L’attesa del film forse è stato il film stesso, o almeno così è stato il primo pensiero che mi è balenato in testa appena uscito dalla proiezione stampa di Spider-Man: No Way Home, terzo capitolo ufficiale con una gestazione difficile, ambizioni produttive alle stelle e la voglia di coccolare senza filtri tutti i fan del ragno di casa Marvel.
Per idea produttiva e possibile risposta del pubblico, questo tra tutti i film della gestione Sony-Marvel di Spider-Man è stato il più rischioso. Replicare le iterazioni precedenti, portate al cinema da Sam Raimi prima e Marc Webb dopo era inutile e il terzo Spider-Man in meno di quindici anni, con il tracollo del reboot portato al cinema da Andrew Garfield, doveva rappresentare l’ennesima sfumatura, eliminando qualche stilema (niente morte di zio Ben) o soprassedendo su altri.
Dunque il Peter Parker di Tom Holland è già Spider-Man, morso anche lui da un ragno, gettato nella mischia da Tony Stark e divenuto un Avenger, ma ecco che dopo gli eventi di Spider-Man: Far From Home l’identità del giovane eroe viene resa pubblica al mondo intero.
Ancora prima di essere un ciclo supereroistico, la trilogia diretta da Jon Watts si è incentrata sulla crescita e il rapporto che il giovane Peter Parker ha con la scuola. La progressione anagrafica coincide con l’ampliamento delle responsabilità, tangibile film dopo film. Homecomingera la festa di quartiere dove ritrovare il personaggio nell’universo Marvel, Far From Home è stato costruito sul retaggio di Stark, No Way Home è il punto di svolta per l’arrampicamuri, con la necessità di prendere decisioni, rimediare ai proprio errori (aver disturbato il sortilegio da lui richiesto a Strange) e rendere concreto il mantra che “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”.
L’apertura del Multiverso e l’arrivo di altri nemici di Spider-Man è un banco di prova incredibilmente arduo per l’eroe. Il dramma si fa strada con insistenza nel film, perché Peter Parker (e non Spider-Man) dovrà prendere notevoli decisioni, il sacrificio serpeggia mentre il mondo diventa un luogo sempre più ostile per chi gli vuole bene. Forse che tutto il mondo dimentichi la reale identità di Spider-Man è un bene, pur rischiando di rimanere solo per sempre, sacrificando amore, amici e affetti.
Il cammino dell’eroe acquisisce quindi una duplice valenza, dentro e fuori lo schermo, perché il film non è solo un terzo capitolo, ma un particolarissimo esercizio per impostare alcune tappe per il futuro del personaggio, smussare alcuni angoli, eliminarne altri e perché no, dare un pizzico di reboot per ricominciare ancora una volta. In fondo capita a tutti noi, il periodo passato a scuola è pieno di avvenimenti che talvolta viaggiano così veloci da lasciare emozioni capaci di graffiare sulla pelle; solo da adulti, guardando le cicatrici, ritroveremo il gusto di quelle sensazioni.
Prima l’Avvoltoio, poi Mysterio e ora una sequenza interminabile di nemici da altri universi. Spider-Man è preso da un continuo assalto e c’è bisogno di ritrovare, o meglio, prendere per la prima volta, delle decisioni sagge. Se il concetto del ritorno è stato presente in questi tre film, adesso Spider-Man non deve tornare da nessuna parte, ma voltare le spalle al passato e diventare un nuovo Uomo Ragno, resettare la sua vita, comprendere i propri limiti giacché una sfida contro nemici sempre più forti è una prova di forza scaturita dall’immaturità di vivere dietro una maschera, senza responsabilità verso il prossimo o le persone che Peter ha attorno.
Spider-man no way home è un tassello quasi conclusivo del classico cammino dell’eroe in particolare quando le responsabilità prendono il sopravvento
Come ogni cammino dell’eroe, il sacrificio è contemplato solo quando si raggiunge la totale maturità e, quando questo arriva, è assai doloroso. No Way Home è il capitolo più emozionante e, preso per le pinze, il più drammatico, perché i passi di Spider-Man rompono le schermo, vengono facilmente assimilati e compresi. In un pomeriggio di neve, anche solo vedere Peter camminare e rimuginare sulle proprie azioni viene percepito come un atto umano di grande valore.
In questo senso, la doppia faccia della stessa medaglia si mostra anche nella gestione dei nemici, in particolare quelli della visione Raimi, temibili, micidiali, ma estremamente umani. Il Goblin di Dafoe vittima della superbia mentre il Dock Ock di Molina forgiato dalla fama e dalla poesia, sono concretamente loro due i polmoni del film, uno redenzione e l’altro estrema ferocia con Peter che si trova di mezzo, assimilando l’etica di aiutare tutti, come possibile, anche a costo della sua vita.
No Way Home mostra come anche una forte morale possa vacillare in momenti di forte pressione, accerchiati da problemi (o nemici) ovunque, molte volta la soluzione è riconsiderare le priorità e magari, farsi aiutare da qualche amico o mano più esperta.
Alla fine, questo terzo capitolo viene costruito come una grande, grandissima, metafora della fine dell’adolescenza, di quando ci si affaccia con tutto il viso al mondo adulto e si scopre che i tempi per giocare sono finiti. Forse, l’unico grande difetto del film è proprio questo, vivere ed esporre il proprio messaggio al massimo delle possibilità, per poi non avere nulla più oltre ciò che presenta.
Uno spettacolo caldo e avvolgente, incalzante e divertente, ma per struttura narrativa, contenuti e duplici letture, Spider-Man: Far From Home si rivela ancora più ricco. Questo terzo capitolo è per chi ha amato ieri Spider-Man, lo sta amando oggi e si prepara ad amarlo anche domani, con tutte le consapevolezze del caso e il carico di sacrificio e coraggio che sta portando sulle spalle per gli anni futuri.
VOTO 8
Genere: azione, avventura
Publisher: Disney
Regia: Jon Watts
Colonna Sonora: Michael Giacchino
Interpreti: Tom Holland, Zendaya, Benedict Cumberbatch, John Favreau, Marisa Tomei, Willem Dafoe, Jamie Foxx, Alfred Molina
Durata: 148 minuti