Durante l’ultimo mese ho avuto l’opportunità di riflettere, di rivedere qualche convinzione e osservare il nostro medium prediletto da una prospettiva diversa, pur sempre in soggettiva ma differente. Prima di arrivare al nocciolo della questione forse è meglio partire da qui: personalmente parlando, al di là dunque della sfera professionale, non sono mai stato un fanatico dei cosiddetti giochi hardcore né di quelli estremamente difficili.
Dacché ho memoria di me con un pad/mouse in mano, ho sempre vissuto l’atto di videogiocare come un momento di relax intimo, diciamo pure una temporanea via di fuga dalle fatiche della vita che, per quanto mi riguardava, non aveva alcun senso riempire intenzionalmente di ostacoli extra. Nel corso degli anni ciò mi ha portato, più o meno inconsciamente, a evitare un certo modo di intendere l’intrattenimento virtuale, tant’è vero che mentre milioni di gamers hanno adorato Dark Souls, ahimè, l’opera di Hidetaka Miyazaki/From Software non è mai riuscita a fare breccia nel mio petto. Benché ci abbia provato e riprovato anche per ampliare il mio bagaglio di “cultura videoludica generale”, la verità è che per diverso tempo non sono stato in grado di comprendere fino in fondo per quale motivo una persona avverte l’impulso di trascorrere i suoi preziosi attimi dedicati al sollazzo con qualcosa che li trasforma in frustranti sessioni di sadomasochismo domestico.
MAI, MAI SCORDERAI, L’ATTIMO, LA TERRA CHE TREMÒ
Tutto ciò era saldamente ancorato nel sottoscritto fino appunto a gennaio 2022 o giù di lì. Grazie ad Escape from Tarkov prima e a GTFO poi, ma anche in misura minore a produzioni trattate in passato su TGM come Hell Let Loose o sfiorate per pura curiosità come Insurgency Sandstorm, ultimamente sono stato letteralmente scaraventato di peso dall’altra parte della barricata, ben oltre il rasserenante confine imposto dalle produzioni mainstream o pop che dir si voglia. Un po’ vittima e un po’ co-autore di tale prepotenza mi sono così ritrovato, volente o nolente, incastrato tra un FPS hardcore fino al midollo e un horror in prima persona in cui la sofferenza è una delle colonne portanti del gameplay. Annaspando senza posa nell’inferno russo, procedendo carponi nel fitto dell’oscurità del Complesso, guardando il “nemico” dritto negli occhi d’un tratto qualcosa è scattato in me ed è stato subito travolgente, galvanizzante amore.
Il coinvolgimento nelle produzioni di Battlestate Games e 10 Chambers è pregevole, m’appare evidente quanto la necessità di diminuire con una certa urgenza l’apporto di kcal quotidiano. Come raccontato in sede di recensione di GTFO o nello speciale dedicato a Escape from Tarkov, parliamo di due opere capaci di immergere in atmosfere ansiogene, autentiche apnee nell’incubo dove ogni elemento percepibile o intuibile ti fa vibrare di tensione, insomma titoli nati allo scopo di scatenare sensazioni poderose in chi le gioca.
GTFO ED ESCAPE FROM TARKOV SONO DUE GIOCHI DIVERSI, MA ENTRAMBI CAPACI DI TRASCINARTI NELLE PROFONDITÀ DEL PIÙ OSCURO DEGLI ABISSI
I veri duri del videoludo probabilmente le riterranno meno hardcore di altre e ci sta, non sono un esperto in materia quindi non posso che bramare qualsiasi suggerimento da parte dei veterani di questo mondo fatto di sofferenze indicibili ed immense soddisfazioni. Detto ciò ritengo che entrambe si possa definirle senza grandi remore come due esperienze integerrime, senza peli sulla lingua né tantomeno un briciolo di buone maniere, orribilmente severe con lo stolto intenzionato ad approcciarvisi saltellando qua e là come farebbe altrove, ed è proprio questo uno dei segreti dietro la loro ammaliante bellezza. Mi riferisco all’agrodolce rapporto d’amore/odio che spezia loro e tutti quei giochi progettati per mettere a dura prova chi persevera abbastanza da riuscire a bearsene, i cosiddetti titoli hardcore o – più in generale – tutte quelle produzioni che in parecchie recensioni vantano “non è un gioco per tutti” fra i contro. Ogni riferimento a persone, colleghi o giochi reali è assolutamente casuale, del resto credo di esserci cascato anche io in passato.
NON C’È SODDISFAZIONE SENZA SUDORE
È proprio questo il punto, è esattamente questo l’outing che mai avrei immaginato di voler fare: essere per pochi non è necessariamente un difetto. Forse me ne rendo conto solo ora perché il tempo libero è diventato un miraggio e ci sono sempre più spesso volte in cui, rigirando tra le mani l’unica ora d’aria disponibile, sono passato dal volerla sfruttare per affrontare dieci match mordi e fuggi al desiderio di godermene ogni secondo in una singola partita di qualità sopraffina.
CERTO, NON SI PUÒ VIVERE DI SOLO HARDCORE, MA PAGARE A CARO PREZZO OGNI ERRORE RENDE PIÙ DOLCE IL SUCCESSO
Tanto più è alta la posta in palio, tanto più aumenta l’importanza del successo e di ogni passo compiuto per ottenerlo. La soddisfazione di avercela fatta nonostante tutto ripaga con gli interessi degli errori fatti in precedenza, quasi come se ciascun nemico non fosse nient’altro che la rappresentazione digitale degli ostacoli che la capricciosa vita – un viaggio hardcore anch’esso in fondo, la permadeath c’è, la guardia va tenuta costantemente alta e ad alcuni sbagli non si può rimediare – è solita seminare lungo il nostro cammino. Dopo essere stato per così dire obbligato a cimentarmi con dei gameplay così distanti da ciò cui ero abituato o a cui credevo erroneamente di appartenere, dopo aver dovuto per forza accettare la sfida con me stesso ancor prima che con le diaboliche trovate degli sviluppatori, finalmente riesco a comprendere che essere per pochi non è sempre un male.
Dunque ben vengano tutti quei titoli che ti spingono a dare il massimo sempre, che non possono né vogliono conquistare chiunque ma esclusivamente chi è pronto a rimboccarsi le maniche perché sa che altrimenti non andrà da nessuna parte, chi è consapevole che dovrà impegnarsi a fondo per superare i limiti che non sapeva di poter oltrepassare. E volete sapere perché dacché li evitavo sono finito a fare il tifo per loro? Perché, a forza di morire male, ho appurato che quando riesci a venire a capo di un gioco simile non c’è kill streak, loot, trofeo, rank o classifica che tenga: il senso d’appagamento che ti pervade interiormente è una di quelle ricompense in cui raramente capita d’imbattersi in ambito virtuale.