Quando mi è stato proposto di scrivere un pezzo su fumetti e videogiochi, mi è bastato mezzo secondo per decidere che sarei partito scrivendo di una cartuccia che mi colpì moltissimo da bambino. Ricordavo vividamente il suo stile, alcune schermate, il ratto compagno d’avventura del protagonista… ma non il titolo. Poco male, è bastato cercare online “gioco fumetto sega mega drive” ed eccolo lì, pronto a rispondere alle parole chiave: Comix Zone.
Questo gioco del ‘95 si pone in un rapporto col fumetto per certi aspetti banale, ma al tempo stesso raro e degno di nota in un panorama dove troppo spesso i due medium in esame entrano in contatto solo sotto forma di tie-in che prendono in prestito sì nomi e volti, ma poco o nulla dei rispettivi linguaggi.
UN FUMETTO ANIMATO
Comix Zone invece non solo non si appoggia a un brand preesistente, ma tenta di trasporre nel mondo virtuale il fumetto come mezzo espressivo, con le sue caratteristiche e i suoi vincoli. È così che lo scenario di gioco diventa la pagina di uno spillato supereroistico, col nostro avatar e i nemici che prendono vita animando le vignette, saltando di fondale in fondale scavalcando o distruggendo la griglia che divide la tavola, fino ad arrivare all’angolo così da poter sfogliare l’albo e passare al livello successivo. Il villain della storia ha travalicato la sua dimensione e ci ha imprigionati nei disegni, accaparrandosi il ruolo di creatore che durante l’azione impugnerà la china per tracciare di fronte a noi nuovi nemici, facendoci respirare tutto il potere immaginifico del tratto a mano libera. L’implementazione prefissata e passiva limita il tutto a una suggestione e alla nostra fantasia, ma è un’intuizione interessante che troverà più valore in giochi come Okami.
è evidente il desiderio di Comix Zone di catturare lo zeitgeist fumettistico degli anni ‘80 e ‘90
VIDEOGIOCHI A VIGNETTE E VIGNETTE SUI VIDEOGIOCHI
Come dicevo, Comix Zone appare in fondo quasi banale, perché tutto sommato si gioca principalmente come un normale picchiaduro a scorrimento con una direzione artistica originale e qualche chicca simpatica come il poter strappare pezzi di sfondo per lanciare letali aeroplanini di carta contro i nemici. Eppure, resta uno dei pochi videogiochi che davvero tenta di sfruttare le capacità comunicative ed artistiche del fumetto. Come nota il mio collega Manuel “Odd” Berto, è difficile trovare altri esempi. Alla sua domanda “e se un gioco basasse il suo intero concept sull’interazione tra vignette, possiamo parlare di gioco a ispirazione fumettistica?” rispondo innanzitutto di sì, e aggiungo come possibile caso di studio FRAMED di Loveshack Entertainment.
Comix Zone resta uno dei pochi videogiochi che davvero tenta di sfruttare le capacità comunicative ed artistiche del fumetto
Se la traduzione di fumetti in videogioco risulta così rara e acerba, forse è invece più in salute il viceversa? Non direi. Anche a parti inverse si parla più che altro di tie-in che non prendono in considerazione il medium ma solo i contenuti più ovviamente trasferibili, badando poco alla forma strutturale. Come nel caso del cinema, i limiti sono tanti. Cercando nelle storie al di fuori degli adattamenti diretti, i riferimenti ai videogiochi si trovano, ma quanto catturano davvero il medium e l’universo videoludico?
i fumetti ambientati nei videogiochi ne offrono spesso e volentieri una rappresentazione banale e fortemente fittizia
NARRARE SEGUENDO UN RULESET
Nella saga di Greed Island, l’autore Yoshihiro Togashi catapulta i suoi personaggi nell’omonimo gioco per “JoyStation”, una sorta di ibrido tra un MMORPG e un card game in cui avventurarsi in carne e ossa. Solita storia, ma fin da subito si nota un’attenzione e cura per i dettagli che rendono il tutto estremamente più autentico agli occhi dei lettori appassionati di videogiochi, soprattutto per chi ha vissuto l’epoca della prima console Sony: memory card dove salvare i dati della partita, la schermata coi blocchi di memoria riprodotta fedelmente, l’estensione per connettere pad aggiuntivi per la co-op locale, e si torna subito negli anni ’90.
Ma i meriti di Greed Island non si fermano alla nostalgia, come detto mischia questa vena videoludica di un’era passata con un gioco dal design più moderno e iperconnesso. I partecipanti si muovono in un vasto “open world” condiviso, popolato da NPC solo all’apparenza reali e che rispondono rigidamente a certi stimoli e con funzioni ben specifiche: quest giver, mercanti per ottenere equipaggiamento, nemici categorizzati per livello di forza, e così via. Il tutto è governato da una serie di obiettivi (come raccogliere tutti gli oggetti chiave del gioco, sotto forma di carte) e regole (nella risoluzione delle quest, nell’uso delle magie, ecc.) che rispondono perfettamente alle logiche videoludiche diffuse, e con un grado.
Greed Island, al di là della nostalgia, mischia la vena videoludica di un’era passata con un gioco dal design più moderno e iperconnesso
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.