Xenoblade Chronicles 2 - Recensione

Switch

Dopo un action-RPG sontuoso, un gioco di corse arcade che più spassoso non si può, un picchiaduro profondo e ben riuscito, uno sparatutto online giocatissimo, uno strategico a turni che lévati, uno dei platform migliori di sempre e un botto di conversioni più o meno riuscite, Nintendo chiude l’anno di lancio di Switch riempiendo a modino anche la casellina dei JRPG e rendendo ancora più eterogenea l’offerta di una console che passerà probabilmente alla storia come quella che – nei primi mesi di vita – ha sparato cartucce potenti come mai nessun’altra ha fatto in passato. Xenoblade Chronicles 2, pur evidenziando qualche piccolo inciampo qua e là (e di cui vi renderò edotti a breve), è proprio un gran bel gioco e, a mio avviso, entra di diritto nel novero dei titoli da tenere in stretta considerazione per l’acquisto, a meno di non avere una profonda idiosincrasia per il genere cui appartiene.

WHO WANTS TO LIVE FOREVER

Come ormai dovrebbero sapere anche i sassi, Xenoblade Chronicles 2 narra le vicende di Rex, un giovane ragazzotto che viene coinvolto suo malgrado in una storia solo apparentemente più grande di lui. Nei primi vagiti del plot narrativo Rex scopre di essere un Ductor (Driver, nella più azzeccata definizione inglese), ovvero uno dei pochi capaci di incanalare in battaglia i poteri di un Gladius (Blade, nella più azzeccata definizione inglese). I Gladius sono pet per lo più antropomorfi che sonnecchiano all’interno di appositi Cristalli, fino all’arrivo di un Ductor in grado di svegliarli e di sfruttarne i servigi; morto il Ductor, il Gladius perde completamente la memoria di ciò che è stato e ritorna alla forma cristallina, in attesa di un nuovo “proprietario” che riesca a entrarne in risonanza a a reclamarne l’uso. Il primo Gladius di Rex è Pyra, una giovane ragazza capace di maneggiare il potere del fuoco: ciò che distingue Pyra dagli altri Gladius è il fatto di essere un Aegis, un leggendario tipo di Gladius le cui origini si perdono nel mito, nato per mano dell’Architetto in un luogo paradisiaco chiamato Elysium. Questo posto magico è sito in cima a un gigantesco albero che stanzia solitario al centro di Alrest, un pianeta sommerso in un mare di nubi dove le popolazioni vivono letteralmente sopra (o anche dentro) enormi bestie chiamate Titani. Inutile dire che il viaggio di Rex e Pyra verso l’Elysium – alla scoperta delle origini di quest’ultima – si rivelerà il mezzo col quale i due, assieme a molti altri protagonisti, dovranno salvare il mondo dal catastrofico destino che lo attende.

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il viaggio è stato sempre piacevole e, di tanto in tanto, mi ha regalato qualche plot twist interessante

Nonostante la storia e il parco personaggi di Xenoblade Chronicles 2 siano infarciti di tutti quei cliché che gli amanti dei JRPG conoscono più che bene, c’è da dire che il viaggio è stato sempre piacevole e, di tanto in tanto, mi ha regalato qualche plot twist che – seppur imboccato – ha contribuito ad alimentare una certa empatia verso gli elementi del party che si sono alternati al fianco di Rex. Più di tutto, però, ciò che ha tenuto in piedi la narrazione lungo le settanta e passa ore che mi sono servite per arrivare ad affrontare il boss finale è stata la pervicace trattazione, seppur con la dovuta leggerezza, di alcuni temi a me cari, come la caducità dell’esistenza umana e l’inutilità dell’immortalità se privata dei ricordi che la alimentano, in un mondo dove alcuni Gladius sono financo più umani dei Ductor che li controllano. Pur scivolando costantemente lungo il crinale di una spontanea naturalezza, la narrazione non ha mancato di sollevare qualche spunto di riflessione; questo è ancor più vero sul finale, quando si scoprono gli altarini su alcuni dei protagonisti (sia tra le fila dei cattivi, sia tra quelle dei buoni) e dove il contrappunto tra bene e male perde almeno un po’ di quel contrasto netto che, invece, fa da sottofondo a tutto il resto dell’avventura.

