Nota introduttiva alla mia ossessione: quanto leggerete la rivelazione cui vi sto sottoponendo non influenza le mie recensioni. Ho due personalità, come il dottor Jekyll e il signor Hyde. Quando sono in me, scrivo. Quando la Bestia prende il sopravvento, accade quanto riportato qui sotto.
Provo un enorme fastidio quando nelle interviste chiedono al malcapitato di turno “Qual è la prima cosa che guardi in una donna/un uomo?”. L’ho sempre vista come una domanda fuori luogo; in primis perché una persona è un’entità più complessa di un insieme di pezzi da osservare in una certa sequenza. In secondo luogo, perché qualsiasi risposta darai, sarà quella sbagliata.
Se davvero diventassi tanto famoso da essere oggetto di tale questione, mi allenerei a simulare un infarto
“La prima cosa che guardo in una donna, vediamo – pausa mentre finge di pensare – sono gli zigomi”. Falso. Bugiardo. Menzognero. “La prima cosa che guardo in una donna è il lato B”. Zotico. Porco. Figlio del Patriarcato. Se mai diventassi tanto famoso da essere oggetto di tale questione, simulerei un infarto. Ma adesso, in un impulso di masochismo, mi rivolgerò l’esiziale domanda. No, non cosa guardo in una donna. Peggio. Qual è la prima cosa che guardo in un videogame?
QUAL È LA PRIMA COSA CHE GUARDI IN UN VIDEOGAME?
Fatemi pensare. I gomiti. Vero, si parlava di videogame, posso essere sincero, allora. Nella mia vita ho cambiato molte volte la risposta. Quando ho iniziato la carriera di videogiocatore, all’epoca degli 8bit, senza dubbio a catturare la mia attenzione era la grafica. Principalmente qualità degli sprite e animazioni non necessarie. Il sole che si riflette sull’acqua di International Karate Plus per C64, con i gabbiani che volano placidi al tramonto, visualizzati sul monitor del mio negozio preferito di cassette copiate mi ha indotto all’instabuy. Shut up and take my money. I nemici di Sir Arthur in Ghosts ‘n Goblins mi invogliavano a inserire monetine una dopo l’altra, anche se la difficoltà era al limite della rapina.
La maggior parte delle volte, una semplice foto era tutto ciò che mi era concesso vedere prima dell’acquisto, dunque quale altro parametro avrei potuto prendere in considerazione? Passata l’era della bassa risoluzione, iniziai a prestare particolare attenzione al realismo degli ambienti 3D, anche quando di tridimensionale c’era poco. Il cinema di Duke Nukem 3D da solo valeva l’intera run, e lo stesso dicasi per gli interni dei castelli di Quake, questo sì in vero 3D. Oggi, semplificando, possiamo affermare che ogni videogame ha la grafica che vuole, e nel mio personale modo di approcciarmi ai giochi l’aspetto estetico ha perso rilevanza. E adesso parliamo di mia nonna, perché tirare in ballo vecchiette e gattini giova ai click.
“COMINCIANO TUTTI CON UNA SIGARETTA, E FINISCONO CON LA SIRINGA”
Tra i mille concetti, tutti da debunkerare, tanto cari a mia nonna, svettavano le tre ore da aspettare dopo pranzo prima di poter fare il bagno in mare, che scendevano a due ore e mezza qualora il pasto fosse stato “leggero”, qualunque cosa volesse dire, e che non bisognava provare le sigarette, perché dal tabacco all’eroina il passo sarebbe stato brevissimo. Aveva ragione. Me ne sarei dovuto accorgere nell’epoca dei giochi Flash, quando preferivo Kongregate agli altri portali. Ufficialmente, perché proponeva una selezione dei videogame più divertenti, scelti nel mare magnum delle numerosissime release quotidiane. Kong era molto attento all’esperienza utente, e incoraggiava gli sviluppatori a inserire nei loro giochi dei premi che avrebbero garantito punti per scalare una classifica.
E quando vincevi uno di questi premi, ti compariva anche una simpatica iconcina. Si chiamavano Badge, e scoprii presto che vincere un Badge assurdo – per esempio terminando il livello di uno shooter senza sparare un colpo – mi divertiva più che progredire nel gioco stesso. Era questo il vero motivo per cui preferivo Kongregate. E il Badge of the Day, della durata di un giorno appena, è stato quanto di più FOMO abbia mai sperimentato. Ho iniziato con un Badge, ma avrei potuto iniziare con la grande G del Gamerscore di Xbox, o con i trofei della PS3. Quella è stata la mia sigaretta. Ora parliamo dell’eroina.
