Battlefield 6 – Intervista a DICE

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Battlefield 6 – Intervista a DICE

Come raccontato nel corso della nostra anteprima, nei giorni scorsi siamo stati a Berlino per assistere all’annuncio del nuovo Multiplayer di Battlefield 6, ma soprattutto per giocarlo in prima persona. L’unica cosa che è riuscita a schiodarci dalla nostra postazione è stata la possibilità di fare due chiacchiere di persona con Phil Girette, producer di DICE per approfondire alcuni aspetti della Beta di Battlefiled 6 su cui stavamo giocando. 

A TU PER TU CON PHIL GIRETTE

TGM: Dunque, Battlefield è tornato dopo 4 anni! Partiamo subito: cosa avete intenzione di riportare dai capitoli precedenti e cosa invece ci aspetta di nuovo?

Phil Girette: Siamo molto emozionati all’idea di riportare Battlefield nelle case dei giocatori. Ci stiamo concentrando, questa volta, sul recuperare elementi da giochi come Battlefield 3  e Battlefield 4: esperienze militari dai toni oscuri e con i piedi ben piantati nella realtà. Ma ci siamo anche dedicati anche alla reintroduzione delle classi, a migliorare la distruzione e un po’ in generale al pacchetto completo che ti viene in mente quando pensi a Battlefield. Personalmente, e spero valga anche per i giocatori, sono super entusiasta per la distruzione, la nuova distruzione. Credo che in questa occasione ci siamo superati. Non è mai stato possibile distruggere così tanti elementi e con queste modalità nei precedenti capitoli di Battlefield. Sarà una sorpresa persino per i veterani abituati a pensare che in una data posizione possono essere raggiunti solo attraverso un certo muro abbattibile. Questa volta non c’è un angolo in cui ci si possa sentire al sicuro. Come visto nel trailer i colpi possono arrivare dal tetto o da sotto il pavimento. 

TGM: Oppure può saltare in aria l’intero edificio.

Phil Girette: [Ride] Esatto! L’intero edificio o il terreno su cui poggia! Ci sono un sacco di opzioni e la distruzione non ha mai avuto un look così figo, un suono così figo… insomma, non è mai stata così convincente e divertente in passato.

TGM: Parlando di distruzione e tecnologia: quale viene prima? Mi spiego: prima viene un’idea di cosa fare e verificate se la tecnologia vi consente di realizzarla, oppure al contrario prima arriva qualcuno dal reparto tech che vi mostra una novità e il resto del team ragiona su come implementarla? Quale direzione segue il processo?

Phil Girette: Il primo passo parte sempre dalla direzione che abbiamo deciso di dare al progetto: “qual è il prossimo passo per Battlefield e dove ci porterà?”. Poi si passa molto rapidamente allo sviluppo della tecnologia che ci consenta di farlo. Aneddoto personale che trovo molto divertente: nel team di sviluppo di Battlefield periodicamente facciamo delle riunioni con tutti i reparti al completo e io non appartengo al team che si occupa della distruzione, perciò quando arriva il momento della squadra che si occupa dello sviluppo del Frostibite Engine di mostrare l’avanzamento del loro lavoro e le reazioni miei e dei mie colleghi, beh, queste sono del tutto simili a quelle che ottieni mostrando i trailer al pubblico: “Oh mio dio! Pensa a quante cose potremmo fare con questa roba!”. Quindi si parte sempre con la direzione creativa: puntiamo tutto sulla distruzione. Da lì inizia il lavoro di chi si occupa della tecnologia, dell’audio… come deve apparire a video, che rumore deve fare, quanto deve essere estesa la distruttibilità… devo dire che immaginare cosa fare con la distruzione manda sempre la gente ai matti, nel senso più positivo possibile.

TGM: Quanto è complesso lavorare a un progetto così enorme, a cui partecipano diversi distinti Studio? Quanto è complicato condividere informazioni e progressi?

