Assassin's Creed Origins trailer gamescom

Assassin's Creed Origins

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Assassin's Creed Origins - Provato

A due mesi dalla controversa, e per certi versi deludente, prova di Los Angeles, tornare nell’antico Egitto di Assassin’s Creed Origins è stato sorprendente, nonché finalmente intrigante. L’ora passata in compagnia di Bayek ha finalmente svelato un gioco dall’identità più a fuoco e dal fascino estremamente più seducente, nonché caratterizzato dall’inconfondibile marchio della saga, con un titolo che torna a respirare un’aria avventurosa che porta immediatamente alla mente le atmosfere dei primi capitoli.

ALLA SCOPERTA DI MENFI

La demo provata nel booth di Ubisoft mi ha consegnato una nuova regione dell’Antico Egitto del I secolo prima di Cristo, quella di Menfi, una zona estremamente più ricca e rigogliosa di quella di Crocodilopoli esplorata in quel dell’E3, nonché urbanisticamente più elegante e raffinata. A Menfi mi sono sentito subito a casa, e arrampicarmi fra giardini pensili e mura alte ha immediatamente riconsegnato ritmo e verticalità all’azione, diventata immediatamente fluida e appagante. Il nuovo sistema di parkour è armonioso e piacevole, con Bayek che, di fatto, si arrampica ovunque senza grosse difficoltà; i suoi movimenti, peraltro, mi sono sembrati decisamente più puliti, atletici e belli da vedere in questa build.

Il fascino della vecchia capitale del regno è davvero tanto. Salire sulle mura per dominare l’intera zona ha subito spinto il mio sguardo verso il Nilo e le sue acque limacciose da un lato, e su una piramide poco lontana dall’altro. Uno scenario profondamente diverso da quello basso e sabbioso della zona a sud-ovest esplorate nella mia precedente scampagnata nell’open world di Origins, a dimostrazione che l’immenso palcoscenico realizzato da Ubisoft Montreal riesce a essere cangiante ed estremamente vario, rincorrendo quella magia che un’ambientazione storica così bella piena di carisma può dare. È proprio l’atmosfera ritrovata ad avermi dato sensazioni positive, grazie a una messa in scena che riesce a superare anche una realizzazione tecnica buona, ma che non fa gridare al miracolo. Certo, a differenza di due mesi fa, Origins non mi sembra un titolo che a tratti arranca, quanto più un gioco molto grosso che deve scendere a patti con il suo scopo immenso riducendo la mole di dettagli, ma che non sacrifica mai la ricercatezza dei suoi scenari. Magari i modelli sono un po’ “plasticosi”, ma è anche vero che nel complesso le immagini iper saturate e la luce caldissima del sole funzionano, e mi sono trovato a esplorare Menfi e dintorni imbellendomi non poco.

tornare nell’antico Egitto di Assassin’s Creed Origins è stato sorprendente, nonché finalmente intrigante

A questo proposito, sono tanti i cambiamenti a cui i giocatori di vecchia data dovranno abituarsi, al di là di Senu, oramai famosa aquila utilizzata come “companion” e che funge da drone ante-litteram. Per esempio, la scomparsa della minimappa regala un senso di immersività decisamente maggiore, e la lettura dello scenario viene affidata a una sorta di senso dell’aquila condensato, che di fatto attiva un radar in grado di evidenziare tutti gli oggetti con cui è possibile interagire. Si tratta di un’agevolazione non da poco, visto che la missione che ho portato a termine richiedeva di indagare su un caso di avvelenamento del bestiame, laddove il potere di Bayek ha messo l’esperienza sui binari; tuttavia, è anche vero che la ricerca degli indizi alternata a qualche inseguimento e una liberazione di un ostaggio ha dato tanto ritmo all’azione, garantendomi tra l’altro anche una discreta libertà, nella misura in cui ho serenamente potuto optare per un approcciò stealth elegante ed efficace, in occasione del salvataggio dell’ostaggio.

Se dovessi fare un collegamento con un episodio precedente della saga, Origins mi è sembrato molto Brotherhood per ritmo di gioco e tipologia di strutture, con verticalità e spazi larghi che si alternano senza soluzione di continuità, solleticando non poco lo spirito di avventura. È nella parte finale della demo che la vertigine da scoperta ha poi raggiunto il suo picco: mi sono avventurato sul pendio di una vallata, sfruttando la mia cavalcatura equina e il nuovo sistema di pathfinding utile proprio nel puntare strutture lontane, fino a raggiungere la piramide che mi aveva soggiogato fin da subito. Una volta entrato nella pancia della tomba, in pratica, è stato un po’ come tornare all’esplorazione del cuore dei monumenti nell’Italia rinascimentale, con in più il senso del mistero dato dall’oscurità della piramide e da alcuni enigmi ambientali che richiedono un minimo di ragionamento prima di orientarci e superare il dedalo di corridoi che ci separano dal tesoro nascosto in ogni tomba. Non so, in realtà, quanti “dungeon” saranno presenti nell’intero gioco, ma la presenza di zone da scoprire e da capire – lontane dai nemici e dove conta solo sfruttare al meglio le abilità atletiche di Bayek e un minimo di capacità logica – mi hanno messo davvero in pace con l’open world egiziano.

