Immaginavo già come sarebbe andato a finire il test drive di DiRT Rally 2.0 organizzato alla Microsoft House di Milano. Ci si ripromette di non cascarci più, in quel vortice di dipendenza da derapate e sterrato, e invece basta toccare di nuovo il volante per rimanerci sotto e aspettare febbrilmente l’arrivo del codice review, come essere costretti a stare lontani dalla propria amata, contando i giorni che ci separano dal ricongiungimento. Perché DiRT Rally è amore, lo dimostrano due dei principali artefici dietro l’opera Codemasters, presenti all’evento, Ross Gowing (game designer) e Jon Armstrong (pilota e consulente), sempre pronti a coccolare il proprio lavoro con parole al miele, e lo dimostra l’atteggiamento quasi infantile di un ragazzo grande e grosso che sarebbe stato attaccato tutto il giorno al playseat.
MAY THE FORCE (FEEDBACK) BE WITH YOU
Purtroppo il tempo a disposizione era invece limitato, ma è stato come sentire il profumo che viene dalla cucina prima di mettersi a tavola. Sistemato il sedile e messe le fondamentali cuffie in testa, ho potuto provare il tracciato rallycross di Silverstone e due tappe del nuovo rally di Nuova Zelanda (i tracciati tornano a essere artigianali, dopo la semi-proceduralità di DiRT 4, amen), rispettivamente al volante di una Wolkswagen Polo che abbandona tutta la sobrietà teutonica del suo alter ego civile, mettendosi a sbraitare ad ogni curva, e una Lancia Fulvia che fa venire i brividi solo a guardare cotanta bellezza vintage. Due esperienze di guida totalmente diverse, dove ogni cambio d’auto corrisponde a una personalità diversa che viene a galla. La Polo dimostra la sua contemporaneità con un’indole felina, bilanciatissima, scattante, con rapporti cortissimi che costringono a “spalettare” il cambio come fosse il grilletto di una pistola, portando a un’accelerazione fulminante. La Fulvia è invece come una signora elegantissima, vestita da sera, in lungo, che come le sue coetanee pretende il rispetto del galateo, che impone di dosare bene il freno e lasciarla scivolare lungo il punto di corda della curva, come a dire “vada, prima lei”.
Ogni dosso è un pericolo, ogni sasso uno scossone, e ogni sovrasterzo richiede una reazione uguale e contraria per raggiungere l’orgasmo della derapata
RALLY SENSORIALE
Fortunatamente, oltre a fidarsi ciecamente del nostro copilota, si avrà un altro modo per interpretare e anticipare quello che sta per accadere, come fosse un sesto senso: l’utilizzo del sound design, usato quasi in modo subliminale per recapitarci messaggi. Ogni suono meccanico e fisico è stato riprodotto con una cura maniacale, stimolando nel cervello del pilota virtuale sensazioni di sicurezza (e godimento) o pericolo (e terrore). Se, per esempio, si sta perdendo aderenza il messaggio arriverà prima ai timpani, per poi venire processato e attivare la naturale reazione manuale. Un lavoro eccezionale, da provare in prima persona, che diventa parte integrante del game design e sublima utilizzando la visuale in prima persona, che per legge dovrebbe essere anche l’unica disponibile per questo genere. Forse l’unica cosa che comincia a sentire il peso degli anni è l’Ego Engine proprietario della software house britannica, che appare un po’ più ingolfato di quanto ricordassi. Se in movimento, a 60 quadri al secondo granitici, funziona tutto alla grande, da fermo l’immagine appare un po’ sporca, appannata, compensando con la densità di dettaglio degli ambienti, un utilizzo dei colori sempre brillante (molto suggestive le foreste neozelandesi) e una sensazione di velocità che può intimorire. Pare sia colpa anche della risoluzione dinamica, però il colpo d’occhio rimane meno pulito di quanto ci si aspetterebbe, per quanto godibilissimo. Certo che con questa gestione della fisica tutto passa in secondo piano.
Il sound design funziona quasi come un sesto senso, comunicandoci in modo subliminale i pericoli