TONINELLI O LA REGOLA DEL CAVILLO
Sebastiano Messina
Più grande è l’opera da realizzare, più piccolo dev’essere il cavillo capace di bloccarla. Quella che potremmo battezzare "la regola Toninelli" è stata appena applicata a Firenze, la quarta città più visitata d’Italia e però in fondo alla classifica degli aeroporti. Perché lo scalo c’è — dal 1931 — ma ha una pista così corta che appena soffia un po’ di vento gli aerei non riescono ad atterrare, e così ogni anno mille voli vengono dirottati altrove e 90 mila passeggeri restano a terra col biglietto in mano.
Ora, visto che allungarla proprio non si può (s’incrocerebbe con l’autostrada) l’unica soluzione sarebbe una nuova pista, di un chilometro più lunga.
Sarebbe: perché quando il progetto faticosissimamente messo a punto dagli ingegneri era ormai a un passo dall’ultimo via libera, i grillini hanno tirato fuori dalla tasca il loro cavillo. Sul tavolo del ministero di Toninelli c’erano ormai tutti i visti e tutti i pareri. La pratica sembrava chiusa, ma a un certo punto s’è alzata una manina, quella del rappresentante del ministro pentastellato Alberto Bonisoli. «Manca qualcosa» ha detto il dirigente col più solenne dei suoi toni. Mancava, ha spiegato, la Via di una stradella. Non il nome di un sentiero, ma un documento burocratico: la Valutazione di impatto ambientale. Fine della riunione, e congelamento del progetto.
Per apprezzare la sottile perfidia di chi ha trovato il cavillo giusto bisogna sapere che quel documento non riguardava il percorso d’accesso all’aeroporto, ma una stradella che porterà — quando sarà realizzata: ancora non c’è — agli orti didattici del nuovo laghetto di Signa. Il quale si trova a dieci chilometri dalla nuova pista. L’aeroporto è stato dunque fermato per studiare un lontano sentiero che condurrà a un orto.
E anche se alla prossima riunione qualcuno portasse quel fondamentale documento, i grillini hanno già avvertito che il progetto «sicuramente avrà una procedura rallentata». Che sarà poi bloccata definitivamente, ha spiegato chi ha parlato col ministro, «grazie al nuovo piano nazionale degli aeroporti», dal quale il governo gialloverde escluderà di sicuro Firenze.
Non importa che la città dei Medici abbia nove milioni di visitatori l’anno — costretti quasi tutti a venirci in macchina o col treno, magari dopo essere atterrati a Pisa, che dista da Firenze quanto Rieti da Roma. Non importa che i fiorentini al ritorno da Londra, da Palermo o da Francoforte vengano fatti sbarcare (capita tre volte al giorno, in media) in qualche altro aeroporto. Non importa che i toscani non riescano a trovare posto su quegli aerei che oggi sono obbligati a partire con un terzo dei sedili vuoti per non mettere a rischio il decollo su una pista così corta. La terza pista non s’ha da fare, punto e basta. Il nuovo aeroporto ha purtroppo avuto la sfortuna di finire nella lista nera dei grillini, quella che comprende la Tav, il Tap, il Mose, la Gronda, il ponte sullo Stretto, l’autostrada Orte-Civitavecchia, le due Pedemontane e persino la bretella Sassuolo-Campogalliano, quelle grandi opere contro le quali i pentastellati hanno marciato nelle piazze e che sin dal primo momento Toninelli ha detto di voler rivedere, valutare, verificare e insomma insabbiare e seppellire.
E anche se poi hanno dovuto rimangiarsi prima il no al gasdotto pugliese e poi quello al Terzo Valico, ogni volta che Di Maio e Toninelli devono decidere su una grande opera — come dimostra il caso dello scalo fiorentino — ricominciano questa affannosa ricerca del cavillo, del pretesto e dell’appiglio per non essere domani inseguiti da quei No-Tutto che fino a ieri inseguivano per raccoglierne i voti.