BoJack Horseman: Stagioni 1-4 - Recensione

Quando ho iniziato a guardare BoJack Horseman ero anestetizzata dal trambusto della vita milanese fatta di lavoro-metropolitana-schiscetta, è per questo che la mia visione complessiva risalente a quel periodo è finita poco dopo la seconda puntata. A seguito di vari commenti online, dopo aver perso il mio lavoro ed essere entrata in un loop fatto di divano-maratone di vecchi telefilm, rabbia verso il sistema, disagio e arrendevolezza, ho deciso di riprendere la fruizione in maniera apatica. Da un lato prevaleva il mio pregiudizio sulle serie animate, viste come un prodotto satirico, sopra le righe e con poca sostanza; dall’altro ero convinta di dover semplicemente riempire qualche momento della mia routine svuotata con venti minuti di leggerezza.

COME LUI

Le puntate scorrevano e io BoJack lo odiavo davvero: lui sdraiato sul divano, io sdraiata sul divano; lui un ex attore di Hollywood, io una precaria che scriveva pensieri su Internet. Il suo atteggiamento mi irritava profondamente. Si fatica a prendere alla lettera il consiglio di recuperare immediatamente questa serie, considerate anche le premesse: all’inizio veniamo bloccati dalla sua forma, che porta con sé un muro di diffidenza dato dal vecchio binomio cartone animato = prodotto per bambini, oppure semplice intrattenimento per adulti o, ancora, satira nella sua forma più dolcificata. Più le recensioni e i pareri favorevoli degli amici si affastellano, poi, più non si ha voglia di guardare un cavallo depresso che si esprime attraverso lunghi monologhi.BoJack Horseman immagine Netflix 03La buona notizia è che Bojack Horseman non è una serie per quelli che chiamiamo comunemente “tutti”, perché se è vero che rappresenta depressione ed eccessi con tanta ironia, ben presto ci si accorge che non punta tutto sull’intrattenimento, che è arte nella sua forma più bella, giacché non prende in giro lo spettatore che decide di immergersi in essa, ma si mostra con una sincerità dal gusto agrodolce.

la forma di BoJack Horseman porta con sé un muro di diffidenza dato dal vecchio binomio cartone animato = prodotto per bambini, oppure semplice intrattenimento per adulti

La serie può essere apprezzata nella sua interezza nel momento in cui si realizza di essere nello stesso stato d’animo del protagonista: svaccati sul divano, con un occhio rivolto alle misere prospettive future e l’altro puntato sulla condizione imbarazzante della propria stanza in affitto. È proprio trovandosi in una situazione siffatta che BoJack Horseman raggiunge l’apice: è un’opera cruda, spiazzante, commovente, sarcastica, ironica, tenera ed intelligente, che sa dove colpire e lo fa senza ipocrisie.

E così la prima stagione scorre odiando l’equino, quasi fosse una personificazione di tutti i mali che affliggono la società: procrastinazione, depressione, eccessi, nonsense, ipocrisia sociale, tanto per elencarne qualcuno. Il protagonista, dall’aspetto di un cavallo antropomorfo, si presenta senza addolcirci la pillola: lui era un attore di successo negli anni ’90 con una carriera oramai distrutta e una vita votata al vuoto e agli eccessi. Se i primi dodici episodi fungono da introduzione al suo mondo, incentrando la quasi totalità della narrazione su BoJack stesso, la serie continua a espandere il suo universo stagione dopo stagione, donando profondità e prospettiva ad ogni singolo personaggio. Princess Caroline, manager/ex amante di BoJack, Todd Chavez, (l’ex) coinquilino dalle idee folli, Diane, scrittrice e amica complice e Mr. Peanutbutter, che possiamo considerare la “nemesi” del nostro cavallo preferito, sono tutti i comprimari di un mondo al rovescio, dove la figura dell’antieroe è il protagonista della pellicola.

