Corea del Nord o in Nigeria o in Siria.
E da questa opinione – piuttosto fondata, direi – discende che nessuno abbia il diritto di tenere fuori da qualunque pubblico metro quadro d’Italia nessuno, e che ogni umano che lo occupi debba avere gli stessi diritti (volendo, se parliamo di cosa è “giusto”, sarebbe persino più giusto che della sanità pubblica italiana beneficiasse ora per un po’ un signore del Sudan, al posto mio).
Il secondo approccio è quello di chi ritiene che si debbano avere degli obiettivi pragmatici e realistici e una visione lungimirante per il bene di tutti gli umani di cui sopra. È un approccio diffuso in molti contesti, che prende atto delle condizioni di fatto non modificabili a breve e ci fa i conti per ottenere il meglio (qualche settimana fa sul Foglio Carlo Cottarelli lo ha spiegato con l’esempio delle corsie in autostrada: gli italiani non staranno mai su quella più a destra, prendiamone atto e autorizziamo il sorpasso a destra) nei fatti anche scendendo a compromessi sui principi. Perché attenendosi ai principi, paradossalmente, i risultati possono essere peggiori fino a che non sono condivisi a sufficienza.
È quello che sta succedendo in molte parti del mondo:
le politiche basate anche molto parzialmente sul buon principio enunciato sopra hanno generato delle migrazioni che tantissime persone in molte parti del mondo hanno vissuto come inaccettabili, pericolose, paurose. Quelle persone hanno quasi sempre torto, o sono molto egoiste: ma i fatti sono questi, e sono estesi abbastanza da non poterli sopravvalutare. Il risultato sono stati movimenti xenofobi in crescita di consensi, arrivati vicini al potere, presidenti degli Stati Uniti eletti perché annunciano muri, Regni Uniti che escono dall’Europa, razzismi sdoganati da leader politici furbastri, violenze e discriminazioni eseguite e quotidiane. Con conseguenze pericolose e controproducenti per molti degli stessi migranti e per i loro futuri. Molte analisi sostengono che i peggiori scenari di cui discute in questi anni il mondo abbiano come fattore rilevantissimo o prioritario le migrazioni. Insomma, qualcosa non sta funzionando, a dir poco.