Il voto nel cervello

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Tra le diverse cose su cui l’editoriale del buon Fabio, la scorsa settimana, mi ha fatto riflettere, c’è anche l’apparentemente banale questione del voto. La metto così, come nel titolo, non per il bel suono delle parole ma perché, per tanti versi, si tratta di un incubo d’orrore dai risvolti trash. Il maledetto numero è ancora importantissimo per tantissimi utenti, forse la maggior parte a giudicare dall’esito degli esperimenti per toglierlo (almeno, quelli più rilevanti), e tuttavia si deve confrontare con la peculiare storia del giornalismo videoludico, così diverso da qualsiasi area “critica” da far dubitare, a volte, della legittimità del termine virgolettato.

Questa parte della storia non l’ha scritta praticamente nessuno, diventando quasi un “racconto orale” tramandato con l’ottica e la soggettività di chi ha vissuto il primo, vero boom globale dei videogiochi, ed era lì per scriverne. Da giornalista che è arrivato sulla piazza quando la festa grande era ormai finita, sicuramente per la stampa su carta e, in generale, per il minor fasto degli eventi, l’idea che mi sono fatto è di un gigantesco entusiasmo, a livelli quasi incontenibili, che dagli sviluppatori arrivava fluidamente sui giocatori e, così, sui redattori delle riviste su carta e delle primissime testate online, un branco di giovani del tutti nuovi alla professione giornalistica e, a maggior ragione, all’idea di “deontologia della critica”. La propria comune passione si stava imponendo con velocità e penetrazione incredibili, investimenti sempre più lauti e ambizioni altrettanto impavide, al punto da trasformare tutti quanti in “fanboy” non di qualche titolo, ma dei videogiochi in generale.

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Il boom dei videogiochi degli anni 90′ è stato così potente che non siamo diventati solo “fan” di qualche titolo, ma dei videogiochi in generale

Fatta la frittata, però, è difficile tornare indietro. I giocatori esperti sono infinitamente di più, e ognuno di loro ha già il cervello “formattato” sulla strana media dei voti ai videogiochi, esattamente come chi scrive le recensioni. Per quanto sbagliato o discutibile sia, un 70 viene sovente interpretato da ambo le parti come un voto basso, magari in relazione alla dimensione produttiva del gioco, al punto che un giudizio del genere può costare il triste destino dello scaffale; ai vertici, invece, è stata sempre più forte la tentazione di variare i voti sopra al 90 (o al 9.0), semplicemente perché tanti giochi “buoni” (traguardo invero complesso, per opere complicate come i videogiochi) sono stati già stati premiati con quel voto. Personalmente mi sono addirittura fatto prendere da un “limite interno”, determinato dal mio lungo status di lettore di TGM, con l’improbo tentativo di confrontare i voti dell’intera storia della rivista con quelli che davo io; in un secondo momento mi sono posto il problema dei titoli meno ricchi o indie, e contestualmente ho cercato, quantomeno, di premiarli per gli sforzi produttivi in relazione al risultato, invece di usarli – come talvolta mi capita di vedere – a mo’ di capro espiatorio per i difetti altrove ignorati. Oggi cerco solo di fare il mio lavoro, invitando tutti a leggere bene il testo perché, appunto, il giudizio numerico è viziato da mille fattori ed è comunque nato malissimo, almeno nel nostro caso.

Qualche giorno fa mi sono trovato a discutere nel merito di Mass Effect: Andromeda, in particolare sul fatto che gli appunti soggettivi avessero influenzato la recensione e, così, il voto. Il che mi è sembrato bizzarro, dal momento che la critica non potrà mai mancare di una robusta dose di soggettività, a meno di non ritenere i videogiochi un insieme di meccanismi più o meno oliati, senza altro poter aggiungere sulla componente artistica. Questo, però, è ancora l’aspetto nobile della questione, almeno se confrontato col sospetto, infondato in qualsiasi altro medium, che il mio “più che discreto” si sia trasformato in una valanga di escrementi fumanti.

Di fronte a certi eccessi vien voglia di sopprimerlo del tutto, ‘sto maledetto voto. Probabilmente TGM non lo farà in tempi stretti, anche solo per la tradizione che rappresentiamo nel giudizio “classico” a un videogioco. D’altra parte, le speranze per un vero cambiamento nella media globale sono assai scarse, e qui rischio di ricongiungermi perfettamente al discorso di Fabio: non siamo di fronte al nascente cinema all’inizio del XX secolo, ma a un treno già potentissimo e lanciato in corsa in un mercato da miliardi di persone, la cui critica non ha avuto nemmeno il tempo di formarsi e scegliersi gli attori. È come abbiamo scritto diverse volte, in relazione ad alcuni eventi a cui abbiamo partecipato: quella folla festante, in delirio per qualsiasi annuncio dei propri idoli, è la stessa chiamata in un secondo momento a mettere i voti, a cui oggi si aggiunge l’urgenza critica ancora (drasticamente) minore degli youtuber. Perché mai dovremmo aspettarci dei veri cambiamenti?

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