Rubo la scena per una volta a Mario Baccigalupi e Danilo Dellafrana, nostri esperti e impallinati redazionali per quanto riguarda il mondo della Realtà Virtuale, e mi impossesso della loro rubrica dedicata all’argomento per raccontarvi di una giornata nella quale io e Claudio Todeschini abbiamo passato le loro ore a un evento di Sony tutto incentrato su PlayStation VR e sulle prossime uscite per la suddetta periferica. Prima di parlare dei singoli giochi, devo necessariamente premettere come abbia un rapporto conflittuale con la Realtà Virtuale, non certo perché non ne sia attratto, ma per via di qualche fenomeno di motion sickness che mi prende in determinati casi: non sono ancora riuscito a trovare il filo logico per cui alcuni titoli riesco a viverli in VR senza fare una piega (anche se estremamente frenetici), mentre altri mi creano nausea o giramenti di testa. Tant’è… peggio va a Claudio Todeschini, che è praticamente uscito dall’evento sui gomiti, come vi racconterà lui stesso in calce allo speciale che state leggendo.
GIOCHI PER TUTTI I GUSTI
L’offerta messa sul piatto da Sony per i prossimi mesi di PlayStation VR è abbastanza eterogenea e riesce a coprire un po’ tutti i gusti. Il primo giro, obbligatoriamente, l’ha vinto Gran Turismo Sport, che proponeva una gara in quel di Brands Hatch. La resa in Realtà Virtuale del titolo Polyphony Digital è assolutamente perfetta: a differenza della percezione di pasticcio che mi aveva restituito Driveclub VR, qui l’orizzonte è sempre ben chiaro, le distanze sono definite e si ha sempre la piena percezione dell’ambiente circostante, nonostante la risoluzione di PlayStation VR palesi inevitabili fenomeni di aliasing. È soprattutto sui saliscendi che caratterizzano il celebre circuito britannico che la Realtà Virtuale mostra i muscoli, anche se è proprio durante i cambi repentini di pendenza che mi si è accesa qualche sensazione di malessere, seppur leggera: evidentemente il mio fisico regge poco bene la VR nei titoli di guida, il che è un male, considerato quanto ami il genere e quale sensazione di immersione si provi indossando un caschetto VR e affrontando le curve a filo di cordolo.
Farpoint può diventare una Killer Application in grado di trascinare le vendite di PlayStation VR
Nella sua semplicità e nel suo essere frenetico, StarBlood Arena mi ha divertito non poco
Restando in tema sci-fi, ma virando su qualcosa di più “tranquillo”, vi segnalo l’ottima esperienza che ho avuto con The Persistence, una sorta di Alien: Isolation in forma meno spaventosa e con gli zombie al posto di xenomorfi e androidi. La cosa peculiare del titolo di Firesprite Games sta nel suo potersi interfacciare con un tablet attraverso una companion app che consente a un secondo giocatore di aiutare da fuori chi sta indossando il caschetto VR. Nel mio caso, il compagno di avventure è stato il buon Claudio, che attraverso il tablet di cui sopra mi ha segnalato la presenza di nemici nelle varie stanze della base.
Il titolo che mi ha colpito di più in assoluto, però, è stato Ace Combat. Fa quasi strano elevare un titolo di terze parti a ricordo migliore dell’esperienza vissuta con PlayStation VR relativamente a un evento pieno di titoli griffati Sony, ma per me è stato davvero così. Il gioco di aerei di Bandai Namco non solo è fighissimo da vedere (nonostante i noti limiti tecnici degli schermi VR) ma è anche un vero spasso da giocare, oltre ad avere un senso davvero compiuto all’interno del concetto spaziale di Realtà Virtuale, che qui impatta con prepotenza nel gameplay: poter girare la testa all’interno del cockpit per vedere dove si trovino gli aerei nemici è un’esperienza da un lato esaltante, e dall’altro unica nel panorama dei flight combat game. Peraltro, proprio come nel caso di StarBlood Arena, ho indossato il caschetto di PlayStation VR convinto che avrei mollato il colpo mezzo secondo dopo il decollo del jet dalla portaerei; invece, con mia grande sorpresa, mi sono goduto l’intero dimostrativo dall’inizio alla fine senza colpo ferire, e anzi sarei andato volentieri avanti per tutto il pomeriggio, non ci fossero stati in coda dietro di me i colleghi spazientiti delle altre testate. Una gran sorpresa, davvero. E ora, lascio tastiera e parola al buon Claudio, che si è appena ripreso a colpi di Plasil.
