Rare Replayed: tre storie da ricordare dopo la cancellazione di EverWild – Speciale

Rare è stata probabilmente la prima clamorosa acquisizione di Microsoft all’alba dell’era di Xbox. A quel curriculum pieno di voci seminali per la storia del videogioco e di atti di ribellione contro quello che all’epoca era Dio, ovvero Nintendo, però si è aggiunto veramente poco in questa parentesi verde.

Sea of Thieves A Pirate's Life

“Ricorderete questo giorno come quello in cui avete quasi cancellato Capitan Jack Sparrow”.

Quando penso all’espressione “stato di grazia” una delle prime cose che mi vengono in mente è la Rare del 1997. Non che negli anni precedenti a Twycross non si fosse fatto il bello e il cattivo tempo, per quanto riguarda i videogiochi, ma il 1997 è una storia diversa. Nel giro di qualche mese Rare pubblica Blast Corps, Goldeneye 007, Donkey Kong Land III e Diddy Kong Racing. Ora, Blast Corps non è di certo entrato nella storia del medium dalla porta principale – anche se comunque buttalo via, nel suo essere un giocattolo clamorosamente ignorante. Gli altri tre titoli però la storia l’han fatta eccome. Tre volte nello stesso anno. Contro un’unica volta in 23 anni su Xbox.

IL MARE DEI LADRI

È il 2018 e Rare è sostanzialmente ferma dall’uscita di Rare Replay, raccolta per Xbox One di alcune sue vecchie glorie. Perché i ricordi sono più o meno tutto quello che è rimasto a Rare. Nell’ultima decade è stato il team di Kinect, incaricato di tirare fuori “il Wii Sports” della periferica di Microsoft e relative espansioni/seguiti. Solo che Kinect su Xbox One è diventato da subito un costoso fermacarte che zavorra il prezzo della macchina di un centone, cioè la differenza che passa tra One e PS4. Da un po’ prima del rilascio di Rare Replay si sta lavorando a qualcosa di ardito, mai visto prima nel curriculum di uno studio che negli anni ha provato veramente di tutto. Tutto tranne un Game as a Service, una piattaforma dove lasciare le chiavi in mano ai giocatori e lasciare che siano loro a scrivere le loro storie sui diari di bordo. Insomma, è il 2018 ed è uscito Sea of Thieves.

sea of thieves jack sparrow

“Il problema non è il problema, il problema è il tuo atteggiamento riguardo al problema”. E prometto di finirla di citare Jack Sparrow per oggi.

Sea of Thieves va tanto male a livello di critica quanto bene a livello di pubblico. Per rendersene conto basta andare su Metacritic e mettere a confronto i voti delle versioni PC e Xbox One con quelli dell’uscita su PS5 dell’anno scorso. Da una parte 67 e 69, dall’altra un 81, con addirittura un perfect score assegnato dal Guardian. La giustificazione ufficiale, probabilmente, sta nei contenuti disponibili in-game. Al lancio c’era effettivamente ben poco da fare e le campagne relative a Pirati dei Caraibi e Monkey Island sarebbero arrivate solo negli anni ’20. La verità è che però Sea of Thieves non era un gioco che poteva essere capito giocandolo per qualche settimana – esagerando – o giudicato secondo un approccio convenzionale.

Sea of Thieves viene bocciato dalla critica, ma se ne frega e diventa uno dei maggiori successi di Xbox

La forza di Sea of Thieves sta in quello che nei game studies si definisce gameplay emergente: il come si combinano tra loro meccaniche tutto sommato semplici (se non proprio abbozzate) per dare vita a situazioni nuove, uniche proprio perché creano situazioni non ripetibili che non si limitano a finire nel diario di bordo, ma vanno dritte in quello dei ricordi dall’altra parte dello schermo. Ricorderò sempre la prima sera in cui assieme ad altri tre amici abbiamo preso il controllo della Burning Blade. Quella in cui abbiamo provato ad assaltare la nave di altri sconosciuti e poi è finita che ci siam messi a collaborare, l’altra in cui ho fatto saltare il nostro brigantino portando a bordo un barile esplosivo e innescandolo per sbaglio. Già nei primi mesi di messa in commercio Sea of Thieves era diventato la nuova IP venduta più velocemente su Xbox One. Ad agosto c’erano 5 milioni di pirati. Erano 10 due anni più tardi, destinati a diventare 15 già dopo qualche mese per via dell’uscita su Steam. Ma Sea of Thieves è un’esperienza che va al di là dei numeri del suo successo. Sea of Thieves è qualcosa che bisogna giocare almeno una volta, un canto delle sirene che non ha bisogno di sistemi complicati o di uno storytelling roboante per convincere Ulisse che, forse, questa volta non è il caso di farsi legare all’albero maestro ed è meglio cedere.

MEGLIO DI MARIO KART

Torniamo per un attimo a quel 1997 dello stato di grazia. Mario Kart 64 è già fuori da un anno, è alla sua seconda iterazione e si è già affermato come system seller, tant’è che finirà per essere il secondo titolo più venduto su Nintendo 64 (dietro ovviamente a Super Mario 64). Nessuno sente il bisogno di avere un altro kart game sulla stessa macchina, anche perché, dai, cosa si potrebbe avere di più di un gioco dove il roster di Super Mario si affronta in pista o nelle arene della Battle Mode? La risposta probabilmente include uno story mode, tre diverse tipologie di veicoli a disposizione (kart, hovercraft e aeroplano) e un’esperienza di gioco che fa molto più perno sull’abilità del giocatore che sull’alea di power up in grado di ribaltare la situazione.

