“Vedremo sempre meno videogiochi pensati per una sola piattaforma. Oggi può succedere che tu compri una Xbox mentre io compro una PlayStation, i nostri figli vogliano giocare insieme e non possano farlo perché abbiamo comprato il pezzo di plastica sbagliato da collegare alle nostre TV”. – Phil Spencer, 24/08/2022 @ Bloomberg
Sono sempre stato convinto che ad essere uguali dovrebbero essere i giocatori, non le piattaforme su cui giocano. Il videogioco non dovrebbe escludere nessuno che stia dall’altra parte dello schermo per motivi futili come genere, etnia o abilità pad alla mano – chiaro, poi Miyazaki ha tutto il diritto di dirti Git Gud, ma per ogni Dark Souls esiste un capitolo di Kirby uguale e contrario. Sotto la scocca però cambia tutto, ed è lì che l’industria dovrebbe celebrare le sue diversità, perché è proprio grazie a quelle e alla competizione che ne scaturisce che si sono scritte le pagine più interessanti di quel grande libro che è la storia dei videogiochi. E quindi davanti alle parole di Phil Spencer non posso che fare a meno di vedere la strada per l’inferno. Quella che è lastricata dalle proverbiali buone intenzioni, che in questo caso è l’idea che tutto sia multi-piattaforma.
Ora, è chiaro che Phil Spencer non è una persona estranea ai fatti. È il boss della divisione gaming di Microsoft, quella di Game Pass e di xCloud. E guarda caso Game Pass e xCloud potenzialmente rispondono al profilo di futuro descritto in quell’intervista. Un servizio di abbonamento come Game Pass, se fosse disponibile su tutte le piattaforme, eviterebbe di dover comprare più volte lo stesso gioco per macchine diverse. Poi a quel punto la magia tocca tutta al Cross Play, lasciando ai competitor l’onere di permettere a tutti di giocare con chi sta su Xbox o PC.
la magia tocca tutta al Cross Play, lasciando ai competitor l’onere di permettere a tutti di giocare con chi sta su Xbox o PC

Nel futuro avremo sempre meno esclusive, ma intanto un po’ di Yen a Kojima per fare qualcosa su Xbox glieli passiamo comunque.
La più grossa differenza tra PlayStation 5 e Xbox Series X – oltre ai 50€ in più sul prezzo di listino – è il controller. Fino ad oggi i videogiochi si sono appellati soprattutto alla vista e all’udito per raccontarsi. La dimensione tattile esisteva (non è casuale che Fumito Ueda in Ico chiedesse di tenere premuto R1 per tenere Yorda per mano), ma è sempre stato qualcosa di empatico più che di pratico. DualSense ha aggiunto il tatto ai videogiochi. Basta una partita ad Astro’s PlayRoom per capire le potenzialità della periferica, il modo in cui può trasmettere alla perfezione la sensazione della sabbia sotto i piedi della nostra proiezione virtuale oltre lo schermo, la tensione crescente della corda dell’arco più questa viene tirata, la pioggia che cade e fino ad oggi potevamo soltanto immaginare ci colpisse davvero. È una nuova frontiera, qualcosa che dobbiamo ancora esplorare, forse ancora capire appieno visto che per ora è stato solo un assaggio di quello che potrebbe davvero essere. Ed è stato solo un assaggio anche perché Sony di fronte alle difficoltà di approvvigionamento di PS5 ha smesso di credere nelle generazioni e ha deciso di insistere ancora un po’ con PS4, dove DualSense non c’è e non può esserci.
La più grossa differenza tra PlayStation 5 e Xbox Series X, oltre ai 50€ in più sul prezzo di listino, è il controller

: Lui dormito, lui rubato, lui perso sfida, eppure ecco che va via miglior idea che mia azienda di abbia mai avuto .
Cosa succederebbe alle tecnologie specifiche di una macchina da gioco se tutto il software prodotto dall’industria dovesse essere multipiattaforma? Diventerebbero perfettamente inutili, vere e proprie gimmick come il 3D stereoscopico di 3DS. Su una piattaforma sfigatissima come Wii U nel 2012 usciva ZombiU, survival tutto sommato modesto che però faceva un uso geniale dello schermo di GamePad, usandolo per gestire l’inventario del giocatore in tempo reale o per digitale le combinazioni sulle porte mentre lo schermo della TV principale inquadrava le spalle mostrando gli infetti avvicinarsi. Tre anni dopo lo stesso gioco è uscito anche su PS4 e Xbox One, epurato di tutte queste idee. E il risultato nemmeno a dirlo è molto meno interessante. Un mondo dove non esistono videogiochi in esclusiva sarebbe esattamente così, tante possibilità rifiutate a prescindere in nome di un senso di uguaglianza mal interpretato.
L’industria deve sicuramente riflettere su quelle che ad oggi sono le barriere in ingresso e tra le piattaforme che impediscono al medium di fare il prossimo passo avanti. Le esclusive per me non sono tra queste. Sono un valore, lo stesso valore che c’è nelle differenze tra le persone che stanno dall’altra parte dello schermo, quelle che non dovrebbero dividerci ma arricchirci.