I videogiochi fanno bene

ELEMENTO SIGNIFICATIVO DI QUESTO STUDIO è LA PRIMA COLLABORAZIONE FRA RICERCATORI INDIPENDENTI E SOFTWARE HOUSE

L’altro dato significativo è la prima collaborazione tra ricercatori indipendenti e software house. Finora ogni ricerca sul tema si era basata su questionari di auto-rilevazione delle tempistiche di gioco compilati dai volontari. Tradotto: correlare gli effetti del gioco con il tempo di gioco era un terno al lotto. Come ben sapete, l’autodichiarazione del tempo passato col pad in mano è strettamente dipendente dall’identità di chi pone la domanda. Di fronte a un partner incazzato per lo stato pietoso della casa, la tempistica si riduce a manciate di minuti, mentre la stessa sessione può espandersi fino a ore ininterrotte se descritta in un gruppo di discussione online. Questa volta invece l’Università di Oxford ha collaborato con Nintendo ed Electronic Arts, ottenendo i dati rilevati dalle software house su frequenza e durata delle sessioni di gioco a Plants vs Zombies: Battle for Neighborville e Animal Crossing: New Horizons per migliaia di utenti anonimi, a cui poi è stato somministrato via mail un questionario scientificamente validato per misurare su una scala la loro percezione di quei sentimenti che compongono la complessità del nostro benessere mentale. Per la prima volta, insomma, si parla degli effetti dei videogiochi su basi scientifiche.

E, guarda un po’, il risultato è del tutto diverso da ciò che ci è stato fatto credere per anni: una seppur difficilmente misurabile correlazione tra benessere psichico e tempo di gioco esiste, ed è rilevabile. All’aumentare del tempo di gioco registrato, migliorano anche le risposte dei partecipanti in merito al loro benessere. Certo, trattandosi di un primo studio (ancora da sottoporre a peer review, per altro), rimangono molti aspetti inesplorati. Ad esempio potrebbe essere che chi sta bene è più propenso a giocare o che la disponibilità economica richiesta dal videogioco faccia da selettore in partenza sul benessere di chi gioca. Anche i diversi effetti di generi differenti, o di giochi che stimolano la soddisfazione dei bisogni oppure al contrario generano frustrazione, sarebbero da approfondire. Però quello di Oxford è un punto di partenza con cui bisognerà confrontarsi in futuro.

PROPRIO I LIMITI DELLO STUDIO DI OXFORD PORTANO A GALLA LA NECESSITà DI MAGGIORI STUDI

Proprio questi limiti, tuttavia, portano a galla la necessità di maggiori studi e di maggiore collaborazione tra software house e università, affinché venga finalmente esplorato su basi solide il rapporto tra le diverse sfaccettature della psicologia umana e i videogiochi. La buona notizia, insomma, non è tanto che i videogiochi facciano bene, ma che sia uno studio accademico a stabilirlo, attraverso la collaborazione di due software house come Nintendo ed EA, finalmente disposte a prendersi le responsabilità che il loro ruolo imporrebbe nei confronti dell’industria.

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