NOW I’M HERE

Il viaggio di Rex e soci è lungo e strutturato, composto non solo da missioni primarie da portare a termine, ma anche da tanta sana esplorazione e da attività secondarie che – seppur a lungo andare reiterate nella forma – donano parecchia sostanza a chi ha la voglia di pulire bene il piatto e fare scarpetta; percorrendo la via verso i titoli di coda non mancano poi vagonate di citazioni che i più nerd di voi non faticheranno a cogliere (ad esempio, ce n’è una clamorosa al mondo dei robot di Go Nagai che mi ha lasciato particolarmente imbellito). Come detto, ho impiegato poco più di un settantina di ore per arrivare alla resa dei conti, ma la seconda metà di queste è stata vissuta “di corsa” e ignorando il contorno, col solo obiettivo di puntare alla meta finale per poter vergare in tempo utile la recensione che state leggendo: ho il sospetto che, prima di considerare definitivamente conclusa la mia esperienza con Xenoblade Chronicles 2, ce ne vorranno almeno altrettante.

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non mancano vagonate di citazioni che i più nerd di voi non faticheranno a cogliere

I Titani che popolano Alrest tengono fede al loro nome: gli scenari sono, per l’appunto, “titanici” e invogliano costantemente alla perlustrazione, infarciti come sono di zone nascoste, collezionabili e named opzionali da abbattere, in cambio di ricchi premi e cotillons. Peraltro, sta a noi “fare esperienza” sul campo e capire cosa – del variopinto bestiario – è aggressivo e cosa no, visto che non c’è alcun indicatore a schermo che ci indichi un’eventuale cattiva intenzione di un mob nei nostri confronti. Come ho già avuto modo di dire in sede di anteprima, questo fatto non tarpa ma, anzi, alimenta il piacere della scoperta, cui si aggiunge la necessità di potenziare per bene i Gladius che abbiamo nel roster, affinché le loro abilità siano sufficientemente avanzate da permetterci di raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili. Da questo punto di vista è un peccato che le due mappe – quella a schermo e quella un po’ più dettagliata, richiamabile dal menu interno – non incarnino la quintessenza della praticità, ma anzi inducano talvolta persino in errore: in certi frangenti mi sono trovato più a mio agio ignorandole, affidandomi invece alle mie vetuste ma sempre utili conoscenze da Gran Mogol, oltre che all’istinto.

A KIND OF MAGIC

Xenoblade Chronicles 2 mette in pista un combat system che da un lato pesca a piene mani da quanto proposto dagli altri due episodi della trilogia moderna, ma dall’altro innesta la presenza dei Gladius con un discreto tocco di originalità. La prima cosa da dire è che i Gladius – a parte un numero sparuto di presenze fisse, dettato da esigenze di copione – vengono sbloccati in maniera del tutto casuale. Durante le svariate attività è facile imbattersi in Cristalli Comuni, da cui nascono per lo più Gladius randomici per attitudine, caratteristiche, elemento e financo sesso. Altri tipi più nobili di Cristalli consentono di far nostri i Gladius più rari (sono ben 38), concepiti da celebri character designer del mondo dei videogiochi e contraddistinti da abilità uniche. Di fatto, non ho mai usato i Gladius comuni in battaglia, che sono invece tornati utili sia per soddisfare alcune richieste particolari, sia per completare le missioni Mercenarie, laddove i miei eroi di Serie B tornavano dopo un tot di tempo con in saccoccia qualche oggetto utile alla causa e una discreta manciata di Punti Esperienza.

