“Ti dirò un segreto: tutti i migliori sono matti”- Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie.
Qual è stato il vostro “C’era una volta?” Perché esiste davvero, specie nelle fiabe e nelle favole. Ma nelle fiabe e anche nei videogiochi? Questo è un incontro speciale, uno di quelli che, non appena accogli piacevolmente, non può che essere tuo, diventando parte di integrante di ogni tua sfumatura ed essenza. Raccontare storie, d’altronde, è sempre stato un obiettivo comune da parte di chi non può fare a meno di vivere guardando un orologio da taschino, pensando successivamente di essere un protagonista di Alice nel Paese delle Meraviglie, o magari una marionetta che sognava di diventare un bambino. O, chissà, di vivere in una torre, con una bionda chioma bionda che ricadeva sulle spalle, sfiorando le innumerevoli fessure di un pavimento rovinato, in cui dell’acqua piovana aveva battuto così forte da aprire dei buchi.
Cosa accade quando, invece, i videogiochi incontrano le fiabe, prendendo da esse caratteristiche importanti per raccontare un contesto e, nel frattempo, allargare il discorso a molteplici situazioni che includono anche il game design, fra i tanti argomenti sul piatto? Mentre riflettevo sul contenuto di questo speciale, e questo lo racconto perché è molto divertente, ho chiesto l’amicizia a uno dei miei sviluppatori preferiti: American McGee. Oltre ad avere avuto la malsana idea di accettarla, ho anche riscaricato Alice: Madness Returns, seconda iterazione del franchise creato proprio da McGee, una delle proprietà intellettuali più lucenti del nostro panorama.
A distanza di così tanti anni, e di tante produzioni che s’ispirano alle fiabe e un pochino le ripercorrono in modo differente, anche riscrivendole, ammetto che il racconto truculento e oscuro di Alice è quello che, ancora oggi, mi fa rimpiangere la decisione di Electronic Arts di non puntare più su un progetto che poteva dare tantissimo, ai giocatori, ma soprattutto aveva tutte le carte in regola per rispolverare e trattare un personaggio iconico. La creazione di quel mondo, ideata seguendo le regole brillanti dietro al racconto di Lewis Carrol, mostrava un Alice combattiva, decisa a risolvere i problemi del Paese delle Meraviglie anche brandendo un coltello acuminato e un numero incalcolabile di armi a non finire. Era una riscrittura brillante, appassionata e avvolgente che, in un certo senso, ridava linfa a una visione unica nel suo genere. Ed è solo una punta dell’iceberg, in questo oceano di grandi idee e produzioni che, nel corso degli anni, hanno insegnato all’industria dei videogiochi molto più di quanto qualcuno si auspicherebbe.
Un vero peccato non esista più un titolo del genere
Questi racconti, forgiati con stile, coinvolgimento e passione, includono esattamente quella cifra stilistica capace di arrivare e creare, al contempo, nuove morali una volta raggiunte le conclusioni. I titoli di coda che scorrono rapidi, infermabili, e intanto le storie che mutano e splendono, donando ai giocatori degli incontri diversi e spensierati, con quanto possono realmente scoprire nelle sfumature di mondi densi e carichi varie sensazione. È la notte di mezza estate che tutti vorremmo, ma è soprattutto un modo utile per ribadire che nel mondo, anche se la morale di una favola può essere buona o agrodolce, termine inoltre coniato da George Raymond Richard Martin quando ha fatto trapelare come si sarebbe conclusa l’ultima stagione A Game of Thrones, ma meglio non tornare su quell’argomento.
DUE FRATELLI, UN PAESAGGIO RURALE E DELLE STREGHE ABBIETTE
Uno dei più abili ad avere utilizzato in modo egregio il linguaggio sospeso tra favola, fiaba e videogioco, è stato Josef Fares, che ha esteso in realtà il suo modo di creare e proporre i videogiochi anche con il recentissimo It Takes Two, il Game of the Year più meritato degli ultimi cinque anni. Ciò che lo portò alla ribalta, però, fu Brothers: A Tale of Two Sons, da poco pubblicato da AvantGarden Games in una versione completamente rivista dal punto di grafico, che conserva tuttavia il mito attorno alla sua meraviglia. Un racconto di due fratelli che, spinti a cercare una cura per il madre malato, si avviano attraverso un viaggio fatto di meraviglie, creature singolari e sì, orribili rappresentazioni del dolore ma, soprattutto, dell’incubo.
Un racconto di due fratelli che, spinti a cercare una cura per il padre malato, si avviano attraverso un viaggio fatto di meraviglie
Niente è paragonabile, però, a cosa affronta il povero Ollie, protagonista di Bramble: The Mountain King, opera di Merge Games. L’ispirazione, anche se ottima, qui prende a piene mani dal genere horror e, in qualche modo, si avvicina anche alle atmosfere tenebrose di VVITCH, che dell’occulto fa il suo cavallo di battaglia. Le atmosfere, raccontate con passione e coinvolgimento, conducono a un viaggio silente in una realtà disseminata di morte, e intanto mostrano le paure fanciullesche di un ragazzino che, per aiutare l’amata sorella, è costretto ad affrontare gli orrori delle fiabe nordiche.
