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Crossing Souls

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Crossing Souls - Provato

Crossing Souls di Fourattic è finalmente tornato a farsi vedere, dopo quel fugace incontro di due anni fa in una roulotte nel parcheggio di Devolver Digital all’E3, dove io e Claudio ci siamo innamorati della sua estetica anni ’80 e della meravigliosa colonna sonora di TimeCop1983, DJ synthpop olandese che dal 2015 è sempre con noi per ogni trasferta redazionale. Il titolo spagnolo, inizialmente previsto per la primavera del 2017, si era invero perso un po’ per strada, e Alfonso Cueto, uno dei programmatori, mi diceva che della demo dell’E3 2015 è rimasto davvero poco in termini di gameplay. Al centro di Crossing Souls, però, è rimasto quell’amore sfrenato per gli anni d’oro del grande Real, ma, soprattutto, il cuore adolescenziale della produzione, che ci trasporta in un universo narrativo che strizza l’occhio a Stand by Me o ai Goonies, per un’operazione che ricorda per certi versi 8mm e Stranger Things, ma con molti più pixel.

ANNO DOMINI 1986

Crossing Souls è un titolo evidentemente nostalgico, ma per sua fortuna non si perde troppo in lirismi melensi, preferendo un approccio più rilassato e ironico nel recupero degli elementi iconici del periodo che mette in scena, con un citazionismo evidente, ma, apparentemente, senza troppi ammiccamenti fastidiosi fini a se stessi. Siamo nell’estate 1986 e la storia di Crossing Souls racconta delle vacanze assolutamente fuori dalla norma di un gruppo di amici, per una vicenda che in termini di natura sembra partorita dalla mente di Steven Spielberg. I cinque protagonisti si trovano a vivere un’avventura fantastica a metà strada tra due dimensioni, quella reale e un’altra che appartiene all’aldilà, evocata da alcune strane pietre piramidali che, di fatto, aprono lo squarcio verso il Duat, un piano dell’esistenza che mette in comunicazione il nostro mondo con il passato.

Al centro di Crossing Souls c’è l’amore sfrenato per gli anni d’oro del grande Real

Una volta trovato il primo manufatto, la cricca si troverà al centro, ovviamente, di una faccenda molto più grande di quanto il simpatico gruppo di sbarbatelli possa affrontare, dove non mancano un cattivaccio senza pietà, una bella cospirazione governativa… e soprattutto un personaggio che sembra il clone di Richard Branson, il cui ruolo per ora mi è sfuggito. Insomma, i cinque amici dovranno vender cara la pelle per salvare se stessi, le proprie famiglie e il mondo intero, e per farlo, oltre a capire come sfruttare la doppia dimensione a proprio vantaggio, dovranno soprattutto fare leva sulla loro amicizia.

L’UNIONE FA LA FORZA

In termini di gameplay, Crossing Souls è coerente sia con l’ambientazione e il periodo storico raccontato, sia con il senso della storia. Prendendo come base i JRPG d’azione in stile Zelda, integra il resto con sequenze più o meno varie, che prevedono inseguimenti o un minimo di platforming. Non mancano ostacoli da superare, nemici da sgominare in combattimento o enigmi da risolvere, e in ogni fase l’azione tiene sempre in conto della forza del gruppo. I cinque protagonisti hanno infatti abilità uniche da sfruttare alla bisogna in maniera complementare: se Chris, infatti, è a suo agio nei salti e a scalare le pareti, la forza di Big Joe torna utile per spostare casse ed elementi dello scenario, l’ingegno di Matt permette di azionare meccanismi tecnologici; la tenacia di quella che è il vero e proprio leader del gruppo, Charlie, permette poi di liberarsi facilmente dei nemici e spostarsi agilmente sulla mappa. Non ho dimenticato Kevin, il fratello minore di Chris, ma lui è sicuramente molto meno versatile, e fra una bolla fatta con il chewingum e una puzzetta, diciamo bisogna proteggerlo finché non sarà lui a trovare il modo di essere d’aiuto per il gruppo.

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la dinamica di cambio volante del personaggio diventa ben presto il fulcro del gameplay

Potendo controllare un solo membro per volta, la dinamica di cambio volante del personaggio diventa ben presto il fulcro del gameplay. La parte introduttiva che ho giocato serviva per lo più a familiarizzare proprio con i personaggi, che funzionano tutti benone, e con l’idea che tutti, a turno, possano diventare fondamentali. Anche il Duat è una vera e propria meccanica di gioco, perché una volta conquistata la pietra è possibile squarciare il velo della realtà e interagire con le anime di cavernicoli, cowboy e altri più o meno singolari personaggi del passato. Il galleggiare tra le due dimensioni (tecnicamente lo si fa con la pressione di un tasto) è al centro dell’avventura: nel corso della storia bisognerà saltellare di qui e di lì per provare a togliersi dai guai, scoprendo anche un importante legame tra i due mondi.

Rispetto alla demo di due anni fa, Crossing Souls è decisamente più pulito, omogeneo e coerente, con una narrazione che finalmente accompagna il gameplay senza confusione, svelando lentamente un mondo in pixel art meraviglioso, ricchissimo di dettagli ed elementi con cui interagire. Tra un enigma e l’altro, confermatissime e ancora più curate appaiono le sequenze in stile animazione americana anni ’80 (ed è subito Kidd Video!); alle musiche di TimeCop1983 si sono aggiunti anche i temi orchestrali di Chris Köbke, che richiamano movimenti tipici delle colonne sonore di John Williams e che contribuiscono a rendere ancora più vivide le atmosfere spielberghiane. Il risultato, in termini scenici, è davvero notevole, per un gioco che sembrerebbe ricalcare serenamente Oxenfree e Life is Strange in quel filone pieno di feels di videogiochi in grado di raccontare in maniera straordinaria la nostra adolescenza. Inutile dire che sono salito già sull’hype train, con tanto di walkman.

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