xenoblade chronicles 2 recensione nintendo switchI Gladius rari (finora ne ho trovati 22) sono invece stati fedeli compagni durante tutti i momenti in cui la diplomazia ha dovuto lasciare giocoforza spazio agli schiaffi. Il party attivo è composto da tre personaggi, ciascuno accompagnato da tre Gladius, alternabili al volo all’occorrenza. Nella mia strategia ho cercato di avere sul campo il più tempo possibile la sacra triade Guaritore/DPS/Tank, ma nulla vieta di tentare metodi di ingaggio differenti, considerato poi che l’Intelligenza Artificiale che gestisce gli altri due membri del party non sotto il nostro diretto controllo tende, ogni tanto, a prendere iniziative tutte sue. Il fatto che ruoli, abilità, armi ed elementi dipendano esclusivamente dal Gladius attivo fa sì che si possa modificare rapidamente l’approccio, guardando a come si evolve la tenzone: i nemici che si incontrano, difatti, hanno spesso il brutto vizio di cambiare intelligentemente le carte in tavola nel bel mezzo dello scontro, ad esempio sostituendo dinamicamente l’elemento di debolezza. Due parole vanno spese per Poppy, un Gladius artificiale di cui vi innamorerete subito e che, in quanto robotico, può essere modificato a piacimento in ogni componente, dall’elemento di appartenenza alle abilità attive e passive. Ovviamente, l’elasticità unica di Poppy si paga a caro prezzo: l’acquisto e il setup di ogni modifica non è gratuito, ma si può operare solo spendendo cristalli di etere, cumulabili molto lentamente giocando a uno strano (e difficile) coin-op che si trova a casa del suo Ductor.

Nella mia strategia ho cercato di avere sul campo il più tempo possibile la sacra triade Guaritore/DPS/Tank

I personaggi, compreso quello sotto il nostro controllo (tipicamente Rex, ma nulla vieta di sostituirlo con altri), attaccano automaticamente l’obiettivo designato, senza che noi si debba fare nulla di specifico. Ogni arma porta in dote alcune Tecniche, dal maggior effetto se attivate col giusto tempismo, utilizzabili ogni volta che hanno raggiunto la piena ricarica e che possono sia arrecare danno al nemico, sia fornire buff ai compagni o debuff ai nemici. Concatenare gli effetti secondari delle Tecniche è sempre cosa buona e giusta: fiaccare un nemico per poi abbatterlo, lanciarlo successivamente in aria e schiantarlo infine al suolo è una pratica che si rivela spesso risolutiva, in particolare nel velocizzare i combattimenti contro gli avversari meno impegnativi.

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Concatenare gli effetti secondari delle Tecniche è sempre cosa buona e giusta

Parallelamente alle Tecniche ci sono quattro Mosse Speciali, tipiche di ogni Gladius, fortemente connesse all’elemento di appartenenza e caratterizzate da specifici Quick Time Event legati al pulsante B (come già visto in precedenza, nella moderna trilogia): si può scegliere se utilizzare quasi subito la prima disponibile, oppure attendere di arrivare fino alla quarta, ovviamente più potente e portatrice di maggior danno. Sebbene, come giocatori, abbiamo pieno controllo solo del personaggio principale del party, ai lati dello schermo appaiono due indicatori che ci consentono di attivare le Mosse Speciali anche degli altri compagni: questo è un fatto molto importante, perché le Mosse Speciali possono essere opportunamente concatenate, seguendo un percorso ad albero mostrato in alto a destra e chiamato Combo Gladius, fino al raggiungimento di una Super Mossa particolarmente munifica. Con il prosieguo della battaglia, poi, si carica un’ulteriore barra (quella in alto a sinistra), divisa in tre segmenti: possiamo scegliere di sfruttare le tacche per rianimare un compagno caduto, oppure attendere il pieno riempimento per scatenare un devastante attacco di gruppo.