Pensa che una volta 10 personaggi giocabili erano tanti.

Sembra un dettaglio ma è invece quello che poi pad (scomodo, su Nintendo 64) alla mano fa la differenza: in Diddy Kong Racing i power up non sono casuali, ma dipendono dal colore del palloncino su cui si passa sopra col veicolo. Passando sopra un palloncino dello stesso colore si potenzia il bonus, e facendolo una terza volta lo si porta al massimo. E non manca nemmeno la risposta in stile Rare alla Battle Mode di Mario Kart 64, con una modalità simile a cattura la bandiera dove l’obiettivo è quello di rubare delle uova agli altri giocatori e portarli al proprio nido per fare più punti possibile.

Non serviva un clone di Mario Kart, eppure Diddy Kong esce e per tanti versi lo supera

Ma il risultato più eclatante è probabilmente quello tecnico: Diddy Kong Racing gira più o meno alla stessa velocità di Mario Kart 64. E fin qui si sarebbe portati a ritenerlo il minimo risultato accettabile, ma bisogna considerare che mentre Mario Kart utilizzava degli sprite bidimensionali Diddy Kong vantava dei modelli 3D completi. Quando si ripensa ai kart game di quella generazione spesso e volentieri si cita come esempio virtuoso Crash Team Racing, de facto l’ultimo titolo della serie sviluppato da Naughty Dog. Il lavoro dello studio californiano nell’immaginario collettivo di quella generazione (di giocatori, più che di giochi) mette le ruote davanti grazie allo story mode. Diddy Kong Racing però oltre a vantare lo stesso “selling point” portava delle idee a livello di gameplay che nel genere non si erano ancora viste, e che impiegheranno anni a tornare in auge – l’idea del deltaplano di Mario Kart 7 va a riprendere quella dell’aereo di Diddy, per esempio.

LICENZA DI UCCIDERE

Non si faccia l’errore di pensare che Rare sia esistita solo nel 2018 della rinascita incompresa e in quel 1997 che oggi sarebbe irripetibile per qualunque sviluppatore. Rare era già uno studio affermato nel 1994, tanto da convincere Nintendo a comprarne la metà e a renderlo una delle sue seconde parti più importanti, a cui affidare Proprietà Intellettuali pesanti come quella di Donkey Kong. E ricavarne in cambio perle come Donkey Kong Country, qualcosa che si faceva quasi fatica a pensare potesse girare su SNES. Quelli di Donkey Kong Country però erano anche gli anni del moto di ribellione del videogioco e dei videogiocatori. Stufi di essere percepiti come qualcosa per bambini, in quegli anni id Software confeziona prima Wolfenstein 3D (che poi uscirà proprio nel ’94 su SNES in una forma epurata di sangue, nazisti e cani, sostituiti da ratti giganti) e poi DOOM, mentre Midway tira fuori dal cilindro Mortal Kombat. Rare non può stare a guardare, e dopo aver cercato e ottenuto un accordo di distribuzione su arcade proprio con Midway decide di rispondere con Killer Instinct.

Killer Instinct 10th anniversary update

L’eterno scontro tra ninja e lupi mannari

Killer Instinct non avrà la legacy di altri giochi Rare, ma mostra bene la loro cifra stilistica

Killer Instinct deve indubbiamente molto a Mortal Kombat. Ne ricalca in buona parte la vena gore e le ambientazioni cupe, e prende anche in prestito il concetto di Fatality che ha reso iconica la serie. Su queste basi però Rare fa quello che Rare ha poi sempre fatto nella sua storia: ci mette le sue idee. Nasce il concetto di auto-combo per il quale basta inserire l’inizio di una sequenza per dare il là a serie di colpi che possono arrivare anche a tre cifre. Nasce quello di combo-breaker per bilanciarlo, dando la possibilità di interrompere la sequenza dell’avversario con delle mosse specifiche. A guardare oggi Killer Instinct fanno un po’ sorridere i personaggi, estremamente stereotipati anche considerando genere e periodo storico, eppure tanto il cabinato quanto il successivo porting su SNES riscuotono un certo successo. Successo che però si ferma lì, non riuscendo a ripetersi con Killer Instinct 2 (e la sua versione Gold per Nintendo 64), congelando l’IP fino a quando Microsoft non deciderà di riportarla in vita nel 2013. Rare però con questo reboot ha poco a che fare, limitandosi a collaborare con Double Helix – lo studio che Microsoft mette nominalmente a capo della prima stagione del gioco per poi sostituirlo per la seconda con Iron Galaxy.

È un po’ la sineddoche di quello che, quantomeno per ora, tolto Sea of Thieves Rare è stata per Microsoft.

O quantomeno in Microsoft. Una perla spesso dimenticata in un portagioie che dopo il ridimensionamento di questi giorni e l’addio di Gregg Mayles e Louise O’Connor assomiglia pericolosamente allo scrigno di Davy Jones.

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