Un viaggio lungo quattro ore da Canopus a Letopolis – fra il deserto, le gentili acque del Nilo e meravigliosi lembi di terra baciati dal limo – non fa testo sulla qualità complessiva di Assassin’s Creed: Origins, ma dà continuità alle buone impressioni nate un po’ in sordina in quel di Colonia, dove il nuovo capitolo della saga Ubisoft ha cominciato, seppur in ritardo, a dissipare i dubbi nati a Los Angeles dopo l’annuncio e la prima, non certo entusiasmante, prova. Il tempo, però, è risaputo, è galantuomo, soprattutto quando ci si rapporta a un titolo che si preannuncia immenso, sia per estensione del mondo di gioco, sia per ciò che concerne il respiro dell’azione. Avendo avuto finalmente la possibilità di immergermi a capofitto nell’Egitto del 46 a.C., posso dire – per la prima volta – che attendo di vestire i panni di Bayek nel titolo definitivo con una certa impazienza e abbastanza sollevato dai dubbi.
UN NUOVO ASSASSIN’S CREED, UN VECCHIO OPEN WORLD
Parto da una considerazione di pancia, di quelle che vengono dal dubbio di chi – da amante della saga, nel corso degli anni – ha visto l’identità formale del franchise vacillare in più di un’occasione, seppellita sotto esigenze di natura diversa da quella di portare avanti un concept assolutamente originale (almeno all’epoca dei primi capitoli).
l’idea alla base pare impostata intorno al concetto di memoria genetica
Per il resto, i tratti distintivi, in termini di gameplay, ci sono tutti, dai punti di osservazione alla deriva decisamente stealth di molte operazioni, passando per missioni di assassinio vere e proprie, ma sono tutti calati in un contesto decisamente ampio, che unisce una chiara struttura ibrida tra action adventure e RPG d’azione, con crafting al volo, sviluppo del personaggio in base a uno skill tree (già analizzato durante la gamescom) e cambi repentini di equipaggiamento in base alle circostanze. Le meccaniche di stampo ruolistico vanno assimilate, ma nello spezzone di circa quattro ore che mi ha portato dal livello 12 al 16 il senso di progresso percepito è stato evidente e piacevole e ha dato una direzione sia allo sviluppo del mio Bayek che al viaggio.Le logiche su cui si basa l’open world egiziano di Ubisoft, forse, sono un po’ retrograde da questo punto di vista, nel senso che siamo davanti al classico mix di soluzioni già visto in altri titoli, dall’approccio olistico in stile Bethesda all’utilizzo – soprattutto – di meccaniche presenti in diversi franchise Ubisoft, come gli avamposti in stile Far Cry o l’aquila, Senu, che fa le veci dei droni di Watch Dogs 2 e Ghost Recon: Wildlands.
è chiara la struttura ibrida tra action adventure e RPG d’azione
VIVERE L’EGITTO
Gran parte del merito va sicuramente alla cura dell’ambientazione, al solito impeccabile, ma che sorprende per varietà di luci, colori e tipologia di luoghi che andremo a visitare. La porzione di mondo esplorata è stata relativamente piccola, ma la somma di tutte le location viste nelle mie prove di Origins (il passaggio dalle architetture spinte di Menfi fino alla tempesta di sabbia nel deserto nella zona di Letopolis, passando per le rigogliose sponde del Nilo e il fantastico lago Mareotide) racconta in maniera emozionante e vibrante l’antico Egitto, e regala tantissima voglia di esplorare e andare a scoprire cosa si nasconde dietro una duna o in quel palazzo che si vede in lontananza.Ho provato il gioco su Xbox One X e – più che impressionarmi per dettaglio grafico o qualità dei singoli modelli, in linea con quanto ci si può aspettare oggi da un open world dell’attuale generazione – sono stato colpito dall’ampiezza del campo visivo e dal profilo delle costruzioni, che invoglia molto ad arrampicarsi nelle zone più verticali per dominare la scena. L’assenza della minimappa aiuta molto il senso di immersività, anche se la bussola in stile Bethesda (immagino disattivabile) non lascia da solo il giocatore nella vastità dell’Egitto, quantunque la fascinazione di rinunciare a qualsivoglia forma di indicazione sia ancora più suggestiva qui che nei precedenti episodi della saga.
per quanto decisamente stravolto dal punto di vista della struttura di gioco, Origins è un Assassin’s Creed fatto e finito
Mi ha fatto imbellire non poco anche la struttura delle quest, che mi sembra estremamente equilibrata tra necessità narrative (bussola dell’esplorazione e che, di conseguenza, si prendono il proprio tempo), e avventure più o meno brevi nate dalla necessità di svolgere il proprio ruolo quotidiano di Medjay, ovvero sceriffo per conto del faraone (Cleopatra, in questo caso). Per quanto ci siano stati due o tre passaggi di assistenzialismo in stile taxi (ovvero caricarsi PNG sul groppone e portarli dal punto A al punto B, evitando di trasformarsi in uno scolapasta causa frecce), Ubisoft Montreal mi sembra abbia mantenuto bilanciate le esigenze di crescita del personaggio con quelle di integrazione nella trama, evitando – per quanto possibile – il classico checklist gameplay becero e senza ritegno. Certo, un po’ di grinding durante le quest secondarie ci sarà, ma l’esperienza è quasi sempre coesa e contestualizzata, soprattutto perché diverse linee narrative sono accompagnate da tantissime note di colore ed elementi puramente investigativi in cui ci si imbatte di tanto in tanto, come appunti trovati per caso in un nascondiglio, oppure oggetti chiave scoperti nel corso di altre quest. Insomma, pur non reinventando nulla rispetto al genere di riferimento, lo sforzo di dar vita a un connubio interessante da esperire e stimolante da affrontare è palese e dà i suoi frutti, e si allinea con l’idea della saga che, da sempre, ha accompagnato l’opera di Ismael, fin dai tempi di Black Flag.
