Tempus Fugit

Sono praticamente due anni che mi riprometto di raccontarvi la mia esperienza con Gothic, uno dei nodi cruciali che mi hanno portato a coltivare la grande passione per i videogiochi negli anni a seguire, assieme a quella per il Cinema. La mia personalissima battaglia di Waterloo, perno fondamentale del mio passato dove mi arresi al fascino ludico e drammaturgico del medium. Ci pensavo proprio giovedì quando, in fila ad attendere il mio turno per ritirare PlayStation 5, ho concretizzato nella mia testa un viaggio a ritroso fino alla prima console su cui ho speso davvero tanto tempo, il NES. A distanza di 25 anni, ora sono qui, con un DualSense nei palmi delle mani che mi sta regalando sensazioni al tatto incredibilmente stupefacenti.

Proprio quando ero pronto – finalmente – a raccontarvi il rapporto con Gothic, eccomi a inizializzare la nuova macchina di Sony. Navigo nella nuova dashboard. Ci vorrà un po’ di tempo per prendere confidenza, credo sia  normale. Vado sul mio profilo e controllo i giochi in mio possesso. Con somma sorpresa, si apre una lista dove per ogni titolo c’è un contatore di ore spese su ogni gioco.
Panico. Nella mia testa sovviene un muro bianco. Le priorità improvvisamente si susseguono e si incasellano in modo caotico per lasciare spazio a un’unica missione: verificare quante ore sono stato dietro a ogni gioco.

secondo voi, quanto dovrebbe durare in media un videogioco?

Non ho mai nascosto il mio amore per i GaaS, quelli fatti bene, con i nuovi contenuti sempre capaci di andare di pari passo alla piacevolezza nel giocarci. Vado fiero delle mie 400 ore su Destiny e circa 550 su Destiny 2–  chiaramente in constante aumento – cifre relativamente giustificate per il genere di appartenenza. Il percorso del titolo Bungie ha un inizio, ma nessuna fine, portandoci a reiterare  la stessa formula di gioco per ottenere loot sempre più prezioso e potente. Guardando agli altri giochi, magari quelli prevalentemente single player, la situazione porta a far manovrare  il cervello con varie considerazioni, tanto verso il pubblico che fruisce del prodotto quanto sul lavoro di una software house: secondo voi, quanto dovrebbe durare in media un videogioco?

Il settimo Resident Evil segna più di 50 ore, frutto di tre run, una esclusivamente in VR accanto a tutti i minigiochi e porzioni di avventura aggiuntiva dei DLC, ma ricordo nitidamente che alla prima partita riuscii a fuggire da casa Baker in circa 10 ore. Situazione diversa per Resident Evil 3 Remake, concluso in appena 5 ore, tempo di gioco che venne apertamente criticato dai tanti appassionati che fremevano all’idea di poter fuggire da Raccoon City senza mai guardarsi dietro. D’altronde, discorso dei finali a parte, anche l’originale era breve; percorrendo il terreno solido del remake fedele la poca longevità è assai giustificata, ma c’è sempre chi si lamenta.

Di fatto, non è mai stata redatta una linea guida per la longevità dei videogiochi, i quali possono acquisire valore anche in riferimento al prezzo a cui sono stati venduti. Sicuramente questo è un altro punto critico, dove convivono tanti e diversi pensieri, tutti coerenti e che, tuttavia, dovrebbero essere ben contestualizzati prima di avanzare valutazioni facilmente banali.  Personalmente, anche in situazioni del genere, tendo a concentrarmi sul mero valore del viaggio.

Anche con RE7 in molti avanzarono un disappunto per la poca longevità dello storymode, che sfiorava per l’appunto 10 ore scarse , a fronte di altri giocatori che risposero portando ad esempio le tante avventure horror in prima persona con longevità mediamente minore, e che in tutti in casi la tensione non deve calare a causa di un’eccessiva durata. Eppure, poi, ci si scioglie d’amore per 130 ore di The Witcher 3 e ci annoiamo per 40 ore di Assassin’s Creed Origins. Qualcosa chiaramente non torna e la risposta è più o meno nota a tutti: il videogiocatore non è tanto difficile da accontentare, ma spesso non è conscio di cosa voglia concretamente.

Sarach Schachner assassin's creed origins ost

Le software house impegnate su AAA, dal canto loro, cercano sovente di attirare l’attenzione dei giocatori anche in una lunga fase post-lancio piena di aggiornamenti, DLC, nuove avventure, tutto per tenerci incollati al titolo e, dunque, far maturare altre ore di gioco. Nella sua forma allegorica, un gioco potrebbe durare finché non smette di divertirci, ma cercando di essere pragmatici, questa cosa non può sempre avvenire o trovare terreno fertile. Proprio pochi giorni fa parlavo di come un titolo quale Cobra Kai mi abbia intrattenuto – a detta del contatore di PS5 – per poco più di 35 ore, un quantitativo assolutamente fuori di testa per il valore del gioco effettivo, con una media di 5 ore al giorno per una settimana. Magari qualcun altro ci avrà dedicato quella manciata di ore per poi disinstallarlo subito dopo.

un gioco potrebbe durare in relazione al divertimento che riesce ancora a indurci nel giocarlo

Personalmente trovo una possibile soluzione – banalissima – proprio nella relazione di “amore e odio” verso Destiny, o almeno nella struttura ludica che presenta. Come vuole la natura di GaaS,  i due giochi della saga non possono intrattenere tutti i giorni della settimana o di un mese, bensì vivono anche di inevitabili momenti di stanchezza, per poi tornare a riempire i server quando gli sviluppatori decidono di rilasciare nuovi contenuti di peso. Alcuni non mandano giù una simile politica, altri la apprezzano senza sbandierarlo ai quattro venti, ché venir fucilati è un attimo; io, invece, la vedo semplicemente come l’ovvia prosecuzione di un viaggio concepito, senza misteri e fin da subito, per aggiungere un tassello inedito a intervalli più o meno regolari. Anche per quel Resident Evil 3 Remake, così breve e così intenso, non sento di poter salire in cattedra declamando una giusta o sbagliata longevità. Capisco, però, che la questione possa avere valore per taluni, e senza giudicare chiudo riproponendo la solita domanda: quanto dovrebbe durare un videogioco per giustificarne l’acquisto?

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