“Your base is under attack.”
“Your base is under attack.”
“Nico, te lo chiedo per favore: ti puoi mettere le cuffie?”
Fede ha ragione: è domenica pomeriggio e sta cercando di andare avanti nel corso online di fotografia (che le ho regalato io, tra l’altro!). Vivessimo in una magione con mille stanze, le potrei dire di andare nella ala ovest del nostro palazzo, ma l’affitto a Londra è caro. Le sue buone motivazioni, però, non rendono le cose più semplici. Anzi, il momento non poteva essere peggiore: i miei siege tank si stanno difendendo bene contro l’ondata Zerg, ma quei dannati mutalische in arrivo li faranno a pezzi. Basterebbe recuperare la mia squadra di Viking… peccato che non mi ricordi a difesa di quale base li abbia lasciati.
Dunque la richiesta della mia ragazza, seppur legittima, in questo momento mi pare assurda, quasi oltraggiosa. Mica posso scrivere in chat “Pugno!” e sperare che il tizio dall’altra parte di internet fermi tutto perché io recuperi le cuffie lasciate chissà dove. Con un riflesso, butto lo sguardo attorno alla ricerca del telecomando per abbassare il volume della TV, e nel frattempo le rispondo con un patetico e incomprensibile grugnito. Se mi facessero una foto ora, la potrebbero usare come poster per la prossima conferenza dal titolo: “L’uomo e il multitasking: un incontro impossibile?”. Perso ormai il controllo della partita, nel giro di mezzo minuto la mia base principale finisce per essere l’ultimo dance floor di una festa Zerg, e GG. Chiudo Starcraft e riprendo pieno possesso delle mie facoltà mentali.
La legittima richiesta della mia ragazza mi pare assurda, quasi oltraggiosa, durante una strenua difesa di Starcraft
Più di recente ho tentato con altre soluzioni in un certo senso simili: Overcooked mi era sembrata un’opzione perfetta con il suo stile cartoonoso, i controlli semplici e la necessità di interagire tra giocatori, ma anche lì non siamo andati oltre a qualche sporadica partita. Andrebbe aggiunto che il nostro coinquilino ed io ci davamo dentro come matti fino a diventare delle macchine sforna-pizza in grado di sfamare qualsiasi cliente in tempo zero… Forse, quindi, vedere le nostre magie da “pro” ha un po’ allontanato la mia dolce metà dal titolo di Ghost Town Games. Con mia sorpresa, la realtà virtuale ha portato buoni risultati, direi ottimi in certi casi specifici: per alcune settimane, era lei stessa a proporre la partita serale al “gioco delle testate”, ovverosia Headmaster, di cui tutt’ora detiene l’high score in diversi livelli.
Può essere che la fisicità della VR attragga anche chi non è un giocatore hardcore
Mi risponde subito: “Pronto, babbuzzi.”
“Ehi Jimbo, com’è?”
“Ci stiamo prendendo una birra in una terracita, qua si sta in maniche corte. Tu?”
“Lasciamo stare”, gli dico, mantenendo un aplomb britannico nonostante gli otto gradi che mi guardano dalla finestra di casa, ad aprile. “Senti un po’, ti volevo parlare di una cosa: ma tu, come ti regoli con Cris per giocare al computer? Quando trovi il tempo?”
“Hmm, ma guarda, più che altro ci gioco quando dorme.”
“Sì, ok, ma nient’altro?”
“Beh, mentre ceniamo o guardiamo Westworld, metto il computer a giocare la master.”
Noi la chiamiamo ancora “la master”, memori dei tempi di Iss Pro per Playstation, con Batistuta e Boksic.
“Ah, giusto, tu giochi solo a PES… vabbeh dai, ho capito. Vi lascio al vostro sole, ci sentiamo.”
“Ciaooo.”

È peggio di quanto pensassi: “last online 449 days ago.” Quattrocento. Quaranta. Nove.
Non ci vuole poi tanto a unire i puntini: sua figlia ha compiuto un anno giusto un paio di mesi fa.
A questo punto potrei farmi prendere dallo sconforto, ma non fa parte del mio carattere. Dunque mi rivolgo a voi: come condividete la nostra passione con le persone che vi stanno vicine? Datemi qualche idea: avrei dovuto provare con Life is Strange?