La traduzione non è mestiere da dare per scontato

Sarà l’arrivo dell’inverno che spinge la gente a essere più frizzantina, ma sembra proprio che le ultime settimane abbiano una certa dovizia di argomenti che si ritrovano a polarizzare l’opinione. Quello di questi giorni riguarda la traduzione dei videogiochi, e la mancanza dei nomi dei traduttori nei crediti.

Traduzione

Il dibattito prende il via da Pentiment, avventura narrativa sviluppata da un piccolo gruppo interno a Obsidian Entertainment che fa capo al director Josh Sawyer. I titoli di coda di questo gioco includono infatti il bizzarro ruolo di “Italian Hand Gesture Consultant”, ma allo stesso tempo sono completamente assenti i nomi di chi si è occupato di rendere i numerosi dialoghi del gioco fruibili anche in lingua italiana. Chiaramente, questo non è un problema solo dell’italiano: anche per quanto riguarda le altre lingue in cui è disponibile il gioco non sono presenti i nomi dei traduttori, il che ha sollevato un certo dibattito sulla vicenda. Le discussioni hanno spinto a intervenire Josh Sawyer, che ha chiarito come il team di sviluppo abbia richiesto i loro nomi, ma questi non siano stati loro forniti dall’agenzia responsabile in tempo per il lancio; saranno quindi inclusi con un futuro aggiornamento.

QUESTIONE DI NOMI

Ora, la vicenda parte da Pentiment, ma secondo me non si esaurisce lì. Questo pezzo, ad essere sinceri, fa un po’ il paio con quanto diceva una settimana fa Daniele Dolce, nel suo editoriale sull’autorialità dei videogiochi: troppo spesso ci si dimentica dei nomi dietro a chi rende questi giochi speciali, nascondendoli dietro etichette di sicuro immediatamente riconoscibili, ma che non sempre ci dicono tutto su chi si sia davvero occupato dei lavori. Per fare un semplice esempio, se dovessimo basarci su quanto ci rivela la loro pagina Steam scopriremmo che Scarlet Nexus, Code Vein, Tekken 7, Soulcalibur VI e Tales of Arise sono stati sviluppati dallo stesso gruppo di persone, quando chiunque segua con un po’ più di attenzione i titoli del publisher giapponese saprà non è così.

I CREDITI SONO QUELLA PARTE DOVE I NOMI DI TUTTI COLORO CHE HANNO LAVORATO AL GIOCO HANNO DIRITTO A UN RICONOSCIMENTO. QUASI TUTTI, A VOLTE

C’è però un’area dove invece i nomi di tutti coloro che hanno lavorato a un videogioco vengono elencati nel dettaglio, e sono naturalmente i crediti o riconoscimenti. Certo, non esattamente la parte preferita dai videogiocatori di tutto il mondo (io stesso, lo ammetto candidamente, cerco quasi sempre furiosamente il tasto per saltarli o velocizzarli), ma è comunque importante che questo riconoscimento ci sia, ed è per questo motivo che mi fa tristezza quando invece qualcuno ne viene escluso. È il caso proprio dei traduttori, talvolta; non sempre, mi raccomando, anzi là fuori c’è dovizia di titoli che riportano in pieno anche i nomi di chi si è occupato dell’adattamento, ma qualche caso importante c’è. Per esempio, nei crediti di Elden Ring troviamo solo chi si è occupato della traduzione in spagnolo e in portoghese brasiliano, mentre in quelli di God of War troviamo solo i tester, che è comunque un ruolo importante, ma sono assenti i nomi di chi effettivamente si è occupato di adattare i testi.

E la cosa, lo dico sinceramente, non può che farmi dispiacere. Io non sono mai entrato nell’ambito della traduzione professionale di videogiochi, quindi non posso parlare di come vadano le cose all’interno di quell’ambiente, ma per qualche tempo ho bazzicato nell’ambito della traduzione amatoriale; e permettetemi uno slancio di vanità nel dire che se per caso avete giocato a Shadowrun: Dragonfall o a Hollow Knight in italiano, il merito è anche (non solo) mio. Ma in ogni caso, ciò che mi interessa dire è che quell’esperienza mi ha aiutato a imparare bene una cosa: e cioè che se tradurre una storia è più semplice che non scriverla da zero, questo non significa che sia semplice, anzi lo è di sicuro molto meno di quanto sembri a chi guarda da fuori.

MODI DI DIRE, MODI DI PARLARE

Ci sono le questioni linguistiche, prima di tutto. Molti giochi utilizzano modi di dire e registri linguistici diversi a seconda di chi parla e della sua provenienza, e un buon adattamento (che, assieme a “localizzazione”, è un termine più corretto di “traduzione”) deve tenere conto anche di questo: se don’t let the door hit you on the way out è un modo di dire che ha perfettamente senso per un utente anglofono, un italiano che si trova a leggere “non lasciare che la porta ti colpisca quando esci” si ritroverà quantomeno confuso; è dunque necessario non solo rendere questo modo di dire in italiano, ma se possibile anche trovare un suo corrispettivo nella nostra lingua. Vanno poi tenute presenti le differenze di registro linguistico: Max e Chloe di Life is Strange non si esprimeranno ovviamente nello stesso modo del guardiano David Madsen o del preside Raymond Wells, e serve una certa abilità e versatilità per imparare a non scrivere tutti i personaggi semplicemente come ci esprimeremmo noi.

Ci sono poi problemi più strettamente tecnici. La lunghezza dei testi, per esempio; non sempre un adattamento in lingua diversa da quella originale può prendersi il lusso di usare tutto lo spazio che desidera. Se una finestra di testo è stata progettata per avere limiti prestabiliti in termini di dimensioni, scrivere troppo potrà causare errori grafici. Ci sono naturalmente i limiti di tempo. E c’è anche la questione del contesto. Per noi giocatori è facile giudicare la qualità di una traduzione, perché abbiamo il gioco in mano e possiamo vedere bene ciò che succede a schermo; ma non è detto che questo sia sempre il caso per chi lavora all’adattamento. Chi ha giocato a The Last of Us nel 2013 ricorderà bene Ellie che indica una scacchiera e chiede a Joel “La sai suonare?”, che è l’esempio perfetto di un “can you play it” fornito senza il minimo contesto: come fa qualcuno che non ha di fronte il gioco a sapere che Ellie non si sta riferendo a uno strumento musicale, sopratutto considerato quanto sono emblematiche le scene di Joel che suona la chitarra?

traduzione

Queste sono, naturalmente, solo alcune delle trappole e degli ostacoli che un traduttore professionale si può trovare di fronte; se siete curiosi di saperne di più, non posso che rimandarvi al profilo Twitter di Alain Dellepiane, professionista che parla spesso delle vicissitudini del suo lavoro (e delle bizzarre richieste dei clienti). Ma spero che sia passato il messaggio: l’adattamento di un videogioco non è mestiere semplice, e a maggior ragione andrebbe valorizzato e riconosciuto tanto quanto quello di qualunque altro sviluppatore. Se non altro nei crediti.

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