Questi sono i giorni della Alan Wake Remastered, ma vent’anni fa un poliziotto di New York in fuga, senza nulla da perdere, lanciò Remedy Entertainment nell’Olimpo degli action. Ecco la storia di Max Payne.
C’era un tempo, prima del successo cinematografico delle Watchowski, in cui la tecnica del bullet time era appannaggio degli esotici schermi del cinema di Hong Kong. La produzione di John Woo, con i suoi proiettili al rallentatore sparati da acrobatici eroi in mezzo a stormi di colombe bianche, fu una delle fonti di ispirazione per i finlandesi Remedy Entertainment. Il loro nuovo gioco doveva trasudare sangue e polvere da sparo, ingredienti che avrebbero portato il protagonista alla soglia dell’implosione, scatenando una sete di vendetta inarrestabile.
UN UOMO CHE NON HA NIENTE DA PERDERE
Acrobazie e pallottole rappresentavano quindi solo una parte dell’alchimia voluta dallo scrittore Sam Lake e dal resto del team; era necessario un background sufficientemente gretto per far da cornice alla vicenda e l’idea ricadde sulla Grande Mela; quella marcia, quella dei bassifondi e della letteratura noir. Non a caso vennero spediti degli artisti sul posto per immortalare alcuni quartieri sufficientemente malfamati, opportunamente fiancheggiati da un paio di guardie del corpo, mentre ebbe significativa influenza la novellistica di Mickey Spillane, in particolare il suo iconico Mike Hammer, un detective durissimo universalmente riconosciuto come l’archetipo del piedipiatti Hard-Boiled.
PER ASSICURARE L’AUTENTICITÀ DELLE AMBIENTAZIONI, VENNERO SPEDITI DEGLI ARTISTI A NEW YORK PER IMMORTALARE I SUOI QUARTIERI MALFAMATI
GRAZIE ANCHE A MATRIX, NEL 2001 MAX PAYNE ERA UN TITOLO CHE ANDAVA GIOCATO
PULP FICTION
Tralasciando l’azione su di giri, quella di Max Payne è una storia ricca di particolari forti. Max è un detective di New York la cui idilliaca vita viene fatta a pezzi in seguito all’assassino di moglie e figlia ad opera di tre balordi strafatti di Valkyr, una nuova droga. In seguito all’incidente Max si fa trasferire nel nucleo antidroga dove lavora come infiltrato nell’obbligatoria famiglia mafiosa italo americana; in una girandola di eventi ovviamente nefasta, la situazione precipiterà ulteriormente per l’ormai disperato protagonista, ricercato da vecchi amici e nuovi nemici.
Tra un livello e l’altro, dei pannelli a fumetti introducono e sviluppano la storia, portando avanti la narrazione con lo stile di una graphic novel: un espediente fortemente voluto da Sam Lake per enfatizzare le tematiche Noir, tanto da digitalizzare se stesso per le prime tavole dimostrative, presentate dopo un’opportuna mano di Photoshop. L’uso del fumetto offriva altri vantaggi oltre all’atmosfera: in caso di rivisitazioni e stravolgimento di trama o ordine di eventi era sufficiente spostare le vignette; un intervento velocissimo che non sarebbe stato altrettanto pratico se le scene di intermezzo fossero state realizzate con filmati o con il motore del gioco, ricorda il co-fondatore di Remedy Markus Mäki.
MA DAVVERO SEI TU, MAX PAYNE!?
Sam Lake ci ha davvero preso gusto a prestare i suoi connotati al buon vecchio Max: il suo volto è “stampato” sulla texture che avvolge la testa poligonale del protagonista, un fatto che nel corso degli anni ha generato numerosi aneddoti più o meno gustosi. Celebre quello raccontato durante un’intervista a EDGE, quando venne fermato di notte nel suo quartiere da una macchina con quattro loschi figuri a bordo, solo per sentirsi chiedere se fosse realmente il volto di Max Payne e firmare qualche autografo!
L’aspetto di molti nemici e comprimari del gioco condivise il medesimo destino, con i titoli di coda costellati da nomi di parenti e amici che prestarono le loro fattezze alla causa di Remedy. Quando Take Two acquistò i diritti del personaggio per la bellezza di dieci milioni di dollari, Sam venne però messo in panchina e il volto di Max fu ricalcato sulle fattezze dell’attore professionista Timothy Gibbs, lasciando James McCaffrey nel ruolo di doppiatore “ufficiale” del detective.