Il primo errore in cui non è bene incappare parlando di Astroneer è il paragone con No Man’s Sky. Certo, siamo pur sempre nello spazio, si visitano pianeti generati proceduralmente e la sopravvivenza è lo scopo primario del nostro vagare, ma il modo in cui si declina tutto ciò è molto, molto differente da quanto accade nel titolo di Hello Games. Il fatto, poi, che si fruisca di Astroneer in Accesso Anticipato (e che non sia ammantato da badilate copiose di hype) consente un approccio emotivo più accondiscendente di fronte ad alcune magagne, inevitabilmente presenti a causa della sua palese incompletezza; dopotutto, siamo di fronte a una versione pre-alpha che ne lascia intuire tutte le potenzialità, ma che offre solo un assaggio di ciò che sarà il prodotto finito.
SOLI, NELLO SPAZIO PROFONDO
Appena scesi sul primo pianeta ci si accorge di come, per certi versi, Astroneer sia un videogioco per ora tutt’altro che amichevole. Le indicazioni su cosa fare e su come muoversi sono ridotte all’osso, e tocca dedicare il giusto tempo a sperimentare con l’interfaccia e con le libertà concesse in fatto di terraforming. Lo zainetto tuttofare, posizionato perennemente sulle spalle del nostro alter ego, funge contestualmente da inventario e da mezzo di esecuzione di diverse azioni, tra cui – appunto – la modifica morfologica del terreno attraverso un enorme pistolone ad esso collegato e la raccolta delle risorse, via via più preziose e rare man mano che ci si inoltra verso le zone più pericolose. Il modulo di atterraggio è solo il primo elemento di una base che va costruita poco alla volta, aggiungendo strutture di produzione e di stoccaggio: nel giro di poche ore, facendo le cose con la giusta oculatezza, ci si ritrova con una postazione capace di autoalimentarsi, e comunque ampiamente gestibile e modificabile all’occorrenza grazie alla modularità dei singoli elementi. Nelle fasi avanzate è perfino possibile munirsi di veicoli, o persino velivoli per tornare nello spazio e spostarsi verso un nuovo pianeta.
Astroneer per ora punta buona parte delle sue fiches sulla componente gestionale, più che su quella survival
Come vi ho scritto poc’anzi, in Astroneer il rischio più grosso è invero lasciarci le penne per la mancanza di ossigeno. Lo zainetto ha un’autonomia limitata e l’unico modo per respirare senza la preoccupazione di un tempo limite è restare connessi alla base attraverso un tubo che fornisca aria a profusione. Fortunatamente, è possibile costruire, in cambio di poche risorse, una diramata rete di distribuzione di ossigeno e financo energia grazie al Tether, uno strumento col quale produrre paletti ai quali agganciare le tubature: inutile dire che un posizionamento oculato di questi ultimi è condizione necessaria per un’esplorazione rilassata e senza troppi patemi, almeno in attesa che vengano introdotti elementi di gioco (come la fauna, al momento assente) che intervengano a “rompere” in qualche modo la rete Tether da noi costruita. A ogni modo, allo stato attuale la morte non è punitiva, visto che l’unico effetto è il respawn nei pressi della base, con annessa possibilità di ritornare nel luogo del misfatto e recuperare le risorse direttamente dal cadavere del nostro precedente io.
ATMOSFERA E COLORI
Nella sua embrionale essenzialità, Astroneer regala già da ora un colpo d’occhio di sicuro effetto. La semplicità poligonale, che in parte ricorda il costrutto grafico di Grow Home/Grow Up di Ubisoft, lascia un minimo perplessi all’inizio, ma basta poco per farsi trascinare dall’uso dei colori e dalla naturalezza con cui ogni elemento si innesta nello scenario. L’esplorazione, insomma, produce piacere di per sé, il che è un plus non da poco per un titolo che va ancora rifinito molto in alcuni aspetti tecnici (la draw distance, per dire, necessita di essere aumentata ampiamente) e che aggiungerà vagonate di contenuti da qui alla sua forma finale.
Astroneer regala già da ora un colpo d’occhio di sicuro effetto