Chi ha paura del buio? E dell’ignoto?
Poi l’immaginario, in realtà, spinge ancora più in là: alle paure bambine concrete, quelle di Tarsier Studio e ora di Supermassive Games. Sto parlando di Little Nightmares, le due iterazioni del franchise orrorifiche che parlano della fanciullezza in tono melanconico e particolareggiato, mantenendo un’intensità e delle atmosfere spaventose. Il terrore è avvertibile ovunque, ma è l’angoscia a essere il piatto forte: creare questo tipo di narrativa alimenta la curiosità, e cosa viene mostrato negli scenari della produzione, inoltre, è attorniato da una oscurità totale, composta dalle paure fanciullesche di chiunque. Il sangue che scorre a fiumi, l’ansia che travolge e colpisce, il respiro che arranca, e al contempo il panico che si crea, fino a diventare irrefrenabile.
La Città Pallida è la cornice di una perdita dell’umanità che, inoltre, ha disperso da tempo la bellezza. C’è solo la freddezza, c’è la solo la paura, c’è solo una lunga e brutale morte che, man mano che avanza, si apre nel cuore dei bambini, per poi divenire l’unica cosa che conoscono. Non c’è altro. Neanche l’amore. Qui il racconto avviene attraverso gli scenari, non con le parole: sono i gesti a fare tanto, a fare molto, a dare una struttura a uno spettacolo della paura che si forgia e si alimenta da sola. D’altronde, chi può volere bene a delle anime perdute che, piccine piccine, non possono nulla? Gli scenari sono grandi, grandissimi: chi riuscirebbe a non sentirsi in difficoltà, di fronte a cotanta paura e brutalità?
FIABE E FAVOLE: QUANDO IL MONDO APPARE LUCENTE
Se da una parte si è visto il mondo sotto le ombre della paura, dall’altra invece alberga la luce. Kingdom Hearts è una serie che di luci, come di ombre, sa parlare ottimamente. D’accordo, qui c’è la Disney di mezzo e non è forse il momento adatto per parlare, ma c’è da dire che è un franchise che ha saputo coniugare le favole e le fiabe con una propria anima. La luce che però alberga nel mondo proviene da un albero della vita, ed è quello di Ori and The Blind Forest e Ori and The Will of the Wisps, opere che hanno parlato al cuore dei giocatori presentando una fonte di luce che illumina il mondo sotto forma di animaletto pronto a fare di tutto per ridare una speranza a cosa lega il mondo da tutto il resto.
In Lies of P, tanto apprezzamento da Marco Brom, c’è una rilettura appassionata del capolavoro di Collodi. Pinocchio è raffigurato ben più grandicello e maturo rispetto al personaggio del romanzo, ed è un mondo meccanizzato e steampunk quello mostrato da NEOWIZ, che ne ha approfondito ottimamente le sfumature. Cosa significa, però, mostrare la luce e come viene rappresentata nelle favole e nelle fiabe all’interno dei videogiochi, che sono dunque riletture a volte ma anche, e soprattutto, rimandi speciali al mondo? Penso al bene di The Last Guardian, ICO e Shadow of the Colossus, storie intinte di meraviglia e passione, concentrate sul bene e il prossimo, ma soprattutto sui racconti in cui le intimità diventano personale, per poi divenire integranti all’interno della struttura ludica, e non solo.
TRA LO STREGATTO E IL MONDO DI ALICE: FIABE E FAVOLE
Come accennavo prima, i videogiochi, le favole e le fiabe coesistono da qualche anno a questa parte. Si è appreso su SNES, su PlayStation 2 e ora sulle console di nuova generazione. La storia di Alice, scritta da Lewis Caroll e rivisitata da American McGee, è fra le più belle e originali proposte nel panorama letterario, e ora anche videoludico.
È un racconto che parla dello Stregatto, un personaggio bellissimo e misterioso, nell’opera di McGee trattato con parsimonia e attenzione, rispettando ogni sua formula appassionata, ma soprattutto quella letteraria. È un racconto composto da un viaggio unico, dallo stesso che s’intraprende talvolta per mettersi alla prova. I videogiochi, d’altronde, sono proprio questo: prove concrete di mondi tutti da visitare e vivere. Dei mondi da apprendere e tramandare, proprio come le favole e le fiabe. Un giorno, chissà, si racconterà di Alice, dei due fratelli e di Little Nightmares, come ora si racconta un libro. Che grande, straordinaria e assurda avventura sarebbe.
È un racconto composto da un viaggio unico, dallo stesso che s’intraprende talvolta per mettersi alla prova