Capcom Home Arcade – Provato

Quale miglior cornice del Bug, Arcade Bar di Milano, zona Navigli, per provare Capcom Home Arcade, l’ennesima retroconsole della storia recente? In un caldo pomeriggio autunnale l’ho trovato lì, perfettamente a suo agio tra cabinati e memorabilia videoludici, tanto che, se non fosse stato collegato a un pannello di dimensioni generose, l’avrei potuto scambiare per un elemento d’arredo nerd. Kitsch come le vecchie insegne dei tabaccai e gli stemmi Alfa Romeo da carrozzeria anni ’70 che si trovano nei negozi d’antiquariato in Brera, il massiccio logo Capcom è soprattutto plancia da gioco che ospita comodamente player 1 e 2, cabinato salvaspazio e multidisciplina, 2 arcade stick (Sanwa da competizione) e ben sedici camaleontici pulsanti che si confondono con i colori e le forme dello stemma del casato di Osaka, difetto più evidente di un gran pezzo di hardware. Sedici, esattamente come i titoli arcade perfect che si trovano nella sua pancia, pronti ad essere evocati e goduti tramite il rituale pagano della co-op, baccanale a base di capolavori bidimensionali, insulti e divertimento puro.

MEZZOGIORNO DI… GIOCO

Capita così che una manciata variegata di redattori si ritrovino nel soppalco del Bug e comincino a partire occhiate di sfida nel torpore post-pranzo. Prima del competitivo bisogna però carburare, riabituare la memoria muscolare a una periferica ormai non comune nel videogioco. Eco Fighters è lì, perfetto per il periodo storico di lotta ecologista e per una caotica cooperativa che abbaglia con colori strepitosi, prima pungenti e poi balsamici.
Pur in 16:9 e 1080p la resa è più che fenomenale, così distanti dal formato originale eppur a proprio agio come se ci fossero nati, grazie a un’emulazione perfetta delle rom Capcom CPS1 e CPS2 curata da Barry Harris. Ci si rende conto di come gli anni passano ma queste opere rimangono eterne, cristallizzate, per purezza di gameplay ed estetica fuori dalla grazia di dio. Non si può fare altro che giocarci ancora, come fosse la prima volta. Capcom Home Arcade

Ci si rende conto che anni passano ma queste opere rimangono eterne, per purezza di gameplay ed estetica fuori dalla grazia di dio

Perfino Final Fight, forse una delle opere invecchiate peggio, soprattutto per una certa legnosità dei movimenti, risplende di un fascino che lo avvicina con naturalezza a I Guerrieri della Notte e quelle atmosfere da rissa teatrale, in costume, folle e violentissima. Un titolo caciarone, coatto, che giocato in due diventa involontariamente comico e travolgente, complice la possibilità di prendere a schiaffi e calci volanti il nostro compagno nel marasma generale, trasformando la rissa virtuale in verbale nel giro di pochi minuti. Capcom Home Arcade è prima di ogni altra cosa un momento conviviale, solo minimamente sospeso nella nostalgia, attuale, un concetto di videogioco primordiale portato nel presente con grande classe, non solo per essere riscoperto ma anche scoperto dalle nuove generazioni. È un modo di assorbire il medium molto diverso da quello attuale, nei tempi e nei modi, con un game design pagato letteralmente a peso d’oro, microtransazioni che un “continue” alla volta alzavano il velo su vere e proprie opere d’artigianato.
Un sistema ludo-economico scomparso, con crediti che ormai possono essere inseriti con la sola pressione di un tasto dopo una transazione che porterà nelle casse di Capcom 229,99€ al pezzo. Investimento importante per un party game totale che non può prescindere da un Super Street Fighter 2 Hyper Fighting (e dalla sua clamorosa parodia Super Puzzle Fighter 2 Turbo) in forma smagliante, con controlli che paiono precisi al millimetro e al millisecondo.
Ogni punteggio potrà poi essere caricato sulla leaderboard mondiale, grazie a una connessione internet su cui si può tranquillamente speculare senza avere ancora alcuna certezza su futuri utilizzi extra-classifiche, elevando così la sfida 1vs1 a livello di community.

La console è solida, giustamente pesante per resistere alla frenesia di giocatori in trance agonistica

Sulla qualità, dei materiali come dei controlli, nonostante il tempo di prova limitato, pare ci sia ben poco di cui lamentarsi. La console è solida, giustamente pesante per resistere alla frenesia di giocatori in trance agonistica, generosa nelle dimensioni per evitare gomitate involontarie (mentre per quelle volontarie ci si arriva tranquillamente). Come già accennato l’unico vero difetto potrebbero essere i pulsanti, talmente mimetizzati nel logo storico Capcom da non dare alcun punto di riferimento durante la partita. Certo, trovare 8 colori diversi poteva rivelarsi una scelta antiestetica per un prodotto assolutamente a suo agio in un certo ambiente casalingo, ma ci vorrà qualche partita prima di trasformarsi in leggiadri pianisti.
La selezione di software è invece esattamente in linea con i più grandi successi Capcom da sala giochi, revival della moda anni ‘90: picchiaduro a incontri, beat ‘em up e shoot ‘em up a scorrimento sopra tutto, glorificati, per una selezione che parte dai titoli già citati per arrivare a Strider, Super Ghouls n’ Ghosts, Alien vs Predator, 1944 The Loop Master e Capcom Sports Club. Un assaggio che mette l’acquolina in bocca, vuoi perché le opere pre-installate girano una crema o perché l’atmosfera generale ha fatto parecchio, ma l’ora passata in compagnia di Capcom Home Arcade è già significativa di valori produttivi importanti, elisir dell’eterna giovinezza per 16 classici da cabinato. L’appuntamento è fissato per l’8 novembre.

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