Sliding doors

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Io sono sempre quello che arriva dopo, quando tutti hanno già pomiciato, la festa sta finendo e il deejay sta riponendo i dischi nella valigetta. Al di fuori del novero dei videogiochi che devo “vivere in diretta” perché mi occupo personalmente della recensione, è davvero raro che riesca a mettermi d’impegno e a dedicare tante ore a un titolo appena uscito, a meno che non sia una roba di quelle che mi sbatte in faccia i titoli di coda nel giro di un paio di sere. Ci sono evidenti eccezioni a questa regola, ma spesso sono frenato da quello strano hobby della vita da vivere al di fuori dei videogiochi, senza contare che – comunque – posso permettermi di far miei alcuni dei titoli che mi piacciono perché me li auto-assegno in quanto caporedattore del lato web di The Games Machine (anche se, in molte circostanze, vorrei viverli con più calma, lontano dalle ristrettezze degli embarghi imposti dal publisher).

Penso, ad esempio, al fatto di aver percorso le vie di Dunwall (Dishonored) solo qualche mese fa, mentre proprio l’altro ieri – su consiglio del collega di un’altra testata, durante una chiacchierata avvenuta nel bel mezzo di un press tour – ho iniziato ad addentrarmi nei difficili meccanismi di Stellaris di mamma Paradox, una roba che odora di splendido lontano un chilometro e che ha una colonna sonora talmente sfiziosa da farmi pentire amaramente di non essermene innamorato prima.

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A volte mi chiedo cosa sarebbe di me come videogiocatore se avessi dedicato tempo ad alcune cose, al posto di altre

Ecco… Paradox è una di quelle realtà dove io arrivo davvero sempre dopo gli altri. I giochi dell’azienda svedese sono un vero e proprio secondo lavoro: richiedono tempo, studio e un’abnegazione quasi totale alla causa; eppure suscitano in me un fascino irresistibile, nonostante non sia mai riuscito a godermene uno pienamente, a causa dei motivi di cui sopra (ma con Stellaris mi ci sto mettendo d’impegno, giurin giuretta!). A breve arriveranno sul tavolo delle pietanze anche Surviving Mars e BATTLETECH, due robe che non mi sogno nemmeno di recensire – non avendone le capacità – ma che avrei la fregola di vivere per spasso personale fin da subito, percorrendo la strada della scoperta assieme al resto della community. E invece, finirà che (forse) installerò entrambi i titoli nel 2020, alla quattordicesima major-patch, quando la ciotola delle patatine sarà inesorabilmente vuota e la donna delle pulizie starà già raccattando i popcorn da terra, con il rumore dell’aspirapolvere intento a sostituire quello della musica.

A volte mi chiedo cosa sarebbe di me – come videogiocatore, non come giornalista – se avessi dedicato tempo ad alcune cose, al posto di altre. È certo vero che i gusti personali inficiano le nostre scelte su quali titoli siano meritevoli del nostro impegno, ma credo sia altrettanto valido l’opposto, ovvero che più ci dedichiamo a un genere (magari scoperto per caso) e più ci viene la voglia di approfondirne le sfaccettature; a discapito di altri prodotti, ovviamente, perché la giornata sempre di 24 ore è fatta e nella vita ci sono anche altre priorità. Per dire, se avessi dedicato i miei ultimi dieci anni a Paradox, mi sarebbe poi venuta la voglia matta di farmi una vasca in apnea su Xenoblade Chronicles 2, oppure non sarebbe cambiato niente? Se avessi ascoltato il consiglio spasmodico di quell’amico che ha tentato in tutti i modi di trascinarmi dentro League of Legends, avrei percorso comunque in lungo e in largo la Hyrule di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, o avrei ignorato totalmente l’esistenza di Nintendo Switch? Insomma… le sliding doors esistono anche nel mondo dei videogiochi, o sono solo fisse mentali di un povero vecchietto come me?

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