Così è arrivato anche Ni-oh. Prima ancora Titan Souls, Lords of the Fallen, Salt and Sanctuary e Darkmous, tutti in qualche modo connessi alle idee centrali dei Souls. Certe volte ho paura di scendere al supermercato, essere “sconfitto” da una vecchina alla cassa e dover ripartire da casa per recuperare la spesa… Ho paura, più seriamente, che l’onda lunga di Dark Souls prima o poi (e in parte è già successo) accenda i riflettori anche su titoli che, in assenza di tali riferimenti, risulterebbero normali Action RPG di seconda o terza fila. O in taluni casi non esisterebbero nemmeno.
Siccome, però, nel videoludo c’è spazio per tutto, e in particolare per ciò che i giocatori fagocitano (io per primo) ai limiti della droga, mi sono chiesto se quelle inventate da Miyazaki non siano davvero regole universalmente applicabili, come è stato per il permadeath o, all’altro angolo dell’universo, per le contaminazioni sandbox che guardano alla frequenza delle morti del personaggio in modo diametralmente opposto. In un contesto simile, dov’è facile capire che tutti hanno potenzialmente ragione, chi ama l’essenza degli Action RPG può comunque divertirsi a riconoscere le sfumature più lievi, qualcosa su cui è bello – pur se non necessario – fermarsi a riflettere.
VITA E MORTE DI UN CAVALIERE
Se guardiamo ai due estremi della questione, dunque al semplice respawn dell’eroe ucciso o, al contrario, alla sua definitiva e irrecuperabile dipartita, la soluzione inventata in Demon’s Souls sembra stare esattamente nel mezzo. E quando dico “esattamente”, intendo che Miyazaki è riuscito laddove tanti altri hanno fallito – o comunque non hanno cambiato più di tanto il risultato – magari predisponendo la perdita parziale dell’equipaggiamento, o anche un degrado delle caratteristiche del personaggio. L’idea, invece, è di smarrire tutto ciò che conta per un eroe di ruolo, costringendolo alla sua ricerca, in un ritmo che è già di per sé una sorta di narrazione epica, del tutto spontanea e infinitamente replicabile. Senza l’esperienza rimarrà eternamente un bambino debole e smemorato, incapace di affrontare un mondo sempre più impenetrabile e cattivo; allo stesso tempo, più è potente il motivo della sua sconfitta, più sarà difficile e pericoloso il recupero di ciò che ha perso. L’esperienza reale si mescola a quella fittizia, perché solo un ricordo vivido della propria morte consentirà di non perdere per sempre un pezzo di evoluzione.
Mi sono chiesto se quelle inventate da Miyazaki non siano davvero regole universalmente applicabili
Zombi di Ubisoft, pur avendo solo marginalmente a che fare con gli Action RPG, e addirittura nulla col fantasy, è uno dei pochi esempi di totale coerenza fra momento ludico e narrativo. Com’è noto, in questo caso non abbiamo un solo protagonista, bensì una serie di sopravvissuti che, tuttavia, avranno modo di recuperare l’equipaggiamento degli sfortunati che li hanno preceduti – rappresentando alla perfezione la precarietà dei singoli in una “vera” zombie-apocalypse. Il quadro si presenta in modo ineccepibile anche in Darkmous e Salt & Santuary, ma solo perché siamo di fronte a veri e propri cloni bidimensionali di Dark Souls, interessanti nell’asciugatura tecnica del concetto ma del tutto inutili quando abbiamo un gioco di Miyazaki tra le mani, non costituendone di certo una credibile e altrettanto valida alternativa.