CIAO, SONO CLAUDIO E LA VR MI FA STAR MALE
Non possedendo un caschetto per la realtà virtuale, le mie impressioni a caldo dopo la mattinata all’evento di Sony potrebbero essere quelle di chi decide di acquistare PSVR totalmente a digiuno dell’esperienza. Per questo, vi parlerò soprattutto dell’impatto che i vari titoli presentati a Milano hanno avuto su di me.
Innanzitutto, è stato detto mille volte, molto gioca l’abitudine. Un po’ come per gli FPS più tosti e veloci, la sensazione di nausea passa con il tempo, o quantomeno si attenua. Poi ci sono alcuni titoli che possono più o meno scatenare la motion sickness, che nel mio caso sono stati proprio i due più interessanti dell’evento, e quelli che ci tenevo maggiormente a provare: Gran Turismo Sport e Farpoint. Con il primo ho fatto due giri a Brands Hatch, a bordo di una Honda Civic da Turismo, e ho immediatamente percepito un malessere generale alla prima discesona dopo la partenza. E mentre cercavo faticosamente di ripigliarmi, mi sono reso conto che i tratti in piano – e relative curve – non rappresentano un grande problema, mentre sono proprio i cambi di pendenza a farmi stare peggio, i punti dove il cervello si aspetta un’azione della forza di gravità sul corpo che nella realtà non si verifica affatto. Complice forse una visuale un po’ troppo vicina al parabrezza per i miei gusti, insomma, il nuovo capitolo di Polyphony Digital rimane per me assolutamente off limits, almeno nella sua modalità VR.
Pollice verso anche per Farpoint, divertente shooter spaziale co-operativo dove la presenza del fuoco amico ha mandato a rotoli la partita tra me e Ivan in tempo zero. Insomma, avete capito, ero già lì pronto a scaricare il mio fucile sull’ignaro compagno di avventure, quando la gestione del tutto anomala del movimento mi ha messo in grande difficoltà. Lo stick analogico montato sulla periferica che simula il fucile, infatti, permette di “scivolare” sul terreno nelle quattro direzioni, e già questo è abbastanza insolito, per chi è abituato al movimento del proprio avatar in uno shooter in soggettiva (mi dice però Mario che è una soluzione abbastanza comune, vista per esempio anche in Serious Sam VR, probabilmente perché il “bobbing” della testa causerebbe ancora più problemi); il problema vero, almeno nel mio caso, è stato che i movimenti destra/sinistra dello stick non fanno ruotare lo sguardo, ma spostare il personaggio nelle due direzioni, creando una non indifferente confusione mentale nel momento in cui ci si sposta da una parte e si punta la testa dall’altra. Anche qui, non fatico a credere che si tratti di abituarsi a guardare nella direzione verso cui ci si muove, e lo stesso dev che ci ha fatto da “tutor” e con cui abbiamo chiacchierato ci ha detto che occorre “andarci piano”, soprattutto all’inizio, e che non è stato implementato il salto proprio per evitare di creare troppi problemi nei giocatori. Sarà, ma nel quarto d’ora della prova, in più di un’occasione, ho avvertito netta la sensazione di star perdendo l’equilibrio e di cadere per terra.
Situazione analoga per l’FPS Starblood Arena, che non mi ha particolarmente colpito per originalità, e che ho dovuto abbandonare dopo una manciata di scontri. Qui il movimento è un po’ più intuitivo e in linea con quel che siamo abituati a fare in uno shooter, ma non ha aiutato aver giocato da seduti, con il personaggio che invece svolazza in giro per le arene. Nessun problema invece per Ace Combat 7: Skies Unknown, il nuovo arcade di combattimenti aerei di Bandai Namco, dove i movimenti frenetici e totalmente liberi del caccia non mi hanno dato alcun malessere: da un lato, credo, perché il mio cervello non ha mai volato in quelle condizioni, quindi non si “aspetta” niente, diversamente da quel che accade quando si va in macchina; dall’altro, ha aiutato il fatto di muoversi in spazi quasi del tutto sgombri, privi di troppi elementi di riferimento, come accade anche nelle simulazioni spaziali.