ASSASSINI MEDITERRANEI

A completare l’opera di una messa in scena interessante, benché non memorabile, intervengono alcuni altri elementi emersi dall’ora di gioco che mi è stata concessa. Intanto, le scelte registiche non impressionano più di tanto, con sequenze di raccordo che, almeno nella missione giocata, non hanno brillato per verve, nonostante la conoscenza di quello che sembra il personaggio più interessante del lotto, ovvero Aya, moglie di Bayek. Aya è una donna forte e indipendente, una guerriera addestrata, benché non una Medjay come il marito, dal peso politico non indifferente e dal fiero cipiglio, che mi ha ricordato molto Ellaria Sand di Game of Thrones. Un collegamento questo, che ha senso, nella misura in cui il forte accento mediterraneo con cui è stato sporcato il doppiaggio inglese (assieme a un soundscape dai suoni chiaramente meridionali realizzato da Sarah Schachner) regala un’atmosfera tanto esotica quanto familiare all’ambientazione, che funziona a meraviglia.

Se dovessi fare un collegamento con un episodio precedente della saga, Origins mi è sembrato molto Brotherhood per ritmo di gioco e tipologia di strutture

Ancora nell’ombra, invece, l’aspetto prettamente narrativo, con la main story che ancora faccio fatica a descrivere, ma chiaramente si intreccia con il lore classico della saga che vedrà Cleopatra uccisa da Amunet, un’assassina che dovrebbe in qualche modo essere collegata a Bayek. In questo contesto bisognerà spiegarsi l’Origins del titolo, perché se è pur vero che il conflitto tra Assassini e Templari è in atto sin dalla Prima Civilizzazione e l’idea del Credo diventi tale durante l’epoca medievale, la nascita dell’ordine a cavallo dell’Anno Zero potrebbe avere anche senso. Quel che certo è che il ruolo di Aya e Bayek è fondamentale per l’intera impalcatura narrativa della serie, ma i loro collegamenti con il presente (che ci sono, perché è confermata la sincronizzazione delle sequenze) e la precisa collocazione nell’immenso scacchiere dell’universo espanso di Assassin’s Creed della coppia sono ancora avvolti nel mistero.

PIRAMIDE ROVESCIATA

Chiaramente, non è tutt’oro quello che luccica e sebbene Assassin’s Creed Origins mi abbia finalmente colpito, ci sono tanti, troppi elementi ancora da comprendere a fondo, a cominciare dal combat system, evidentemente di matrice witcheriana, che per certi versi mi è sembrato molto più logico e interessante di quello zoppo di due mesi fa, quantomeno nella fisicità dei colpi e nella gestione della telecamera. Interessante, per esempio, è la meccanica dell’adrenalina, che permette di sbloccare alcuni colpi segreti una volta riempita, che diventano delle vere e proprie esecuzioni spettacolari. C’è, però, una certa farraginosità di fondo che ancora non mi convince nel combattimento frontale, benché, tutto sommato, la build provata consentisse di andare serenamente in stealth nella zona più densa di nemici. Più che altro, il combattimento andrebbe valutato in relazione all’enorme sistema di progressione del personaggio, dotato di un albero di abilità davvero complesso e che permette di personalizzare Bayek nei minimi dettagli, seguendo tre grosse diramazioni di specializzazione, che vanno in direzione del combattimento corpo a corpo, dello stealth e della maestria nelle armi a distanza, o ancora dello sfruttamento dell’ambiente circostante. Sei primi due sono più o meno autoevidenti, il terzo riguarda tutto ciò che concerne il rapporto con gli animali, le cavalcature e, soprattutto, il servirsi del ciclo giorno-notte (della durata di 24 minuti) per avere bonus ambientali. Anche in questo caso, dunque, torna un rapporto di armonia e sincronia con un’ambientazione che dovrebbe svolgere un ruolo estremamente centrale nel gameplay di Origins.

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Il modo in cui abilità, equipaggiamento e progressione dell’avventura interagiranno rappresenta la sfida più grande di Assassin’s Creed Origins

Analogamente all’albero delle abilità, che ovviamente fa spostare l’ago della bilancia del genere verso l’action RPG, c’è da considerare anche un sistema di equipaggiamento decisamente più dettagliato, che segue le logiche dei drop di colore diverso per indicare la rarità e la potenza degli oggetti, ma soprattutto che influenza lo stile di combattimento di Bayek in termini di velocità e potenza dei colpi. Infine, ogni elemento può essere migliorato attraverso la raccolta delle risorse, per un sistema di crafting ancora tutto da scoprire. Il modo in cui abilità, equipaggiamento e progressione dell’avventura interagiranno rappresenta la sfida più grande di Assassin’s Creed Origins, nella misura in cui il rischio è quello di diventare un calderone non esattamente equilibrato, con troppe cose da fare superficialmente e che vanno ad appesantire quel magico senso di avventura, esplorazione e libertà che il modo in cui è costruito l’open world suggerisce costantemente. La sensazione che Assassin’s Creed Origins possa arrivare fuori tempo massimo per rivitalizzare e cambiare radicalmente la serie è ancora presente, ma dalla gamescom il nuovo corso della saga di Ubisoft Montreal mi è sembrato molto più concreto e sensato di quanto non mi fosse apparso in precedenza, e quasi quasi inizio a crederci davvero. Speriamo bene.

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