POLEMICO, STUPIDO, STRAPPACUORE DI UN CAVALLO

I dialoghi e le dinamiche tra i protagonisti sono il fulcro della serie, da semplici frasi taglienti – pronte per essere citate sui social network – a vere e proprie rivelazioni che spogliano ogni costruzione sociale, dalla critica più brutale verso il sistema alla satira amara su argomenti decisamente scomodi come l’aborto, lo show business, le armi e la politica. Se per la maggior parte delle serie TV è vero l’inverso, BoJack Horseman tocca il punto più alto durante una terza stagione che travalica le risate e costringe lo spettatore a fare i conti con una nuova prospettiva sulla depressione, non semplice sinonimo di “tristezza”, ma malattia con tutte le sue conseguenze: l’abuso di droga e alcool e la messa a nudo di tutti i peggiori difetti dei componenti di una società ipocrita, egocentrica e caratterizzata da una profonda mancanza di empatia.BoJack Horseman immagine Netflix 02In un crescendo di risate e amare verità accompagnate da disegni vivi – che non rappresentano solo il mezzo della narrazione, bensì un ulteriore veicolo di divertimento e satira – l’anima dello show viene mostrata durante l’arco della stagione che culmina con l’episodio Un pesce fuor d’acqua, un vero e proprio capolavoro di scrittura, ma anche il momento in cui ci rendiamo conto che – in fondo – vogliamo bene a BoJack e lo perdoniamo, perdonando di riflesso noi stessi.

BoJack Horseman è un’opera cruda, spiazzante, commovente, sarcastica, ironica, tenera ed intelligente

A metà tra una seduta di psicanalisi e un racconto, dopo una stagione che ci scalda il cuore e poi ce lo devasta come la più classica delle storie d’amore tormentate, assistiamo alla maturità della serie in una quarta stagione forte del successo ottenuto. I canonici dodici episodi dell’ultima fatica di Raphael Bob-Waksberg e team sono apertamente polemici, scomodi, femministi: attaccano l’ipocrisia dopo le tragedie con l’episodio Pensieri e Preghiere; Stupido pezzo di m…da diventa la rappresentazione più semplice e devastante della mente di un depresso, e mentre la stagione si apre con la campagna politica di Mr. Peanutbutter – che scimmiotta i comportamenti elettorali del popolo americano – il fulcro intorno a cui ruotano i personaggi è la famiglia e le relazioni che la compongono (amicizie, amori, legami, compromessi, affetti e scelte che riecheggiano nei rapporti come fossero una cassa di risonanza).

Se nella terza stagione BoJack scriveva che, alla fine, tutto ciò che abbiamo sono le connessioni che creiamo, la quarta demolisce la poesia della frase succitata e ci porta a fare i conti con l’aspetto pratico dei rapporti: dalla famiglia d’origine a quella che ci scegliamo, dall’insoddisfazione personale a quella lavorativa, agli obblighi e al sollievo di ritrovare anime simili durante il viaggio. Tra guest star d’eccezione e altri dettagli commoventi della storia di BoJack che scopriamo addentrandoci nella nuova stagione, anche Todd conquista il suo spazio, trasformandosi da spalla comica principale e generatore di nonsense a personaggio con una propria complessità, mostrando – per la prima volta apertamente su schermo – la sua asessualità.

Tirando le somme, BoJack Horseman mi ha sorpreso. Ho iniziato con lui un percorso nato in odio e trasformatosi in amore, e non è giocoforza necessario immedesimarsi né è richiesto empatizzare con lo stile di vita dell’equino, nondimeno – per quanto non lo si voglia fare – finirà che ci ritroveremo a rimproverarlo, a sorridere bonariamente e a rivederci in alcuni suoi atteggiamenti. Ancor di più, saremo felici di aver recuperato uno degli originali Netflix più brillanti in scuderia.

VOTO 8.5

BoJack Horseman immagine Netflix locandinaGenere: animazione
Publisher: Netflix
Regia: Vari
Colonna Sonora: Patrick Carney
Intepreti (doppiatori nella versione originale): Will Arnett, Amy Sedaris, Alison Brie, Paul F. Tompkins, Aaron Paul
Durata: 4 stagioni

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