Quando l'audio aiuta il giocatore

alien isolation mobile

Chi mi conosce sa perfettamente quanta attenzione io riservi al comparto audio durante la fruizione di contenuti multimediali, che si tratti di film, serie TV, partite di calcio o videogiochi, poco importa. Non ci fosse un piccolissimo problemino di denaro (e quindi di spazio), a causa del quale non ho una villa a disposizione (ma se volete farmi felice, l’IBAN ve lo giro volentieri), mi sarei approntato già da tempo una saletta isolata acusticamente e dotata di un impianto opportunamente configurato, magari con tanto di casse sul soffitto per sfruttare le capacità di Dolby Atmos e DTS:X. E invece, tocca accontentarsi (si fa per dire) di un semplice 5.1 in salotto, mentre quando gioco su PC preferisco indossare un paio di cuffie comode e performanti, come ad esempio le Logitech G533 che sto sfruttando con gioia in queste settimane.

Lo spunto per questo editoriale – su cui sto rimuginando da un po’ – ha acceso la scintilla prima di Natale, quando io e Claudio abbiamo passato una serata in redazione giocando a Destiny. Durante i miei giri nel crogiolo, laddove illustravo al buon keiser alcune sfiziosità a lui ignote del titolo di Bungie, sentivo che c’era qualcosa che non andava: faticavo nell’essere competitivo e a tratti mi sentivo perfino impacciato, come un bambinetto alle prime armi col gioco. È stato solo qualche giorno dopo, quando ho ripreso in mano Destiny da casa, che ho capito le origini del problema: mi era mancato il supporto dell’audio posizionale.

Quando l'audio aiuta il giocatore dolby atmos

L’orecchio, ormai, conta quanto l’occhio

Se una volta fruire di un impianto audio decoroso era più uno sfizio e impattava principalmente sul fattore “immersione”, da un po’ di tempo le cose sono cambiate: la percezione dell’origine dei suoni è diventata parte integrante del gameplay, e quando non ce l’ho “a tiro di orecchie” ne risente in modo importante anche il mio giocare. Penso, per dire, a come sarebbe appiattita la mia esperienza in Alien Isolation, dove più di una volta ho scelto una via al posto di un’altra assecondando ciò che udivo e non ciò che vedevo. In questi giorni, giusto per fare un altro esempio, sto lavorando su Styx: Shards of Darkness, un titolo totalmente stealth che, tra le varie cose, contempla un perk sbloccabile per udire (e vedere) i passi dei nemici più in lontananza di quanto già faccia di suo il protagonista: anche nel gioco di Cyanide Studios molto del mio approccio alle situazioni dipende dal feeling restituito dalle cuffie di cui sopra, tanto che in certi momenti mi sono ritrovato a ruotare lentamente la visuale non per guardarmi attorno, ma per collocare meglio nello spazio i rumori che mi circondavano.

Certo, i due esempi appena citati ben si prestano a sostegno di una tesi comunque già consolidata, ma il passaggio ulteriore del ragionamento porta all’istinto, alla reazione non ragionata ma indotta da un input sonoro nella testa. Torno a Destiny e mi accorgo di come le mie sinapsi siano condizionate dalla provenienza degli spari. Quando scappo vigliaccamente, ad esempio, scattare a destra o a sinistra dipende principalmente dalla percezione uditiva della posizione del nemico alle mie spalle: è un atto che ormai accade inconsciamente, senza quasi che me ne renda conto. L’orecchio, ormai, conta quanto l’occhio: se non posso fruire di un sistema audio capace di restituirmi la spazialità in maniera profonda e dettagliata, è come se giocassi in bassa risoluzione. Ditemi che è così anche per voi, e che non mi sto trasformando in un vecchietto viziato, per favore.

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