Continua la nostra retrospettiva sulla saga di Legacy of Kain, questa volta esplorando i due Soul Reaver. Un nuovo team di sviluppo, un nuovo protagonista, due piani dimensionali in cui viaggiare a piacimento.
“Kain è idolatrato, i clan raccontano leggende su di lui.” Con queste parole si apriva Legacy of Kain: Soul Reaver nel lontano 1999, all’alba del nuovo millennio. Chi arrivava al nuovo capitolo avendo giocato Blood Omen sapeva benissimo di chi si stava parlando. Ma va dato credito a Crystal Dynamics di aver saputo rendere con un’introduzione di pochi minuti la potenza di questo personaggio, la sua indiscutibilità. In effetti, l’intera scena iniziale è un atto di arroganza: durante una riunione tra Kain e i suoi luogotenenti nella sala dei Pilastri per un regolare incontro tra re e sudditi, Raziel, il primo di loro, si presenta con un paio di ali. Affronto, insulto, tradimento. Le regole stabilite da Kain erano chiare: a nessuno era concesso evolversi prima di lui.
Giusto per mettere in chiaro che il nostro re vampiro non si è affatto ammorbidito con i secoli, la direttissima conseguenza è che Raziel si vede le ossa delle ali strappate ad artigliate, per poi essere gettato nel lago dei morti. Quelle impetuose acque non sarebbero state affatto simpatiche per qualsiasi umano, ma per un vampiro significavano una fine sicura e atroce. Ma come accadde per Kain, anche per Raziel la morte non sembra essere la fine. Salvato a sua volta da una misteriosa entità subacquea, si risveglia nel profondo dell’abisso. E in un altro piano esistenziale. Questa entità lo illustra su quanto accaduto: sono passati secoli dal tuffo nell’abisso di Raziel e ora ciò che rimane di lui non è più un vampiro, bensì uno spettro.
ALLA SETE DI SANGUE, SE NE È SOSTITUITA UNA ANCORA PIÙ INQUIETANTE: LA SETE DI ANIME
La storia si apre quindi con questa premessa: l’antica entità, Raziel, e la lista dei suoi carnefici, ora diventati prede. Kain è ovviamente in cima alla piramide, ma anche i fratelli che non hanno mosso un dito in supporto del protagonista hanno di che temere. Mossi i primi passi a Nosgoth, però, l’ambientazione assume una piega inaspettata. Le ispirazioni del folklore mitteleuropeo del Blood Omen originale cedono spazio a uno scenario post-apocalittico, monumentale eppure malinconico. La gloria dell’impero di Kain ha lasciato il posto a enormi rovine. I vampiri, un tempo nobili creature al loro apice, hanno portato all’estremo sia i loro talenti che i loro difetti, risultando grotteschi e mostruosi. Gli umani rimasti sono invece barricati nell’ultima cittadella rimasta, che se da un lato è impenetrabile per i vampiri a causa della sua intelligente collocazione, dall’altro conta su troppi pochi superstiti per poter anche solo ipotizzare un contrattacco. Un mondo decadente, che ha già visto tanto il suo apice ed è ora a un buon punto della sua discesa.
L’IMPERO DI KAIN È CADUTO, LASCIANDO IL POSTO A UN MONDO DERELITTO DOVE I POCHI UMANI SOPRAVVIVONO A STENTO. MA C’È ANCORA SPAZIO PER LA VENDETTA DI RAZIEL
Una oscura deviazione surrealista dove le forme si allungano, l’acqua non ha massa e i cancelli chiusi diventano illusioni attraversabili in un attimo. Quasi ogni ambientazione è esplorabile in entrambe le dimensioni e proprio questa alternanza rendeva Soul Reaver unico, al tempo. Intendiamoci, l’idea di avere differenti interpretazioni di un unico luogo non è di certo nuova, anzi, è un esercizio di stile che ci ha accompagnato per anni ed è qui per restare. Basti pensare all’iconica missione A Crack in the Slab in Dishonored 2, o al recente The Medium, che adotta un sistema di presenza simultanea nei due mondi. Ma Soul Reaver ne fece nel 1999 l’essenza stessa della sua proposta ludica. Tutto ciò che faremo si baserà sull’osservazione degli scenari attraverso il filtro di Raziel e la sua condizione unica di vampiro/spettro.