E VENNE STEAM
Nonostante prima di entare in redazione di TGM giocassi molto più su console che su PC, avevo pure io un account Steam. E da sempre affermo che tra tutti gli store di videogiochi, quello di casa Valve è il migliore. Con un paio di colpi di rotellina del mouse posso vedere recensioni degli utenti, presentazione fornita dagli sviluppatori, foto, video, premi vinti, lingue supportate, e achievement. Eccoli lì, sulla destra, con le loro belle icone colorate e un link per esaminarli in dettaglio con nome, descrizione e percentuale di completamento. È quello in punto in cui mi cade l’occhio per primo. Mi piace studiarli e collezionarli. E quando non li trovo, per me è un pesantissimo punto a sfavore.
Ma come, non hanno nemmeno inserito gli achievement? Ma sono del mestiere, questi? E così mi riscoprii drogato di achievement, ma solo di quelli di Steam. Immaginate il tracollo quando iniziai a ricevere codici su codici per le recensioni. Acquistato un PC da gaming, iniziai a comprare giochi che magari avevo già sulla Play, ma ancora non su Steam. Sono un tossico, ma rimango esigente, esigo roba di prima qualità. E se vi sta balenando per la mente l’idea di pubblicare una schifezza e farcirla di achievement contando sul mio acquisto, magari in compagnia di altri della mia risma, siete fuori strada. Con chi credete di aver a che fare? Ho sviluppato un giudizio etico tutto mio a riguardo, che ora vi spiego per meglio farvi addentrare nell’abisso della mia dipendenza.
SI FA PRESTO A DIRE ACHIEVEMENT
Un premio deve essere una ricompensa assegnata in seguito a determinati meriti. Keyword: meriti. Non mi puoi assegnare un achievement per aver completato il tutorial. Che c’è di meritevole nel completare un tutorial? Mi stai dicendo esattamente dove devo muovermi, cosa devo cliccare, quanto devo aspettare. Chiunque lo potrebbe ottenere. E questo lo inflaziona e lo rende nullo. A meno che il tutorial non sia facoltativo. In quel caso potrei anche capire, ma sarebbe comunque troppo facile. Ecco che mi scatta la molla nel cervello: non sapevano cosa inventare, e non hanno nemmeno provato a sforzarsi. Guarda qua: il 91.5% dei giocatori l’ha ricevuto. E il restante 8.5% sarà composto da persone che manco ci han giocato, seppellendo il titolo sotto tonnellate di cianfrusaglie nel baule del backlog. Io voglio fregiarmi con achievement difficili. Cooosa? Terminare otto volte di seguito il Game Plus senza morire mai? Ma questi sono pazzi! Hanno voluto mettere un maledettissimo achievement impossibile da ottenere per costringere le persone a spendere molto tempo sul loro videogame e farsi belli nella classifica dei più giocati.
Coooome? Il 3.2% dei gamer l’ha sbloccato? Ma ce l’hanno una vita, queste persone? Io ho un lavoro, ho una famiglia, mica ho tempo da buttare. Non posso passare la notte a giocare, perché come diceva Tomas Milian “so’ e tre e mezza, io devo dormì perché devo lavorà”. Il trofeo perfetto è quello che posso prendere senza troppe difficoltà, ma che per oscure trame del destino il 90% della popolazione non riesce a ottenere.
C’è un numero etico di achievement, nella mia testa, che oscilla dai venti ai trenta a seconda del tipo di gioco
Capirai che sforzo, duecento glie li hai regalati tu! C’è un numero etico di achievement, nella mia testa, che oscilla dai venti ai trenta a seconda del tipo di gioco. E quando platino un titolo, conquistando tutto il conquistabile? Non succede assolutamente nulla, sono felice per un paio di minuti, guardo il badge sulla libreria, e ritorno a consultare il catalogo con i criteri summenzionati. Non condivido nemmeno l’accaduto sui social. Al massimo, se sono al corrente che qualcuno dei miei amici si sta cimentando nella mia stessa impresa, gli mando uno screen per flexare un pochino. Faccio tutto questo solo e unicamente per me. E ne sono geloso. Sono il mio tesssssoro.