Nintendo difficilmente si farà comprare da Google o Amazon: aveva già rifiutato Microsoft. Nell'anno 2000 quelli di Kyoto ricevettero una offerta da Redmond, ma risposero con ilarità. Alla fine gli vendettero solamente Rare (più che altro: sbolognarono. La casa software inglese stava soffrendo un difficile passaggio alla nuova generazione). Ad inizio millennio la situazione era molto peggiore di quella di adesso per l'azienda di Super Mario: non erano più i leader del mercato ed avevano perso il supporto di moltissimi sviluppatori terzi. Il Gamecube anni dopo si rivelò un insuccesso, vendendo la metà del Nintendo 64. Adesso invece Nintendo con lo Switch ha appena superato le vendite della prima PlayStation e quasi ogni settimana monopolizza la "top 30" dei videogiochi venduti in Giappone. Ma, anche se la prossima console dovesse risultare un flop catastrofico come Wii U e, sempre per pura ipotesi, Nintendo finisse in rosso come Sega ai tempi (che tirava avanti solo grazie al denaro personale del suo presidente, Isao Okawa), tradizionalisti come sono non andrebbero a vendere la ditta a degli americani come Google o Amazon, bensì cercherebbero un acquirente in Giappone.
Diverso il discorso per PlayStation. Ormai il centro nevralgico di Sony Interactive Entertainment si trova negli Stati Uniti. Ci sono svariati analisti che ipotizzano che, se volesse, se la situazione cambiasse, la holding giapponese potrebbe liberarsi facilmente del comparto videoludico (come anni fa fecero per quello chimico), magari anche solo facendo uno spin-off finanziario. A quel punto Amazon, Google o persino Apple potrebbero tentare di acquistare il gruppo di PlayStation. Però finché a Sony i videogiochi frutteranno bene, addirittura meglio del comparto elettronico, cinematografico, musicale e dei semiconduttori come adesso, non se ne sbarazzeranno.