LE BOSS FIGHT, SCONTRI FRA ESSERI IMMORTALI, DIVENTANO PUZZLE DINAMICI DA INTERPRETARE
Arrivando alle note più basse, i combattimenti con i nemici base sono invece meno entusiasmanti. Raziel può facilmente sopraffare ogni avversario e previo avere un’arma, il colpo finale si traduce con un brutale impalamento. Ma anche da disarmati, poco male. È sufficiente sfinire l’avversario ad artigliate e poi lanciarlo in un qualsiasi ostacolo ambientale, siano esse acuminate decorazioni, pozze d’acqua, falò accesi, raggi di sole che filtrano. Raziel diventa sempre più potente man mano che si fa strada divorando anime e quasi nessuno può rappresentare una realistica minaccia per lui. Vero che tale aspetto fa parte della narrativa, ma è un peccato che un bestiario così intrigante sulla carta non presenti sostanziali differenze d’approccio ai combattimenti. Combattimenti che comunque molto spesso possono essere evitati raggiungendo l’uscita della stanza con un paio di balzi. Anche l’esplorazione talvolta scopre il fianco a soluzioni ripetitive: se volessimo collezionare tutti gli upgrade possibili passeremmo diverso tempo a spostare e ruotare cubi in modo da ripristinare strutture o completare pitture murali. L’idea di per sé non è male, ma non dura a lungo e rischia di cristallizzarsi nella memoria come una seccatura che interrompe il ritmo piuttosto che come sagace soluzione di gameplay.
LEGACY OF KAIN: SOUL REAVER HA QUALCHE PUNTO DEBOLE, MA NEL COMPLESSO IL risultato finale è un puzzle AMBIZIOSO, EPICO, PREGNANTE
SOUL REAVER 2: A SPASSO NEL TEMPO
Fortunatamente le risposte non tardano ad arrivare: nel 2001 giunge il seguito su Playstation 2 e PC, che senza indugi riprende la storia nell’esatto istante in cui l’abbiamo lasciata. È importante a questo punto chiarire che non siamo nella stessa situazione dei 2 Blood Omen, così diversi nella loro offerta ludica e narrativa. Soul Reaver 2 è a tutti gli effetti il “secondo tempo” del primo capitolo, scritto e sviluppato dallo stesso team ed è improponibile pensare di giocarlo senza prima essere passati dall’antefatto. La stessa prima ora di gioco non avrebbe senso, in quanto indugia su una domanda che il primo capitolo cucina a fuoco lento, per poi finalmente iniziare a dargli una risposta qui. Molte rivelazioni faranno esclamare un genuino “ah, ecco perché…” nella testa del giocatore e riapprocciando alcuni momenti del primo capitolo con la consapevolezza del secondo diventa evidente quanto i due pezzi del puzzle siano stati pensati dalla direttrice Amy Hennig per essere interdipendenti.
Ed ecco che quindi Raziel si ritrova in un mondo che non riconosce bene, secoli prima gli eventi narrati nel primo Soul Reaver, prima ancora della caduta dei Pilastri. In una Nosgoth più rigogliosa e dal gusto architettonico più solenne e imperiale muoviamo i primi passi e tutto torna rapidamente familiare. Raziel dispone ancora delle sue numerose abilità, nonché della sua arma simbiotica, la mietitrice d’anime che dona il titolo al gioco. Non più dipendente dall’essere nel pieno delle forze, la lama fantasma è stavolta richiamabile a piacimento nonché necessaria alla risoluzione di alcuni puzzle ambientali. Tuttavia, il suo potere viene con un prezzo: quando è evocata necessiterà di anime per nutrirsi, oppure inizierà a risucchiare lo stesso Raziel. Questo porta a ragionare in modo differente gli scontri, stavolta più frequenti e con un maggiore roster di avversari.
