Blade Runner 2049 si apre esattamente come fece il suo predecessore nel 1982: un occhio e la camera che cerca di rapire l’eternità della pupilla umana. D’altronde,
Blade Runner ha sempre messo il senso visivo davanti ogni altra cosa, quasi come bandiera di un prefissato percorso raffinato ed esistenziale. Roy Batty prima di morire decantava il famoso monologo, ormai impresso nella pioggia: lui, e solo lui, aveva visto cose che gli umani non potevano immaginare. Anche qui uno dei tanti replicanti (Dave Bautista) rivendica al protagonista, l’agente K (Ryan Gosling), di aver assistito a un miracolo, motivo per cui la sua esistenza non può continuare come schiavo degli umani.
Blade Runner 2049 è un piacevole disastro, uno di quei film che rientrano negli standard, toccano alcuni limiti ma, per paura di superarli, si ritraggono subito dopo, facendoti innervosire per il poco coraggio mostrato. Tecnicamente il film è inattaccabile, e d’altronde tutta la filmografia di Denis Villeneuve è un matrimonio di stile e fotografia; è evidente come Villeneuve abbia consapevolezza di essere un regista capace di dare un significato a ogni singola scena che passa a schermo. In questa seconda incarnazione del marchio Blade Runner la fotografia è affidata a Roger Deakins, che riesce a incorniciare la Los Angeles del 2049 in modo impeccabile. Nessun futuro positivo, ma solo un’urbe sinistra, ripresa dall’alto, vene stradali tutte uguali, criminali, prostitute e replicanti che si nascondono. La pioggia cade incessante e il quadro dipinto è magnifico. Più minimale e meno kitsch dell’originale di Ridley Scott, l’approccio estetico e visivo restituisce comunque una certa fedeltà, allargando contestualmente gli orizzonti: saranno infatti molte le scampagnate esterne del nostro agente K, che visiterà diversi punti di un suolo americano arido, povero e non ospitale al di fuori della barriera. Tutto ciò ampia notevolmente lo spettro della percezione dello spettatore incuriosito, in quanto il plot non si dipana più nella sola città, ma consente di esplorare il mondo rubato dalla penna di Dick.
Tecnicamente il film è inattaccabile, ma narrativamente rimane vacuo e perennemente in sospeso
Narrativamente invece, il film ha diversi problemi. Dalla trama minimale ma ricca di significati che aveva utilizzato Scott – un poliziotto a caccia di replicanti – qui Villeneuve tenta la carta contraria, proponendo un racconto volutamente ambizioso, ma cade proprio su questa finalità, facendo un giro enorme, parlando di integrazione, ecologia, razzismo e religione, non riuscendo comunque a portare a conclusione nessuno di questi temi. Ciò che potrebbe urtare i fan più esigenti è come la direzione narrativa si allontani pesantemente da Dick e da
Blade Runner per avvicinarsi molto di più al
Ciclo della Fondazione di Asimov:
Blade Runner 2049 vuole essere un intenso trattato sul rapporto uomo-replicante, infarcito di lezioni religiose su una “specie” che esige di essere viva e riconosciuta come tale, motivo per cui la rivoluzione è sempre dietro l’angolo.
Su questi temi, e tanti altri, il film mostra continuamente il fianco, rimanendo vacuo e perennemente in sospeso: nessuno dei protagonisti ha il coraggio di sbilanciarsi e voler lasciare un segno indelebile; un approccio timido, che va totalmente in contrasto con le ambizioni del film. Lo script banale viene camuffato grazie a una tecnica visiva impressionante, e tuttavia ci si accorge facilmente delle falle, specialmente quando abbiamo in scena Wallace (Jared Leto), colui che sta dietro la creazione dei nuovi replicanti: nelle sue pochissime apparizioni ha battute forzate, con inutili e improbabili sproloqui dove racconta nei minimi dettagli la sua sacra missione; insomma, il classico spiegone evitabile e poco credibile in un contesto reale. Peraltro, al di là di Wallace,
si parla in continuazione in Blade Runner 2049: ben 160 minuti di chiacchiere per non arrivare a nessuna conclusione, ed è qualcosa di malsano e inutilmente malvagio.
Eppure, come detto, i temi ci sarebbero anche. Ad esempio, a un certo momento prende quota un’interessantissima e raffinatissima parabola religiosa che lascia presagire di poter assistere a qualcosa di veramente esplosivo; tuttavia, la miccia fa cilecca nelle fasi finali e tocca arrendersi all’inevitabile. Spoiler, rivelazioni, colpi di scena: Blade Runner 2049, quando deve parlare, arranca su questi espedienti. Se dovessi riassumere con una facile metafora, il film di VIlleneuve è come un castello imponente e sfarzoso, arredato con gran gusto: sappiamo che c’è un tesoro nascosto e, per cercarlo, ne controlliamo ogni ala e ogni stanza, restando affascinati dalla bellezza che ci circonda; trovato il baule, però, lo scopriamo vuoto. Titoli di coda.
Blade Runner 2049, per approccio visivo e riferimenti al precedente, è l’archetipo di sequel perfetto
Blade Runner 2049 è, come scritto sopra, un piacevole disastro.
Assieme a Dunkirk, entra nel novero delle esperienze “fisicamente” cinematografiche più belle, intense e importanti degli ultimi anni, da vedere assolutamente al cinema per coglierne ogni sfumatura estetica; è anche un film che, nel suo aver deluso un poco le aspettative dal punto di vista narrativo, veste comunque bene i panni del sequel di un capolavoro leggendario come
Blade Runner, giacché sgomita e riesce a vivere di luce propria, senza stare attaccato al cordone ombelicale del predecessore.
Blade Runner 2049, per approccio visivo e riferimenti al precedente, è anzi l’archetipo di sequel perfetto. Le sensazioni che ha scaturito l’originale di Ridley Scott sono andate perse come lacrime nella pioggia e non potevano assolutamente ripetersi: questo di Villeneuve stanzia nel limbo dei film che potevano incarnare qualcosa di grandioso ma che non sono riusciti appieno nella loro missione; uno di quei lungometraggi che, a ogni modo, non infangano il nome che portano e sono dannatamente affascinanti, anche nel loro essere maledettamente inconcludenti.
VOTO: 7.5
Genere: fantascienza, thriller
Publisher: Warner Bros.
Regia: Denis Villeneuve
Colonna Sonora: Hans Zimmer
Interpreti: Ryan Gosling, Harrison Ford, Sylvia Hoeks, Robin Wright, Jared Leto, Ana De Armas
Durata: 163 minuti