Ogni volta che devo creare un personaggio, che sia per un gioco di ruolo digitale o da tavolo, entro in crisi profonda. Non tanto per l’aspetto, le abilità o le caratteristiche, che solitamente ho ben chiare a seconda dell’approccio che intendo usare, quanto più per il nome. Quel dannato nome non è solo un modo come un altro per andare a ripescare il proprio alter-ego da una lunga serie di salvataggi, ma è il biglietto da visita utilizzato per entrare in un mondo fantastico. Nei titoli single player, alla fine, la scelta risulta abbastanza semplice: vestire i panni di Polpetta il temibile mago, finché abbiamo a che fare con una schiera di NPG, non è un grosso problema. Viceversa, quando giunge il momento della fatidica scelta sull’ennesima opera multiplayer, posso solo cominciare a piangere.
Cominciai la mia “vita online” con il lontano Diablo. Ero giovanissimo e, fondamentalmente, non capivo un tubo. Proprio come oggi, ma con meno spese da sostenere. Dopo aver aiutato un amico a formattare il PC, e dopo aver osservato per ore la scritta “REBOOTING” sul suo schermo (senza rendermi conto che si era tristemente bloccato, ma quella è un’altra storia), decisi che quell’oscura parola inglese era perfetta come nome. Così, a Tristram, giunse l’impavido guerriero Rebooting. Ci vollero anni prima dell’avvento della vergogna.
Con Diablo spuntò anche ICQ, di cui ricordo ancora il codice utente come se fosse il mio telefono di casa (44171855, vi sfido a trovarne uno più vecchio!) e con esso le prime “amicizie” online. Non passarono troppi giorni prima che mi fecero notare che, a conti fatti, Rebooting fosse proprio un nome orribile, così senza troppi complimenti cominciarono a troncare la parte finale. Era l’inizio del 1999, e il sottoscritto aveva trovato il proprio nickname (ai tempi si pronunciava proprio tutto: nickname… portate pazienza). Se qualcuno su qualsiasi gioco, chat o forum leggeva Reboo poteva essere certo che stava parlando con me. Che poi, sotto sotto, non era neanche così malvagio come nome.
Il nickname è il biglietto da visita utilizzato per entrare in un mondo fantastico
Io, grazie al cielo, nel corso degli anni ho rinnegato la mia etichetta: correva il 2005 quando mi iscrissi (per la seconda volta) a The Miracle Shard, e dovendo affacciarmi a del sano gioco di ruolo era fondamentale trovare un nome credibile per il mio alter-ego, e Reboo, grazie al cielo, mi fu immediatamente silurato. Provai anche Bengio, ma a quanto pare non risultava abbastanza “originale”. Così, sfruttando senza troppi complimenti un elenco di nomi fantasy, fui folgorato dal nome Astro. Ancora non ne comprendo i motivi, ma mi fu accettato.
A volte sono solito sfruttare brutalmente nomi di farmaci e molecole
Nascondo (male) anche un altro segreto: quando devo creare qualche personaggio estemporaneo o che, fondamentalmente, mi interessa poco, sono solito sfruttare brutalmente nomi di farmaci e molecole. Su World of WarCraft ero particolarmente legato al mio warlock orco Ketoprofene, o al mio prete non-morto Proteus, ma per non destare sospetti mi bastava scrivere al contrario il nome di qualche pastiglia. Non ci credete? Nessuno si è mai posto troppi dubbi quando parlava con il mio aitante contadino Nim Ronet, con l’oscuro mago Xisal, con il ranger Nolfad, con il moro Sidracim o l’elfo Enedlef. Ora che però conoscete il mio segreto, sono costretto a uccidervi.