Road 96 si inserisce di diritto nella categoria dei giochi indie dal forte contenuto politico. Lo fa seguendo lo schema dell’avventura narrativa, che però viene rielaborato in maniera tutt’altro che scontata.
Ci vuole un po’ di lucida follia per concepire un prodotto che unisce walking simulator e roguelite. Niente di cui stupirsi, visto che dietro a questa idea c’è Yoan Fanis, la mente ideatrice di due produzioni che spiccano per potenza narrativa e visiva: Valiant Hearts e 11–11: Memories Retold. L’estetica a cavallo tra Borderlands e Firewatch dell’ultima creatura dell’ex punta di diamante di Ubisoft forse non riesce ad avere un impatto altrettanto forte, ma alla fine quello che davvero conta è ciò che si nasconde sotto la superficie, e da questo punto di vista c’è davvero tanto.
ROAD 96: UNA STORIA DA RICOMPORRE
Questo “road game made in France” sorprende soprattutto per il modo in cui delinea la sua ambientazione e racconta la sua storia: DigixArt, studio composto da appena una quindicina di perone, ha di fatto creato, scomposto e poi ricomposto un vero e proprio puzzle narrativo, rendendo appassionante una storia che di per sé non brilla certo per originalità; Fanis non ha mai nascosto le sue fonti di ispirazione, sia videoludiche che cinematografiche (Tarantino, i fratelli Coen).
SIAMO IN UNO STATO AUTORITARIO FITTIZIO, DOVE TANTI GIOVANI TENTANO UNA FUGA VERSO IL CONFINE
Il cast non è dei più vasti, ma è senza ombra di dubbio memorabile. Ogni viaggio si compone di una serie di piccoli spezzoni all’interno di quali si interagisce con uno o più personaggi attraverso dialoghi a scelta multipla e qualche volta minigiochi. La cosa del tutto particolare è che il susseguirsi degli spezzoni non è stato deciso a priori dallo sviluppatore, ma è gestito da un algoritmo che organizza il tutto in maniera (parzialmente) casuale, una vera e propria I.A. narrativa. Certi eventi necessari per il proseguimento della trama sono più o meno fissi, ma per il resto ogni playthrough sarà diverso dal precedente. È il classico puzzle che si compone un pezzo alla volta, solo che ci sono infiniti modi per concluderlo: quelle che sembrano inizialmente tante piccole storie scollegate e di poco conto si ricollegheranno in maniera a volte inaspettata e finiranno per decidere il destino stesso di Petria. L’algoritmo riesce non solo a mantenere una coerenza narrativa di fondo, ma anche a dare il ritmo giusto alla vicenda. Lo stesso Yoan Fanis ha sottolineato l’importanza di garantire dei viaggi che non risultassero mai ripetitivi a livello di ambientazioni e toni, per cui momenti riflessivi, comici e movimentati si alterneranno sempre durante l’avventura.
ogni personaggio si porta dietro un’atmosfera differente
PARLARE DI POLITICA SENZA PELI SULLA LINGUA
Il gioco dello sviluppatore francese non è solo una storia di persone, ma anche di una nazione intera, e qui esce fuori un forte intento di denuncia politica. Road 96 è chiaramente un prodotto dell’epoca trumpiana, che parla di muri e di viaggi della speranza, di violenza delle forze dell’ordine e di resistenza alle ingiustizie. La stessa estetica di Petria non è casuale, coi suoi continui rimandi sia agli USA (il deserto, l’aspetto dei poliziotti, i programmi televisivi patinati) che ai paesi del blocco sovietico (le architetture grigie e decadenti, un muro di confine che potrebbe tranquillamente trovarsi in Corea del Nord); il peggio del comunismo e il peggio del capitalismo sembrano riuscire a convivere alla perfezione entro i confini di questo caotico stato.
Gli ampi panorami naturali che fanno da sfondo alle nostre avventure suggeriscono un grande senso di libertà, ma questo senso di libertà va a cozzare con i sentimenti di paura e oppressione di chi fugge da un regime dittatoriale che è disposto a tutto pur di catturare e far sparire i giovani profughi. Lo sviluppatore è riuscito nell’intento di trasmettere al giocatore quelle terribili sensazioni: i momenti in cui rischiamo di essere catturati o uccisi sono fonte di un’angoscia che è molto diversa da quella che si trova generalmente in ambito videoludico, un’angoscia che va in profondità; dopo averli vissuti anche solo digitalmente viene naturale riflettere su quanto siano disperate le persone che affrontano situazioni del genere nel mondo reale e su quanto possano essere difficoltosi i viaggi che intraprendono. Come scritto in precedenza, ogni anonimo viaggiatore va per la sua personale strada.
IL VIAGGIO DEL SINGOLO È IL VIAGGIO DI TUTTI
Oggi, nel 2021, siamo portati a pensare che il peggio sia passato, che videogiochi di denuncia come Road 96 siano fuori tempo massimo. Ma è davvero così? L’elettorato di Donald Trump è forse sparito nel nulla? Le nostre democrazie hanno smesso di scricchiolare? Il problema dei profughi è stato risolto? È bene tenere ancora alta l’attenzione, perciò ben vengano produzioni che non hanno paura di prendere una posizione politica netta. In un mondo dove le multinazionali dell’intrattenimento vogliono fare contenti tutti senza in realtà far contento nessuno, sviluppatori indie coraggiosi come DigixArt sono la nostra unica speranza. Se poi il messaggio è accompagnato da un gioco solido dalla struttura narrativa non scontata non si può che essere ancora più soddisfatti.