Organicità e giocabilità vanno di pari passo con la voglia di raccontare l’antico Egitto in tutto il suo splendore, desiderio che trova il suo massimo compimento nella Discovery Tour, una modalità “didattica” disponibile in un secondo momento, che mette il giocatore nei panni di un personaggio diverso da Bayek dandogli la possibilità di esplorare l’intero mondo creato da Ubisoft Montreal senza missioni e conflitti, solo per approfondire diverse tematiche presenti nel titolo, in una sorta di atlante storico interattivo. La Discovery Tour è sostanzialmente la versione giocabile della solita enciclopedia che fa da sostrato a un qualsiasi episodio di Assassin’s Creed, ma è importante sottolineare come tutti gli elementi che si incontrano in questa peculiare formula didattica siano comunque presenti nel corso dell’avventura, e dunque sia il raccolto che la mummificazione (attività svolte dai PNG) sono processi che normalmente si possono incontrare anche con Bayek. Da questo punto di vista, l’antico Egitto non è mai stato così vivo.
NULLA È REALE, TUTTO È LECITO
Nel complesso, mi sono divertito molto a giocare Origins, nondimeno restano diversi aspetti parzialmente problematici, che andranno verificati in sede di review. Intanto, la tenuta narrativa resta ancora da vedere, sia dal punto di vista della forma che dei contenuti, e benché le mie aspettative siano sbilanciate verso l’ottimismo, le cutscene di raccordo hanno mostrato un’altalenante qualità sia di scrittura che di regia, con una gestione della camera e della profondità di campo a tratti poco in linea con il momento del racconto e la scena.Se questo rappresenta un problema secondario, quello delle inquadrature non sempre perfette diventa una questione più seccante quando inficia un po’ la riuscita degli scontri più concitati, esaltata da un targeting system gestito con la levetta destra che non è sempre preciso, né tantomeno comodo. Si tratta di occasioni limite e con ampio margine di correzione (nel senso che il team di sviluppo è consapevole che alcuni aspetti della versione provata sono da rifinire), ma che si inseriscono in un discorso più ampio relativo al combattimento.
Organicità e giocabilità vanno di pari passo con la voglia di raccontare l’antico Egitto, desiderio che trova il suo massimo compimento nella Discovery Tour
La buona notizia del nuovo sistema messo a punto da Ubisoft è che dà vita a scontri impegnativi, da pianificare con cura e dall’esito non scontato, che regalano finalmente dignità all’aspetto storicamente più problematico della saga. L’estrema varietà di abilità e armi a disposizione influenza in maniera radicale la gestione di Bayek (e il suo essere più o meno incline agli scontri frontali), nonché la maestria con una determinata classe di armi o uno stile di combattimento ben preciso, e dunque la possibilità di cambiare al volo l’assetto di guerra torna decisamente utile per essere pronti a qualsiasi evenienza. Per dire, non tutti gli archi sono indicati per andare a caccia (utile per recuperare materiali per il crafting o necessaria in alcune missioni) o hanno la gittata giusta per il cecchinaggio; pertanto, cambiare arma da mischia in base alle caratteristiche dei nemici è vitale per sopravvivere, e in questo senso il gioco delle parti funziona benissimo, imponendoci un ritmo incalzante e uno stato di tensione alto in quasi ogni occasione. All’atto pratico, però, il feeling del combattimento, fatto di alternanza di colpi leggeri e pesanti e tantissima attenzione al timing per la parata e la schivata, resta un po’ meno fluido rispetto al resto dell’esperienza, ed è altresì reso più spigoloso da animazioni non sempre allo stato dell’arte e da una meccanicità di base un po’ troppo marcata. A conti fatti, a beneficiarne è lo stealth, con nemici mediamente più “svegli” e la necessità di studiare molto di più l’approccio a ogni situazione, magari sfruttando Senu o le abilità di Bayek relative all’uso di diversivi, congiuntamente all’attenta osservazione dell’ambiente circostante.
L’IA è complessivamente un passo avanti rispetto al passato, benché in alcune situazioni sia ancora fin troppo facile fare piazza pulita di un nugolo di nemici, soprattutto se di livello inferiore al nostro. È chiaro che in una manciata di ore di gameplay volto alla sperimentazione, con un personaggio tendenzialmente già sviluppato, è difficile avere uno sguardo complessivo sul bilanciamento, ma tra alti e bassi il dato saliente e positivo è che non mi sono mai annoiato e, anzi, in un paio di occasioni sono stato messo in seria difficoltà. Ecco, se dovessi riassumere la prova londinese di Assassin’s Creed: Origins direi che la saga del Credo riparte dalla solidità di un gameplay collaudato, ma parzialmente inedito per la saga, e trasportato all’interno di un universo che resta affascinante e carismatico. Probabilmente, tra qualche settimana, non grideremo al miracolo di innovazione, ma gli ingredienti per un’esperienza appassionante ed estremamente godibile ci sono davvero tutti.