Phil Girette: Questa volta abbiamo quattro differenti studi: oltre a DICE ci sono Criterion, Ripple Effect e Motive. Si tratta del più grosso investimento mai compiuto su un gioco della serie Battlefield. Incredibile a dirsi, non è stato facile… ma in fondo semplice. Una volta definite le basi, ovvero la centralità della distruzione e un approccio con i piedi nel presente, è subito scattata la scintilla in molti di noi, perché sapevamo cosa stavamo facendo e lo avevamo già fatto in passato.

Si trattava solo di portare il nostro lavoro al livello più alto possibile. Anche se siamo un sacco di persone al lavoro su questo progetto, solitamente quando in Europa arriviamo alla fine della giornata mandiamo un resoconto ai colleghi in USA sull’avanzamento dei progressi, passiamo loro il testimone. Quindi lo sviluppo prosegue in un altro continente mentre noi andiamo a dormire e quando ci svegliamo riceviamo la loro relazione e la reazione è: WOW! È un ciclo di lavoro che davvero non si ferma mai.

TGM: Per quanto riguarda le ambientazioni, invece, sono state scelte tenendo conto dell’impatto della distruzione, o erano sul tavolo già in precedenza?

Phil Girette: Credo valga un po’ lo stesso discorso di prima. Non credo che il team che si occupa della distruzione sia in attesa di scoprire dove si sfogherà nel mondo. La scelta delle ambientazioni risponde di più alla domanda: che parte di mondo (e quindi di storia) vogliamo mostrare? Dove possiamo realizzare delle mappe interessanti? Che collegamenti possiamo creare con la campagna single player? E ovviamente, dove ci possono portare questi luoghi in futuro? Credo che ogni volta che qualcuno propone un’idea, tipo “la prossima mappa potrebbe essere ambientata a Gibilterra, oppure a New York!”, qualcuno nel team che si occupa della distruzione pensa “Lo sapevo! Ho già preparato qualcosa che possiamo usare!

TGM: Durante la presentazione raccontavi che dopo aver scelto la location servono altre decisioni, come l’ora del giorno, il tempo atmosferico. Cosa vi guida in queste scelte?

Phil Girette: Prima di tutto, la varietà: non vogliamo che le mappe si assomiglino tutte, con la stessa luce e lo stesso contesto. Il motivo per cui ricerchiamo diversi scenari e condizioni è perché vogliamo che le mappe siano quanto più possibile divertenti da giocare. Sappiamo che queste scelte hanno un grosso impatto sul gameplay: le mappe in notturna sono sempre molto interessanti, ma anche complesse da giocare a causa della visibilità ridotta. Come distinguo alleati e nemici? Domande di questo tipo sono fondamentali.

Spesso quando annunciamo una mappa il pubblico si concentra solo sul dove, ma l’ora del giorno o la stagione dell’anno sono altrettanto importanti: non avete idea degli sforzi che riversiamo sull’illuminazione, affinché ovunque il giocatore si trovi – all’interno o all’esterno – abbia una visione chiara di ciò che sta succedendo e riesca a orientarsi velocemente.

TGM: Il modo in cui i giocatori poi effettivamente giocano Battlefield condiziona lo sviluppo? E se sì, come?

Phil Girette: Sì, moltissimo. Sappiamo che un ritorno a Battlefield 3 e Battlefield 4 è ciò che i giocatori chiedono da tempo. Un ritorno alle origini per chi gioca, ma anche in linea con ciò che si trova al centro, nel cuore del franchise. Una delle prime cose che abbiamo fatto con Battlefield 6 è stato creare i Battlefield Labs, in cui invitiamo i giocatori a osservare e giocare delle build di sviluppo. Il feedback che riceviamo da queste sessioni è fondamentale ed è meglio averlo prima, che dopo, perché in fondo [Battlefield] è qualcosa che costruiamo insieme.

