Credo apprezzerete molto le differenze tattili e visive. Mi pare quasi di scorgervi in una delle eroiche edicole che ancora resistono: avete preso in mano TGM 413 per portarla al negoziante, a meno che non ve l’abbia data lui, accorgendovi in tutti i casi del ritorno della costina e della copertina verniciata, sfogliandola al volo per sincerarvi che pure la carta è migliorata per grammatura superiore, per poi scoprire che anche il prezzo è aumentato senza, tuttavia, che questo vi scoraggi: vi invitiamo a tenere presente che TGM ha ignorato per quasi un decennio gli aumenti che hanno interessato la quasi totalità delle altre pubblicazioni, e che quei due euro in più servono proprio per compensare i robusti upgrade operati da questa rivista in poi. A questo seguirà nei prossimi mesi la campagna di abbonamento, che intanto inizia da un succoso preambolo: come già detto altrove, fino al 30 giugno i prezzi delle offerte che includono il cartaceo rimarranno gli stessi!
Anche per altre ragioni, quando arrivo alla copertina e relativi contenuti, mi sembra di vedere le vostre facce, esaltate in alcuni casi o anche pensierose (non riesco a immaginarvi incazzati, suvvia). Mettiamola così: Clair Obcur Expedition 33 e Doom The Dark Ages sono usciti da troppe settimane, mentre Elden Ring NightReign – comunque dotato di tutti i requisiti per una cover – aveva un tempismo d’uscita molto più adatto a TGM 413. A parte l’eccellente recensione, su questo stesso numero è presente un corposo e altrettanto valido dossier proprio sul rapporto tra roguelike (o roguelite) e soulslike: di sicuro, uno dei tratti che accomuna i generi – uno relativamente nuovo, l’altro decennale – è l’elevata difficoltà, per cui le due tipologie spesso ibride di videogiochi si sono alimentate a vicenda e, allo stesso tempo, hanno propiziato il revival di ostici tattici a turni, CRPG, deckbuilder e altre classi di videogiochi, tutte grossomodo accomunate dal ritorno a sfide degne di questo nome, spesso “generatori di bestemmie” con struttura procedurale e morte (più o meno, “lite” può indicare che alcune caratteristiche conquistate sono rimaste) permanente del PG. In questo senso, usando un po’ di immaginazione ma nemmeno tanta, possiamo quasi ritenere il primo Dark Souls e tutti gli altri che sono seguiti come simil-roguelike costruiti su mappe non randomiche – anzi, il certosino level design ne è parte fondamentale – fino alla scoperta del primo falò, cosa che alla prima run assoluta nella serie mi è costata una serie di morti tanto fitta da aver leso la mia stessa dignità di giocatore, abituato ad altri ritmi anche perché, all’epoca, non ancora arricchito dall’esperienza del capostipite Demon’s Souls. Come dicevo, anticipando solo in piccolissima parte i contenuti dello speciale, spesso i seguaci sono ibridi che prescindono allegramente dalle regole della celebre Berlin Interpretation, che al contrario mi sembrò più rigida e meno contenutisticamente permissiva quando ne scrissi in un dossier di tanti anni fa. Questo per ricordare che, ormai da più di un decennio, si ci può allontanare da alcune caratteristiche espresse nella BI tra generazione algoritmica, permadeath e sistema a turni senza uscire dalla lunga eredità dell’antichissimo (almeno, per la velocità con cui si evolvono i videogiochi) Rogue di quasi cinquantennale memoria.
Gli altri topic del mese sono senz’altro il nuovo DOOM, meno bisognoso di approfondimenti per ovvie ragioni, e Clair Obscur Expedition 33, GdR con combattimento a turni, in questo e altro un po’ in stile JRPG, pazzesca colonna sonora, eccellente trama e una fantasia compositiva – specie per ambientazioni, nemici e boss – per la quale non può comunque essere ignorata l’influenza negli ultimi 15 anni di quella specie di “liberazione delle fantasie più oscure” che Hidetaka Mijazaki ha iniettato nel videoludo, quasi come un virus qualitativamente benigno. In entrambi i casi, pur con le debite distanze a livello di budget, si può anche parlare di longevità precisa e controllata, endemica negli FPS classici ma apparentemente quasi persa, almeno fino a qualche anno fa, in tanti altri generi interessati dalla mania per i titoli open world, spesso vicini all’eccellenza solo se legati a costi stratosferici e studi di sviluppo potenti e blasonati. E invece no, COE33 ci ricorda che si può essere felicemente appagati anche da 30 ore, o anche meno, specie se l’esperienza in questione è talmente ben pensata – nel caso del gioco di Sandfall sopra la soglia del vero capolavoro – da farti desiderare altre run per sviscerarne ogni succoso contenuto. Una tendenza che riprende il passato nemmeno così lontano dei videogiochi e può interessare sviluppatori piccoli ma anche medio-grandi, con enorme esperienza, come nel caso di Rebellion e della recente dichiarazione dei suoi vertici circa la decisione di rimanere in una fascia di mercato più ponderata nell’ampiezza dei giochi e, così, nel loro budget, ma non per questo inferiori in termini qualitativi (materia di una news degli Spotlight, mentre sul “Ritorno alla Linearità” potete trovare un omonimo editoriale sul nostro bel sito). Per il resto, vi lascio alla solita magnifica TGM fatta di tante altre recensioni, classiche ed eccellenti rubriche, approfondimenti e l’inserto RetroTGM, contenuti che emergono – con enorme potenza, direi – anche nel sommario linkato qui sotto e in apertura. Buona lettura 🙂
Mario “Second Variety” Baccigalupi
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