Forse penserete che nessuno abbia intenzione di invadere la Russia, ma non è così che la vedono i russi, e con buona ragione. Negli ultimi cinquecento anni sono stati invasi diverse volte da ovest. Nel 1605 i polacchi arrivarono dalla pianura nordeuropea, seguiti dagli svedesi agli ordini di Carlo XII nel 1708, dai francesi guidati da Napoleone nel 1812, e dai tedeschi due volte, in entrambe le guerre mondiali, nel 1914 e nel 1941. Guardandola in un altro modo, se partiamo dall’invasione napoleonica del 1812 ma includiamo anche la guerra di Crimea del 1853-1856 e le due guerre mondiali, possiamo dire che i russi hanno combattuto mediamente ogni trentatré anni nella pianura nordeuropea o nelle sue vicinanze.
Il presidente Putin non è certo un fan dell’ultimo presidente sovietico, Michail Gorbačëv. Lo accusa di aver minato la sicurezza della Russia e ha definito lo smembramento dell’ex Unione Sovietica negli anni Novanta «la più grande catastrofe geopolitica del secolo».
Da allora i russi hanno assistito con apprensione al progressivo allargamento verso est della NATO, la quale ha incorporato di volta in volta paesi che, secondo i loro governanti, si sarebbe impegnata a lasciar fuori: Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia nel 1999; Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia nel 2004, e Albania nel 2009. Dal canto suo, la NATO nega di aver mai dato simili rassicurazioni.
Come tutte le grandi potenze, anche la Russia ragiona nella prospettiva dei prossimi cento anni, e si rende conto che in un arco temporale così lungo può accadere di tutto. Chi avrebbe mai immaginato, un secolo fa, che le forze armate americane si potessero dislocare in Polonia e negli stati baltici, a poche centinaia di chilometri da Mosca? Eppure, nel 2004, appena quindici anni dopo la caduta del muro di Berlino, ogni singolo stato dell’ex patto di Varsavia – tranne la Russia – faceva parte della NATO o dell’Unione Europea.
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Poi ci sono i paesi filo-occidentali che prima appartenevano al patto di Varsavia ma adesso sono tutti membri della NATO e/o dell’UE: Polonia, Lettonia, Lituania, Estonia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Albania e Romania. E guarda caso, molti hanno sofferto particolarmente sotto la dominazione sovietica. Aggiungeteci la Georgia, l’Ucraina e la Moldavia, che vorrebbero entrare a far parte di entrambe le organizzazioni ma vengono tenute a distanza di sicurezza per la loro vicinanza geografica alla Russia e perché hanno tutte e tre truppe russe o milizie filo-russe sul proprio territorio. L’associazione alla NATO anche di uno solo dei tre stati potrebbe scatenare una guerra.
Tutto questo spiega perché, nel 2013, quando la battaglia politica per il controllo dell’Ucraina si è surriscaldata, Mosca si è impegnata a fondo.
Finché a Kijev comandava un governo amico, i russi potevano avere la certezza che la loro zona cuscinetto sarebbe rimasta intatta e avrebbe protetto la pianura nordeuropea. Sarebbe accettabile persino un’Ucraina studiatamente neutrale, che promettesse di rimanere fuori dall’UE o dalla NATO e di rinnovare la concessione del porto di Sebastopoli, nelle acque temperate della Crimea. Ma un’Ucraina filo-occidentale, desiderosa di entrare nelle due grandi alleanze, e che mettesse in discussione l’accesso della Russia al suo porto sul Mar Nero? Un’Ucraina che un giorno potrebbe addirittura ospitare una base navale della NATO? Un paese del genere non si potrebbe proprio tollerare.
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Poiché l’Ucraina non era più sovietica, e nemmeno filo-russa, Putin sapeva che la situazione doveva cambiare. Ma i diplomatici occidentali lo sapevano? Se non lo sapevano, ignoravano il primo principio del «Manuale di diplomazia per principianti»: quando si trova di fronte a quella che considera una minaccia alla sua stessa esistenza, una grande potenza non esita a usare la forza. Se ne fossero stati a conoscenza, allora avrebbero dovuto considerare l’annessione della Crimea da parte di Putin un prezzo da pagare per aver attratto l’Ucraina nell’Europa moderna e nella sfera d’influenza dell’Occidente.
Un’interpretazione generosa è che gli USA e gli europei non vedevano l’ora di accogliere l’Ucraina nel mondo democratico come membro a pieno titolo delle sue istituzioni liberali e del suo sistema giuridico, e che Mosca non poteva farci molto. Questa lettura, però, non tiene conto del fatto che nel XXI secolo la geopolitica esiste ancora, o che la Russia non applica il principio di legalità.
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Si potrebbe obiettare che in realtà il presidente Putin aveva un’alternativa: avrebbe potuto rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina. Ma siccome doveva fare i conti con la situazione geografica della Russia, quella non era mai stata un’opzione praticabile. Putin non avrebbe mai accettato di passare alla storia come colui che «ha perso la Crimea», e con essa l’unico porto affacciato su acque tiepide a cui aveva accesso il suo paese.
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Le fonti energetiche verranno brandite ripetutamente come leva di potere politico nei prossimi anni, e il concetto di «cittadini di etnia russa» sarà usato per giustificare qualsiasi mossa della Russia.
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La Russia non ha ancora chiuso i conti con l’Ucraina, né con altri stati dell’ex URSS. A meno che non si senta minacciata, probabilmente non invierà le sue truppe negli stati baltici, o ancora più all’interno del territorio georgiano; ma rafforzerà la sua presa politica sulla Georgia, e in questa fase d’instabilità non si possono escludere ulteriori azioni militari.
Tuttavia, così come le operazioni effettuate nel 2008 dalla Russia nella guerra contro la Georgia erano un monito alla NATO, il messaggio inviato dalla NATO alla Russia nell’estate del 2014 era: «Non più avanti di così».
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Perché ai russi dovrebbe fare gola la Moldavia? Perché là dove i Carpazi si incurvano verso sud-ovest per formare le Alpi transilvane, a sud-est c’è una pianura che sbocca nel Mar Nero. Quella pianura si potrebbe assimilare a un corridoio che porta all’interno della Russia; e così come preferirebbero controllare la pianura nordeuropea nel punto più stretto, in territorio polacco, i russi vorrebbero controllarla anche nella parte più prossima al Mar Nero – la Moldavia –, nella regione che un tempo si chiamava Bessarabia.
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In realtà, i russi controllano già una parte della Moldavia, una regione chiamata Transnistria, situata a est del fiume Dnestr, che costeggia l’Ucraina. Nella sua saggezza, Stalin vi insediò un gran numero di russi, proprio come aveva fatto in Crimea dopo aver deportato gran parte della popolazione tatara.