Fino al ventesimo giorno di sopravvivenza della postapocalittica comunità di Frostpunk, in mezzo a una glaciazione occorsa in piena rivoluzione industriale, nella mia testa si stava modellando un giudizio un filo meno entusiastico di quello espresso, ormai quattro anni fa, nella recensione cartacea (TGM 316) di This War of Mine. In effetti, le sensazioni evocate dal nuovo gioco di 11 bit Studios non possono che rivelarsi meno empatiche, a fronte del nostro ruolo e di uno scenario steampunk giustamente fantasioso in diversi dettagli, al comando di cittadini che rischiano di affievolire il loro dramma fra il bianco della neve.
La soglia delle 480 ore simulate, però, dopo circa tre o quattro ore di tempo reale, ha reso disponibili due campagne alternative (e un “coming soon”, sibillino per le intenzioni post-release) che mi hanno fatto sostanzialmente cambiare idea, o comunque mi hanno portato a comprendere nel profondo, ancora una volta, quanto lo studio polacco sia in grado di lavorare sui dettagli e articolarli in ogni direzione. Stavolta non ci sono sopravvissuti a una guerra vicina alla nostra realtà; le nuove storie sviluppate da 11 bit studios, tuttavia, si nutrono di attenzione documentale al pari del titolo precedente, dando nuovamente vita a un’opera complessa da tutti i punti di vista, compreso quello ludico.
LA DOTTRINA DEL CARBONE
Come ho già avuto modo di scrivere in una particolareggiata anteprima, l’incipit della campagna principale è già immerso in un mondo ucronico in cui la rivoluzione industriale di fine Ottocento coinvolge persino la robotica, e non può comunque garantire la sopravvivenza del genere umano di fronte a un’improvvisa catastrofe.
Ho finito per rilevare, ancora una volta, quanto lo studio polacco sia in grado di lavorare sui dettagli e articolarli in ogni direzione
Gli obiettivi si articolano in eventi inevitabili, presenti in qualsiasi partita, e in una serie di compiti dinamici connessi direttamente al nostro rapporto con la popolazione, inizialmente limitata a un’ottantina di individui. Intorno al generatore sono presenti siti ove ricavare carbone, legname e acciaio, sfruttando inizialmente alcuni depositi di risorse abbandonate e, una volta esaurite le scorte (magari con un opportuno e strategico anticipo), tirando su dal nulla miniere, falegnamerie industriali e impianti per l’escavazione diversamente (e realisticamente) caratterizzati nella quantità di materiali ricavabili.
La drammaticità di Frostpunk si articola fra eventi predefiniti e obiettivi dinamici e non lineari
I concetti di ordine reazionario e di uso sociale della religione giungeranno presto a complicare ulteriormente il quadro, nel momento in cui un pallone sonda e i relativi esploratori avranno scoperto all’orizzonte opportunità di vario genere e, soprattutto, nuovi eventi saranno intervenuti a rendere malignamente più ostico il nostro compito. Se ciò non bastasse, il freddo si farà sempre più acuto e il tempo inizierà a dimostrarsi sempre più tiranno, costringendoci a prendere decisioni controverse che non possono attendere lo sviluppo di tecnologie migliorative, e nemmeno sottendere costantemente ad eventuali pulsioni progressiste. Certo, le capacità strategiche nel saper limare numeri e tempistiche possono evitare le decisioni più drastiche, dal lavoro minorile a varie soglie estreme come il cannibalismo, ma già alla media difficoltà (non modificabile nella prima run) gli spazi di movimento sono estremamente sottili ed è facilissimo ritrovarsi davanti al game over, esiliati dalla popolazione nelle bianche e mortali wasteland di Frostpunk.
PROLETARI E LORD
Per il resto, come accennavo, il tipo di narrazione messa in piedi da 11 bit studios è una commistione di tanti eventi non lineari e alcuni passaggi predefiniti, che avviano il racconto verso direzioni relativamente precise.
I giochi di 11 bit studios non intendono prescindere dal reale, caparbiamente, nemmeno in mezzo a robot alimentati a carbone
In tutti i casi, non posso rilevare la sostanza dei principali snodi narrativi, salvo far bene intendere che l’umana pietà (perfettamente inserita nelle genesi politiche della Rivoluzione Industriale) e il tema del sacrificio fanno ancora parte di Frostpunk, seppur con caratteristiche gestionali e antropologiche molto diverse da This War of Mine. Non intendo ripetere per la terza volta (ne ho scritto anche sulla rivista) tutte le documentazioni su vere spedizioni, disastri ed eventi di sopravvivenza che hanno coinvolto gruppi più o meno nutriti di persone, e che gli sviluppatori hanno fatto loro per la scrittura di Frostpunk: anche in questo caso, semplicemente, la profondità emerge a ogni ora di gameplay, così come il fatto che il gioco non vuole prescindere dal reale nemmeno in mezzo a robot alimentati a carbone.
11 bit studios ha scelto di confrontarsi con meccaniche e temi molto differenti rispetto a This War of Mine, riuscendo tuttavia a mantenere un’invidiabile coerenza di fondo. L’odissea di Frostpunk, ambientata nel bianco di una glaciazione, riflette la consueta cura documentale dello sviluppatore nel costruire una comunità posta fra pericolosi estremi, la cui gestione dipende esclusivamente dalle decisioni politiche, produttive e strettamente sociali che dovremo prendere nel ruolo di leader. Siamo di fronte a un titolo inevitabilmente più forzato rispetto all’opera precedente, ma che mostra una coesione fra gameplay e narrazione dinamica che in pochi sono in grado di esibire. Applausi, anche questa volta.