In questi giorni va molto di moda il confronto tra Zelda: Breath of the Wild e Horizon: Zero Dawn. Si tratta di un esercizio di critica abbastanza superfluo, a mio modo di vedere, ma capisco che possa essere il “giochino del momento” visto e considerato che entrambi i titoli arrivano sul mercato con alcune idee in comune, benché sviluppate in maniera diametralmente opposta. La cosa interessante, o almeno l’aspetto che mi sembra più intrigante di questo confronto, non è tanto in cosa differiscano e chi faccia meglio cosa, ma proprio quello che hanno in comune, che per certi versi rappresenta ciò che trasforma entrambi i titoli in produzioni storicamente importanti. Sia il gioiellino di Nintendo che quello di Guerrilla Games ridefiniscono il concetto di open world in maniera originale e innovativa e lo fanno senza introdurre chissà quale novità, visto che in fondo rielaborano in modo organico e coerente molte dinamiche di gioco già esistenti, ma ribaltando l’approccio utilizzato finora da diversi sviluppatori.
Se, infatti, guardiamo alla maggior parte degli open world esistenti, e prendiamo a campione un The Witcher 3 o anche un Grand Theft Auto V, in entrambi i casi l’elemento fondativo è l’abilità suprema di CD Projekt RED e Rockstar di tratteggiare mondi credibili e assolutamente meravigliosi in cui passare centinaia di ore attraverso la caratterizzazione e la scrittura.
Mi spiego meglio, anche per evitare equivoci: stiamo parlando di due titoli dagli scopi diversi e che, in entrambi i casi, offrono un gameplay estremamente ricco, ma trovo che il motivo per cui ricordiamo sia le ore passate in compagnia di Geralt, sia quelle passate a zonzo con Mike, Trevor e Franklin per le strade di Los Santos come estremamente significative, sia dovuto al fatto che entrambi i mondi di gioco siano al servizio di una narrazione (diretta e indiretta) coinvolgente e godibile, che diventa il filo conduttore dell’intera produzione.
Il merito principale dei due open world è quello di declinare l’essenza del mondo e le sue regole in funzione dell’esperienza di gioco
E questo, ribadisco, non vuol dire rinunciare a raccontare storie efficaci o toccanti, che restano una necessità per rendere il medium più umano ed emotivamente intenso, ma capire che per raccontarle (e trasferire il giusto senso di meraviglia e lasciare un segno indelebile nella mente dei giocatori), si può partire dall’esperienza di gioco in senso stretto; questo rappresenta la vera nuova conquista delle due produzioni griffate Sony e Nintendo, molto diverse certo nella pratica, ma comunque simili nel concetto. Per questo motivo, al di là delle chiacchiere da bar, andrebbero amate, rispettate e prese entrambe come simbolo di un 2017 che, sin dal suo inizio, punta a diventare un’annata storica per il mondo dei videogiochi.