SE LE BASI SONO LE STESSE, IL NUOVO CAPITOLO COMPORTA ANCHE QUALCHE NOVITÀ
Viaggi nel tempo, dicevamo. Sì, come se la mitologia del mondo di Legacy of Kain non fosse già complessa di per sé, il cuore pulsante di Soul Reaver 2 è il tempo. Concetto che nell’universo di questa saga è sempre andato a braccetto con quello di fato. È veramente possibile agire nel passato per cambiare il futuro? O gli eventi si aggiusteranno continuamente fino a portare sempre lo stesso esito? O, ancora più ironicamente, proprio nel tentativo di cambiare un evento si finisce per esserne la causa scatenante? Il tragico dilemma dei protagonisti ruota attorno a queste domande, e una delle frasi più iconiche al riguardo la pronuncia proprio Kain, in uno dei tanti dialoghi con il suo arcirivale: “supponi di lanciare una moneta abbastanza volte. Supponi che un giorno essa cada di taglio.” I concetti di destino e circolarità sono suggeriti sin dal primo minuto in cui prendiamo il controllo di Raziel dopo la sua discesa nell’abisso: la barra dell’energia e i motivi decorativi nella stanza dell’antico sono spirali. Sono numerose, pulsanti. Il simbolismo è ricorrente. Tutti sembrano avere un interesse nell’aggiustare la linea del tempo e nel prevenire la corruzione dei Pilastri, ma al tempo stesso tutti sembrano avere un’agenda segreta, come da tradizione di Nosgoth.
Come nel primo capitolo gli scontri sono facili e non molto appaganti, ma rimane stabile il fatto che Raziel è uno degli esseri più potenti dell’universo di Legacy of Kain. La sua sfida non è tanto sopravvivere (giustamente, è uno spettro morto da secoli), quanto piuttosto comprendere sempre meglio cosa stanno veramente tramando gli individui che incontra e comprendere sempre meglio il mondo che ingenuamente credeva di dominare nella sua vita da vampiro. Soul Reaver è un viaggio che inizia dalla vendetta, ma continua con la presa di coscienza. Del mondo, di sé stessi, di domande antiche prive di una risposta univoca.
Tirando le somme, questa esperienza è una grande gemma divisa in due parti che sarebbe un peccato dimenticare. Con i suoi personaggi tanto potenti quanto tormentati, la storia è tra le meglio scritte nell’ambito dei videogiochi. Il gameplay riprende con sagacia alcuni concetti di Zelda e dei metroidvania per tradurli nel proprio linguaggio vampirico. Una gemma che troverà il suo culmine con Defiance, la conclusione della pentalogia.
Un’ultima curiosità interessante, prima di lasciarci: in origine Soul Reaver non era previsto per essere il sequel di Blood Omen e secondo il suo creatore, Denis Dyack di Silicon Knights, la direzione presa dal nuovo team era molto diversa da ciò che avrebbero fatto loro. Crystal Dynamics, che a quel punto aveva completamente acquisito il brand, stava invece abbozzando un gioco separato dal titolo provviorio di Shifter. I concept strutturali erano già lì: un angelo decaduto, propositi di vendetta, la possibilità di viaggiare tra due mondi. Quando fu chiesto al team di creare un sequel per la saga dei vampiri, la sfida per Crystal Dynamics e la direttrice creativa Amy Hennig fu quella di integrare le idee già elaborate in modo credibile e consistente. Ci sono riusciti? Ora che l’intera pentalogia è tornata disponibile su PC lascio questa risposta a voi.
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.