Troppo recente per essere considerato retrogaming, troppo spirato per essere un gioco contemporaneo.
No, non è un typo, c’è proprio scritto spirato. Non ispirato. C’è anche quell’aspetto, ma non è l’argomento di oggi. In questo ultimo periodo mi è capitato di conoscere Hob, gioco piccolo dal cuore grande che mi ha riservato molte sorprese. Non ne ho mai saputo granché. Il nome non mi era nuovo, sapevo che nel cast c’era un piccolo umanoide in tunica rossa e che adottava uno stile grafico fumettoso, ma nulla più di questo. Stava nella mia lista degli osservati, prima o poi lo avrei giocato. Quella cosa che cataloghi come “massì, mi potrebbe anche piacere”, poi te ne dimentichi perché vedi quell’altra cosa che invece sembra proprio fatta per te e ha tutto al posto giusto.
un gioco piccolo dal cuore grande che mi ha riservato molte sorprese
Finalmente è arrivata la fase in cui ho voglia di giochi fumettosi, scrollo un po’ le opzioni, lo rivedo e va beh, mi dico che è arrivato il momento. E… Hob, ti devo delle scuse. Avrei voluto conoscerti prima, di certo avrei potuto acquistarti prima. Quando forse avrebbe avuto una minuscola importanza economica.
Come da mia tradizione ogniqualvolta trovo un film che mi piace, controllo chi sono regista e sceneggiatore. Traducendo nel gaming, vado a vedere lo studio di sviluppo e l’art director del tempo. Ed ecco che vedo che Runic Games è stato chiuso ormai nel 2017. Lo stesso anno di pubblicazione di Hob, progetto guidato da Patrick Blank. Neanche il tempo di dargli un anno, per vedere se magari è un gioco con la coda lunga. Prima della grande bolla del Covid dove tutti stavano a casa a giocare. Prima dell’esplosione della stessa quando un sacco di utenti di passaggio sono tornati alla loro vita, di cui il gaming è stato solo una provvisoria parentesi.
Gioco uscito e studio chiuso nello stesso anno
Tra le altre cose scopro che Runic Games è lo stesso studio dei due Torchlight, altri giochi che non ho toccato con mano, ma che ho sentito nominare parecchie volte. Non i primi studenti che sviluppano il loro passion project nella cameretta universitaria, insomma. Ma persino questo non ha salvato Runic Games dal tritacarne dell’industria. In tutto questo Hob rappresenta un esperimento che per alcuni punti di vista è in continuità con i GdR isometrici. Un genere che trova espressione perlopiù nel lato gameplay che in quello ambientale. Dopotutto come si fa a rendere interessante il suolo?
LA SCELTA DELLE PIASTRELLE
Beh, se dovessi isolare una sola caratteristica di Hob che lo rende così speciale è che ha il pavimento più interessante e bello che io ricordi in un gioco con questo tipo di inquadratura dominante. Lussureggianti piani erbosi intervallati da foreste, laghi e fiumi che si articolano attraverso tutta la mappa, piante rampicanti che ci agevolano le scalate, vecchie architetture di una civiltà che forse è scomparsa, forse è dormiente da qualche parte, boh. Sta di fatto che non c’è nessuno in giro, se non un robottone grande il doppio del nostro protagonista in atteggiamento protettivo.
La lussureggiante natura viene però presto interrotta da qualcosa alieno, qualcosa che palesemente non c’entra. La classica poltiglia aliena che investe le architetture pre-esistenti fino a ostruire passaggi, avvinghiarsi attorno a strutture e impedire attraversamenti. È tentando di liberare uno di questi che il nostro piccolo protagonsita senza nome viene infettato al braccio. Il robottone arriva di corsa ed è subito inorridito da quella che è la sua unica opzione per salvare il piccolo: fermare l’infezione. Amputare.

Come da tradizione videoludica, la sostituzione di un arto con uno nuovo porta sempre qualche potere. In questo caso, interfacciarsi con le megastrutture.
Il risveglio avviene in una stanza sicura, in cui scopriamo che robotto ci ha donato il suo braccio e che ci aspetta fuori per portarci a una forgia, dove ci istruisce su come craftare la prima, umile spada. Non può più difenderci al meglio, quindi ci ha dato istruzioni per sopravvivere per conto nostro. Ma c’è un’altra cosa che vuole dirci: dobbiamo debellare lo schifo viola e ripristinare la megastruttura. La che? Beh, ora dobbiamo parlare di un’altra caratteristica ambiziosa di Hob: l’intero mondo di gioco si muove. Ma nel senso che se scomponessimo l’intera mappa del gioco in, diciamo, 10 sezioni di uguali dimensioni può capitare che una di queste si muova nella sua interezza.
Hob ha il pavimento più interessante che io abbia mai visto in un videogioco
Proprio questi differenti riassemblaggi ci daranno gli indizi visivi su come procedere, oltre a occasionali indicatori sulla mappa. Il gioco conta molto sulla memoria e intuizione visiva del giocatore, visto che, beh… nessuno dice una parola in una lingua comprensibile. La scelta narrativa che fa Hob è quella di non dirci niente, non spiegarci niente, di non presumere la nostra presenza come spettatori. Tutto quello che capiremo del mondo sarà ciò che decideremo di respirare, captare, interpretare. Vi sono persino alcuni momenti dove sbloccheremo dei chiostri segreti con dei “film” da vedere. Il nostro personaggino si siederà e osserverà una ripetuta sequenza di linee di luce che percorrono un bassorilievo. Cosa rappresentano? Boh. Ma almeno lui li capisce? Mah.
UNA CULTURA ORMAI NEL PASSATO
Un piccolo grande gioiello che impara la progressione da Zelda, il silenzio da Ico, la strana fauna da Oddworld, l’inquadratura dai suoi cugini Torchlight. E questa cosa della megastruttura che si riconnette è tutta sua. Ho divagato un po’, questa zuppa di parole è diventata una mezza recensione.
volevo farvi capire quanto speciale sia stato per me il contatto con questo gioco
Con Hob no. Sono tutto contento dall’esperienza, vado a vedere chi sono i creatori e sbam. Sorpresa. Lì per lì mi sono questo quanti sono i progetti che potrei vivere con la stessa sensibilità con cui ho vissuto Hob. Quanti sono gli studi di sviluppo caduti in ogni epoca e quanta potenza possono ancora esprimere con i loro giochi, posto di scoprirli (sempre se sono ancora giocabili da qualche parte, anche questo è un tasto da ricordare spesso). Perché a parte qualche highlight in tempi di scontistiche, in questo caso non c’è nemmeno più la partecipazione degli sviluppatori ai vari show, o attività sui social per promuovere i giochi del loro portfolio. La discussione attorno diventerà sempre più eterea, fino a dissiparsi nel passato.
Mi piacerebbe che i vari store digitali abilitassero una funzione che mostri se lo studio che ha sviluppato il gioco che sto guardando sia ancora aperto. E che ci fossero dei periodici highlight su, appunto, studi sfortunati.
Sto esplorando la cultura di un gruppo di persone, uno studio di sviluppo, un cocktail di talenti
Non solo per “mettermela via da subito” casomai il gioco dovesse piacermi. Ma per approcciarlo sapendo da principio che starei, letteralmente, facendo archeologia videoludica. Anche se fosse un gioco dell’altro ieri. Sto esplorando la cultura di un gruppo di persone, uno studio di sviluppo, un cocktail di talenti che non accadrà mai più. Almeno di Hob sono rimaste le vestigia giocabili.