Punch Club - Recensione

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Punch Club è il gioco di combattimento per chi non sa tenere un pad in mano. Allo stesso modo, è il manageriale per chi non sa cosa fare mentre il matchmaking della beta di Street Fighter V si decida a scovare qualche nuovo sfidante. Principalmente, è il titolo di debutto dei Lazy Bear Games, gruppo di sviluppatori indie russi cresciuti a film d’azione e videogiochi a otto e sedici bit, un invidiabile bagaglio culturale che si riflette in quasi ogni schermata del gioco. Perché, nonostante un incipit cupo a base di omicidi e sete di vendetta, Punch Club non si prende mai completamente sul serio, con riferimenti alla cultura pop che tirano in ballo Clerks, Pulp Fiction, Senza esclusione di colpi e e tanti altri capisaldi dell’immaginario nerd.

GIVEN STRENGHT BY THE BREATH OF LIFE…

Va bene così, perché la voglia di scovare questa o quella citazione diluisce uno schema di gioco altrimenti piuttosto monotono, almeno inizialmente. Ogni giornata è una lotta per la sopravvivenza, con il bisogno di dormire e mangiare che vanno a braccetto con la bolletta cronica dell’anonimo protagonista (che chiameremo Frank Dux in questa recensione, vedi anche i titoli dei paragrafi) e la necessità di allenarsi e vincere, puntando al trono del re dei combattenti e scoprire alla fine il segreto dietro l’assassinio del padre.

Punch Club

Punch Club è pieno di riferimenti alla cultura pop, da Clerks a Pulp Fiction, e tanti altri capisaldi dell’immaginario nerd

Il rendimento di Frank è governato da quattro caratteristiche davvero ardue da equilibrare: la salute determina i punti vita durante gli scontri, energia e fame scendono costantemente ad ogni azione mentre lo spirito influenza i risultati dell’allenamento. Con tutto quello che c’è da fare e un tutorial iniziale piuttosto striminzito, i primi passi tra le risse di Punch Club sanno essere traumatici, quando Frank sarà costretto a scovare il ritmo quotidiano ideale per presentarsi al meglio sul ring, mettendo in conto le variabili che il gioco saprà introdurre andando avanti, come pericolosissimi (ma fruttuosi) incontri clandestini e una fidanzata petulante da seguire e coccolare in cambio di utilissimi buff. Il tutto senza dimenticare gli spostamenti in una città dura, dove sbucano teppisti di ogni risma a dare una ripassata al povero Frank e privarlo di metà del denaro guadagnato, che invece potrebbe essere ben speso in cibo o nell’acquisto di strumenti d’allenamento. A conti fatti il vero nemico del gioco non è tanto l’enigmatico uomo dagli occhi rossi che si intravede nell’introduzione, quanto il bisogno di trarre il meglio da ogni singolo giorno. Come nella vita reale, ma con l’obbligo di prendere a botte perfetti sconosciuti.

… I’M GONNA STAKE MY CLAIM, I FIGHT TO SURVIVE!

Non è però necessario essere l’alter ego di Daigo Umehara per avere la meglio sugli avversari, perché i combattimenti di Punch Club sono gestiti dal computer, che si prenderà la briga di effettuare i tiri di dado virtuale e determinare l’andamento dello scontro, nonostante la squisita grafica in stile Super Famicom possa apparire come il palcoscenico adatto per un picchiaduro indie con i fiocchi. Il giocatore sceglie quali tecniche usare in combattimento tra schivate, attacchi e abilità speciali, riservandosi la possibilità di modificare il corredo tra un round e l’altro, magari scegliendo mosse meno spossanti qualora il fiato venisse meno. Perché lo scontro non si vince solo picchiando sodo, ma soprattutto concentrando lo sviluppo del nostro Frank su uno o più valori tra forza, agilità e stamina.

Punch Club

Gli scontri si vincono concentrando lo sviluppo del nostro Frank su uno o più valori tra forza, agilità e stamina

Pompare la prima permette di colpire con la grazia di un tir carico di dinamite, la seconda di andare a segno e schivare con la grazia di un ninja mentre la terza è indispensabile per assorbire il danno e continuare ad attaccare senza crollare stremati. Come nella gestione delle attività da incastrare in una singola giornata, anche qui l’equilibrio è importantissimo, perché migliorare all’unisono i tre valori risulterà alla lunga in uno spreco di tempo. Pesi, sacchi e affini offrono un allenamento mirato, rischiando di chiudere in palestra dalla mattina alla sera l’aspirante Mister Olympia, mentre le tecniche da apprendere per trasformare Frank in una macchina omicida richiedono un esborso dei (risicati) punti esperienza sempre maggiore, costringendo il manager lungimirante a decidere praticamente da subito quale strada seguire. Non per nulla ci sono tre diverse specializzazioni, che si renderanno presto disponibili: la strada dell’orso insegna a pestare duro, quella della tigre a colpire veloce e evitare di farsi prendere a calci, mentre la via della testuggine mira a creare un’insormontabile montagna umana.

Punch Club è un gioco piacevole, ma il suo ritmo ciclico e lento lo rende un candidato poco appetibile su un PC da mille euro e passa, sebbene le esigue richieste hardware ne fanno un prodotto alla portata di praticamente ogni sistema. È il gioco ideale da tenere in finestra mentre si fa altro, ma non si tratta certamente dell’opzione ideale; per questo ne consiglio l’acquisto su dispositivi mobile, dove l’assenza di input diretti e reattivi durante gli scontri ben si sposa con qualunque touch screen. Combattere per la vita nei panni del nostro amico Frank Dux è coinvolgente mentre si fa la fila alla posta o durante una pausa in ufficio, molto meno davanti a un computer equipaggiato con scheda video megaborg; per quei momenti lì c’è bisogno di quella varietà e di quella voglia di stupire che al momento Punch Club non può vantare, mettendo a nudo fin dai primi minuti la sua anima da gioco per cellulari. Non che sia un male, ci mancherebbe, ma è bene che sappiate a cosa andate incontro.

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Pro

  • Riuscita estetica retro e citazioni a palate.
  • Magnetico, una volta che si prende la mano.

Contro

  • Piuttosto ciclico e ripetitivo.
  • Sonoro appena funzionale.
7

Buono

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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