Quante volte ci siamo chiesti come potrebbe essere il nostro futuro da qui ai prossimi anni a venire? Da che ho memoria mi è spesso capitato di assimilare svariati spunti, o interpretazioni, dai diversi medium di intrattenimento, riscontrando più volte come la maggior parte degli autori alle spalle dei medesimi si trovino fin troppo frequentemente a mitizzare mondi futuri non così rosei come potremmo immaginare.
Mi viene subito da pensare a “1984” di George Orwell, oppure a “Il Cacciatore di Androidi” di Philip K. Dick, passando in seguito anche sul versante cinematografico con Terminator, Blade Runner o il più recente Black Mirror. Nel medium videoludico ce ne sono a palate di offerte inerenti al contesto, dimostrazione lampante del fatto che l’argomento intriga moltissimo aprendo tra l’altro una serie di dibattiti interessanti. Da qualsiasi lato la vediamo, al netto di quello che si potrebbe dire o pensare, sembra che il futuro non ci riservi proprio nulla di buono. Visti poi i recenti dibattiti sul clima, c’è altro da aggiungere? Tornando a noi, o comunque al vero focus della riflessione, questa apparente serie di voli pindarici è scaturita dopo aver giocato qualche ora a Generation Zero, nuovo titolo sviluppato dai ragazzi di Avalanche Studios.
APPASSIONATI DEL DISAGIO FUTURO: UNITI!
Ultimamente grazie a questa passione che coltivo a cavallo tra hobby e lavoro, mi è capitato di giocare e valutare moltissimi titoli che sfruttano il concept futuro/disastro per creare ambientazioni molto interessanti. A prescindere dal genere su cui possono fare affidamento, il grosso del lavoro risiede proprio nella necessità di costruire avventure coinvolgenti, piene di escamotage utili a diluire, intensificare e ampliare l’offerta finale in tutti i suoi aspetti. Dagli sparatutto in prima persona alle avventure di stampo action in terza persona, ormai ciò che guardiamo maggiormente è la storia alle spalle del racconto, e il modo in cui quest’ultima viene raccontata al giocatore durante la normale progressione nel mondo di gioco. Ci sono volte in cui il compito riesce bene, altre in cui sembra mancare qualche elemento all’appello. Ce ne sono altre, poi, in cui si cerca di fare completamente affidamento sulla costruzione dell’open-world che le supporta, pensando forse più alle sue dimensioni che non al modo in cui questo viene poi popolato e arredato.
Non è certo facile dare la completa libertà al giocatore di immaginare e spaziare senza freni
Non so ancora quale genere di spiegazioni troverò all’interno del gioco durante la mia esplorazione del territorio svedese