SAMURAI OGGI, NECROPOLI DOMANI
Diverso il discorso per i giochi che riescono a esaltare le singole feature di Dark Souls aggiungendo, al contempo, significativi tocchi personali. Nel piccolo Titan Souls sono i bossfight a occupare totalmente il gameplay, portando allo stremo i meccanismi che chiudono le possibilità di vittoria del giocatore; paradossalmente, ciò è possibile per il trasferimento dell’azione in un contesto bidimensionale, e dunque in un quadro di chiarezza grafica che i Souls non hanno mai nemmeno cercato. Più complesso, invece, il sorprendente ritorno di Team Ninja: in un certo senso, Ni-oh riprende ed esalta una caratteristica squisitamente nipponica degli Action RPG di From Software, ovvero la reinterpretazione in chiave ruolistica dei picchiaduro con le lame – o slasher, se preferite – attraverso un sistema di mosse con varia velocità, portata e potenza, molto più preciso di quanto riesca a proporre qualsiasi gioco di ruolo e d’azione occidentale.
Demon’s Souls e Dark Souls sono esempi di contesti narrativi criptici ma che, almeno sulla morte, pur senza aprire bocca, riescono a comunicare con grande chiarezza
Le azioni d’attacco diventano vere combo, e altrettanto valida si dimostra l’idea di trasportare l’azione nel medioevo giapponese, perfettamente in linea con l’implementazione “identitaria” del sistema di combattimento. Tuttavia, nella gestione del loot Ni-oh strizza l’occhio alla scuola hack’n’slash di Diablo, un po’ come The Division (serve un po’ di astrazione, per tirare in ballo il gioco Ubisoft, ma il senso c’è tutto), e sembra invece rifarsi al primo The Witcher nell’interessante differenziazione della postura con le armi; allo stesso tempo, in riferimento alla nostra analisi, non sembra nemmeno ricercare una particolare coerenza fra recupero delle “anime”, morte dell’eroe e lore dell’avventura. Almeno, così mi è sembrato nella demo, ed è comunque doveroso lasciare aperta la porta a qualsiasi sviluppo nel gioco completo, anche a livello narrativo. D’altra parte, proprio come accade nei movimenti artistici, Miyazaki sembra aver risvegliato in diversi sviluppatori la scintilla della creatività, stimolandoli a trovare nuove soluzioni che, però, tengano ferme le più nobili caratteristiche dei Souls. Anche per questo, attendo con particolare ansia Necropolis, degli indipendenti di Harebrained Schemes (quelli dei vari Shadowrun, mica pizza e fichi), perché resta legato ai Souls nel ritmo e nella difficoltà dei combattimenti, ma se ne distacca profondamente nell’ispirazione visiva – cosa che, invero, riguarda molti dei titoli citati – e soprattutto nel recupero dei tratti centrali dei roguelike. La morte del protagonista è davvero definitiva, e tutta l’ambientazione viene creata di volta in volta in generazione procedurale, tenendo fermi boss e nemici su cui prendere la misura.
DIFFICILE, MA NON IMPOSSIBILE
Alla luce di tutto questo, è più logico affermare che no, non esiste alcun vero genere dei Souls, almeno non nei termini di canoni precisi e definiti. Tuttavia, la formula costruita da Miyazaki è così ampia e complessa da far nascere cose interessanti dalle singole caratteristiche o, ancora meglio, suggerire un metodo per non svilire il senso di difficoltà nei videogiochi di ruolo e d’azione. Le soluzioni possono anche passare da altri fattori, come le sfaccettature survival magnificate da Fallout: New Vegas, le pazzesche qualità autorali di The Witcher o il ritorno ai turni di tanti Action RPG indipendenti, per rendere il gioco più sportivo e pulito di fronte alle difficoltà più estreme.
Al di là delle diramazioni narrative, però, e delle influenze ruolistiche che possiamo avere su di esse, il combattimento resta nella grandissima parte dei casi la pietra di paragone degli Action RPG, la prova finale del lavoro fatto sul gioco dagli sviluppatori e, per noi, sulla costruzione del personaggio. In questo i Souls hanno indubbiamente tantissimo da insegnare, ma allo stesso tempo non possono educare ad essere capolavori, a fare entrare i nervi nelle pieghe del Ruolo o addirittura la psiche nella narrazione. Cose del genere possono accadere una volta in un decennio, ed è giusto che sia così.