Zelda Breath of the Wild vince il Pulcinella Award al Cartoons on the Bay

The Legend of Zelda Breath of the Wild

Switch Wii U

The Legend of Zelda: Breath of the Wild – Provato

Le prime cinque ore in compagnia di The Legend of Zelda: Breath of the Wild sono volate che manco me ne sono accorto. O meglio, l’unico contatto col mondo esterno è stato paradossalmente causato dalla console stessa, impietosa nel segnalarmi che erano terminate le tre ore di autonomia della batteria, e che quindi avrei dovuto smettere di giocare sdraiato a letto. Poco male, visto che per riprendere l’avventura è bastato inserire Switch nella docking station e agganciare i Joy-Con all’apposito gadget, così da tenere in mano la faccia colorata di Hello Spank. Ho scritto “poco male”? Mi sono sbagliato, perché allo stato attuale The Legend of Zelda: Breath of the Wild su TV pare un gioco diverso dal punto di vista tecnico, ma su questo argomento ci torno tra un po’. Prima parliamo delle cose belle… anzi, bellissime. Anzi, di più.

UN GIOCO DOVE SI RESPIRA

Il primo impatto con The Legend of Zelda: Breath of the Wild è esattamente quello che ci si aspetta di avere. C’è il mistero di una storia nuova, che tuttavia poggia le basi su un lore talmente “nostro” da farci sentire immediatamente a casa; c’è un mondo che ci sbatte in faccia la sua sontuosità nel giro di un amen, e che non manca di farci capire che quel “wild” nel titolo non è stato messo lì solo per fare colore; c’è, soprattutto, lo stimolo nel voler comprendere dinamiche se vogliamo un po’ estranee alla serie e che partecipano al ballo in punta di piedi, nel rispetto di un gameplay che con un occhio continua a guardare alla tradizione, ma che con l’altro scruta al futuro.

Le primissime ore si trascorrono su un altopiano, dal quale si domina una piccola parte dell’intera mappa di gioco (grandissima, davvero). Per lasciare questa zona occorre portare a compimento alcuni passaggi della missione principale, per lo più legati all’esplorazione di alcuni dungeon chiamati Santuari, laddove si apprendono le prime abilità che andranno poi usate sia per risolvere alcuni enigmi, sia per sopravvivere quando le cose si fanno più serie. Passata questa fase, The Legend of Zelda: Breath of the Wild si apre e pervade i polmoni come una boccata di aria fresca: la storia principale comincia a ramificarsi e a darci possibilità di seguire un percorso al posto di un altro, ma soprattutto viene una gran voglia di deviare dalla via segnata per esplorare, verificare, scoprire. Non ho ancora giocato a Horizon: Zero Dawn, ma da quello che ho visto (e da quanto ha raccontato il buon Mancini nella sua lucente recensione), Breath of the Wild sparge al vento il medesimo seme: è viva la percezione di avere a disposizione un mondo da girare senza soluzione di continuità (magari rischiando di prendere schiaffi improvvisi, se ci si avventura in angoli troppo pericolosi), laddove gli unici caricamenti intervengono al momento di entrare/uscire dai già citati Santuari, o quando la pigrizia fa capolino e si preferisce l’uso del viaggio rapido a una sana passeggiata.

The Legend of Zelda Breath of the Wild 02

Il primo impatto con Breath of the Wild è esattamente quello che ci si aspetta

Un approccio così fortemente open world è accompagnato da una blanda componente survival cui tocca giocoforza avere a che fare, almeno nelle prime ore di gioco (ma ho il forte sospetto che, andando avanti nell’avventura, questa sarà ancor più impattante), e che coinvolge anche il ciclo giorno/notte, ben lungi dall’essere un mero orpello estetico. Per dire, imparare in fretta a cucinare, mescolando più ingredienti alla ricerca dei buff temporanei più disparati, è la prima regola da seguire per dare a Link un minimo di speranza di sopravvivenza, per lo meno in alcune situazioni particolari. Armi e scudi, poi, si consumano e si rompono con una velocità folle, ergo occorre saper decidere cosa lasciare giù e cosa portarci dietro, una volta ripulito un avamposto di nemici. L’inventario è invero piccolino, ma può essere espanso alla bisogna, anche se con fatica. Le Rupie, infine, non si accumulano con facilità, dedicandosi al giardinaggio o alla distruzione, bensì vanno recuperate vendendo oggetti che – ahinoi! – sappiamo potrebbero tornarci utili in futuro in un’ottica tipicamente survival.

The Legend of Zelda: Breath of the Wild, almeno nel suo incipit, è insomma anche un gioco di scelte, che peraltro coinvolgono direttamente perfino i momenti più action. Un avamposto nemico può essere approcciato con la violenza diretta, ma nulla vieta di battere anche vie più sottili: ad esempio, sfruttare la morfologia del terreno di scontro può essere un’opzione valida, magari salendo su un’altura e abbattendo gli avversari a suon di bombe e frecce, o anche facendo rotolare un masso verso un prospiciente barile carico di esplosivo. Serve quindi sperimentare anche nelle battaglie, molto più di quanto sia toccato fare in passato, anche perché andare a muso duro e senza essere opportunamente equipaggiati aumenta esponenzialmente il rischio di ritrovarsi a piangere davanti al Game Over. La speranza, in ottica longevità, è che il pungolare continuamente il giocatore regga per tutta la durata dell’avventura, ma per discuterne più a ragion veduta toccherà attendere il momento della recensione.

LA NOTA DOLENTE

Ecco… la recensione. Torno a bomba e vi confesso di essere personalmente dubbioso sull’opportunità di uscire con un giudizio definitivo su The Legend of Zelda: Breath of the Wild senza aver sperimentato gli effetti di un’eventuale day-one patch (non ancora disponibile al momento in cui scrivo queste parole, proprio come quella che aggiornerà il software di Switch). Il gioco di Nintendo è per ora tanto splendido da vedere e da giocare “console in mano”, quanto problematico una volta che il segnale video viene dato in pasto a un televisore: tra cali evidenti di frame rate e un effetto pastello eccessivamente marcato, non si può dire che l’esperienza sia paragonabile a quella donata dalla forma portatile.

The Legend of Zelda Breath of the Wild cover ufficiale

Breath of the Wild, almeno nel suo incipit, è anche un gioco di scelte

Certo, la qualità di un’opera come questa passa prima per la sostanza del gameplay e per l’espressione della direzione artistica, e solo dopo per la forma (altrimenti, ad esempio, i figlioli di Hidetaka Miyazaki ne uscirebbero con le ossa rotte); tuttavia, nel caso di The Legend of Zelda: Breath of the Wild la differenza tra le due esperienze è palese, e tocca capire bene perché ciò accada. Se, dopo aver visto il gioco allo Showcase qualche settimana fa, avevo dato la colpa al fatto che fossi di fronte a una demo e alla pochezza del TV cui era connessa la docking station, ora non posso dire lo stesso, visto che The Legend of Zelda: Breath of the Wild è nelle mie mani nella sua forma finale e si sta comportando allo stesso modo, anche su un pannello di indubbia qualità. Che sia un inciampo dell’engine del gioco, capace di dare il meglio alla risoluzione di 720p ma che si affatica troppo quando l’output sale a 900p? O forse c’è qualcosa che non funziona a livello di firmware, e che si spera venga prontamente sistemato da Nintendo prima del lancio? Incrociamo tutti le dita e speriamo per il meglio: io, ora, vi “smollo” ché ho una voglia matta di andare avanti a giocare (console in mano, s’intende).

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