TGM: Sto diventando vecchio e i riflessi non sono più quelli di una volta. Avete pensato a qualcosa per i giocatori come me, o per chi entra in Battlefield per la prima volta e rischia di sentirsi come un tacchino che corre mentre tutti intorno a lui sparano?

Phil Girette: [Ride] Sì, capisco, inizio a sentirmi vecchio anch’io. Allora, per iniziare abbiamo modalità più contenute, come Squad Deathmatch, che si avvicina di più al concetto old school di shooter online, sono partite rapide e a me piace un sacco. Dopo di che abbiamo spiegazioni su come funziona ogni classe, abbiamo un poligono digitale che consente di provare ogni singola arma su diverse distanze. Poi abbiamo le Initiation: c’è la Conquest Initiation, la Breakthrough Initiation e così via, che si possono giocare fino al livello 50. In quelle partite non troverai mai giocatori di livello mondiale o comunque fortissimi, ma solo giocatori sullo stesso livello, che probabilmente non giocano da parecchio o sono alle prime armi, supportati da bot controllati dalla IA se serve. Qui non ti capiterà di respawnare e venire centrato da un cecchino dopo due passi.

TGM: Tornando per un secondo alla tecnologia, questo capitolo abbandona PS4 e Xbox. One

Phil Girette: Sì, quegli hardware hanno ormai 10 anni e arrivi a un punto in cui la tecnologia ha raggiunto un’evoluzione tale per cui, se si volesse supportare la vecchia generazione, bisognerebbe scalare il gioco verso il basso. Per questo motivo Battlefield 6 supporterà PC, PS5 e Xbox Series. Questo ovviamente ci consente di spingere maggiormente sull’hardware e portare il gioco un po’ più in là. La nostra priorità sono le performance in-game, vogliamo dare ai giocatori un’esperienza fluida e “liscia” su tutte le piattaforme.

TGM: Non solo la tecnologia ormai evolve a un ritmo esponenziale, ma anche la realtà viaggia parecchio veloce. Quando realizzi un gioco ambientato nel futuro o durante guerre passate non devi guardare fuori dalla finestra per vedere che succede; Battlefield 6, invece, prende il via da un domani imminente. Quanto è dura stare al passo con la velocità degli sviluppi nel mondo reale mentre cerchi di realizzare un gioco con i piedi piantati nel presente?

Phil Girette: Cerchiamo di trarre ispirazione da ciò che possiamo, ma ci è anche molto chiaro che stiamo realizzando un videogioco. Sarebbe folle tentare di prevedere qualcosa analizzando il presente, per questo nel single-player ci siamo concentrati su una campagna da blockbuster che possa entusiasmare tutti, mentre nel multiplayer su ciò che possa essere divertente da giocare. Certo, facciamo un gioco che parla di guerra, ma pensato per divertire e per riunire insieme gruppi di persone diverse e per rilassarsi, fondamentalmente.

TGM: Ok, l’ultima domanda è la più complicata, metto le mani avanti. State realizzando un gioco sulla guerra, mentre il mondo là fuori procede verso la guerra ogni giorno che passa. Quanto è stata dura realizzare un gioco bellico che sia “solo” un gioco? E ci sono stati momenti in cui avete dovuto cambiare i piani perché assomigliavano troppo a ciò che stava succedendo nel mondo reale?

Phil Girette: In queste situazioni ci concentriamo sulla realizzazione tecnica, perché poi è quello che rende il gioco divertente: il design della mappe, le meccaniche di shooting. Purtroppo non abbiamo il controllo di ciò che accade nel mondo reale. Possiamo giusto controllare ciò che succede in Battlefield 6. Perciò speriamo di aver creato un luogo in cui la gente possa divertirsi, giocare in compagnia e condividere emozioni ed esperienze, provando l’esperienza del miglior Battlefield (spero!) mai creato.

TGM: Lo speriamo anche a noi! Grazie del tuo tempo, Phil!

Phil Girette: Grazie a voi!

 

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