L’incontro con gli autori di Frostpunk, peculiare builder con potenti sfumature survival, è stato per me il momento più emozionante di gamescom. E non ho voluto nemmeno mentirgli: un gestionale come il loro This War of Mine non appartiene per genere alle mie prime scelte in termine di gradimento ludico, eppure si tratta di uno dei giochi che più mi hanno colpito negli ultimi anni. Una cosa simile sta per accadere con Frostpunk: non provo nessuna vera emozione nel mettermi a raccogliere risorse, e neppure a centellinare lavoratori e ingegneri per costruire insediamenti, villaggi o città; allo stesso tempo, però, il nuovo gioco di 11 bit studios mi ha trafitto nuovamente il cuore, al punto da iniziare a contare i giorni che mi separano dall’uscita.
SOTTO IL GHIACCIO
Accanto a me, durante un’ora circa di prova, c’erano uno degli sviluppatori e lo sceneggiatore/soggettista di This War of Mine, Wojtek Setlak, che tanto si era adoperato per ricostruire in forma documentale l’ispirazione primaria dell’opera d’esordio, con interviste e ricerche sul terribile assedio di Sarajevo della prima metà degli anni ’90. Lo scrittore è al lavoro anche sul concept narrativo di Frostpunk, incentrato su una fantascienza coraggiosamente sui generis: stavolta la storia parte da un evento ucronico, descrivendo una glaciazione che ha misteriosamente colpito il mondo in piena rivoluzione industriale, grossomodo alla metà del 1800, spingendo l’umanità sopravvissuta sull’orlo della barbarie. Ed è proprio qui, nel sottile confine fra civiltà e definitiva degenerazione sociale, che si svolge la coinvolgente vicenda di Frostpunk.
Il nostro è un difficilissimo ruolo da leader, sempre più prossimo a quello di un governante autolegittimato: una volta individuata una radura relativamente riparata da vento e bufere, dobbiamo fare in modo che gli 80 sopravvissuti che ci hanno seguito pongano le basi per una società degna di questo nome, in cui i bisogni primari siano progressivamente affiancati da una vera struttura di doveri, diritti e nutrimento culturale. A fianco, infatti, delle risorse da recuperare, della necessità di cibo e delle strutture sempre più specializzate da costruire, quasi immediatamente si palesano i dilemmi della politica e del rapporto con i cittadini, ovviamente portati agli estremi di una post-apocalisse senza fine: persino il lavoro minorile potrebbe entrare nelle decisioni, nel momento in cui il numero di adulti in grado di produrre l’essenziale scendesse radicalmente; per non parlare della possibilità ben meno remota di dover razionare i generi di prima necessità, dividerli con nuovi sopravvissuti o ancora difenderli da comunità apertamente ostili.
quasi immediatamente si palesano i dilemmi della politica e del rapporto con i cittadini, ovviamente portati agli estremi di una post-apocalisse senza fine