UNDER PRESSURE

Ciò che vi ho descritto nel precedente paragrafo – magari in maniera un po’ confusa, me ne rendo conto – è solo la punta dell’iceberg di un combat system estremamente sfaccettato e profondo, se contate che in ballo entrano anche due ventagli di talenti distinti (uno per i Ductor e uno per i Gladius), con perk che si sbloccano portando a termine determinati obiettivi, non sempre banali da completare e non necessariamente legati alle prestazioni durante la lotta. È quindi un peccato che, almeno in certi frangenti, la confusione in battaglia non consenta una lettura cristallina della situazione: se è vero che buona parte delle azioni possono essere gestite con efficacia anche solo affidandosi all’HUD, le cose si fanno più complicate quando nel marasma generale tocca valutare la nostra posizione in relazione al nemico (alcune Tecniche, per dire, aggiungono danno se colpiamo da dietro o dal fianco) o cerchiamo di pescare il momento migliore per massimizzare il danno, guardando all’animazione del protagonista.

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È un peccato che, almeno in certi frangenti, la confusione in battaglia non consenta una lettura cristallina della situazione

Un altro problemuccio di Xenoblade Chronicles 2 riguarda l’aggro, non sempre leggibile correttamente. Ogni tanto capita di essere ingaggiati da un nemico da una certa distanza, mentre in altre situazioni lo stesso non si accorge della nostra presenza a un palmo dal suo naso, con buona pace di qualsiasi tipo di pianificazione. Peraltro, certi combattimenti che prendono il via durante la semplice esplorazione sono discretamente lunghetti, con un tempo di respawn dei nemici che, talvolta, è più rapido della nostra capacità di fare piazza pulita: più di una volta mi sono trovato a inanellare sequenze di decine di nemici uccisi, con combattimenti estenuanti e durati anche più di una quindicina di minuti abbondanti, prima che potessi rinfoderare le armi. Certo, si tratta di un bel modo per grindare, ma almeno in un paio di occasioni avrei voluto proseguire diritto verso l’obiettivo, anziché perdere forzatamente tempo perché il gioco aveva deciso di vomitarmi addosso tutto il suo dolore.

Già che stiamo parlando di difetti, l’ultimo che mi preme segnalarvi è il fatto che la sospensione dell’incredulità viene talvolta messa a dura prova. In qualsiasi momento dell’avventura possiamo teletrasportarci in tutti i luoghi precedentemente visitati: una gran comodità, certo, nonché una soluzione di gameplay che – in un mondo vasto e aperto come quello di Xenoblade Chronicles 2 – torna spesso utile quanto la manna dal cielo. Tuttavia, ci sono alcuni frangenti della trama in cui i nostri eroi dovrebbero essere impossibilitati a muoversi, con tanto di dialoghi che alimentano una situazione di urgenza («Come facciamo a scappare da qui? Dobbiamo trovare subito una via d’uscita!»): in questi casi, la facoltà di teletrasportarsi altrove, farsi gli affaracci propri per ore e poi tornare in loco, beh… davvero rompe un po’ il pathos. A mio modo di vedere, in questo Monolith Soft ha un po’ peccato di pigrizia, perché ha preferito un approccio estremamente old-school, quando altri esponenti del genere (ma non solo) hanno dimostrato che esistono soluzioni alternative, capaci di salvare capra e cavoli, senza forzare così tanto la tenuta della coerenza narrativa.

THE MIRACLE

Il titolo di questo paragrafo conclusivo è facilmente spiegabile col fatto che Xenoblade Chronicles 2 è un vero miracolo di programmazione. Sembra incredibile che una console come Switch sia in grado di mostrare a schermo tutto quel ben d’iddio, e invece succede, come peraltro dimostrano le immagini a corredo di questa recensione, prese di mio pugno durante l’avventura. Certo, nelle città in particolare si assiste ad alcuni evidenti fenomeni di pop-up, ed è palese come in specifiche zone il frame rate (in modalità TV) soffra un pochetto, ma si tratta di problemucci accettabili di fronte alla magnificenza di tutto il resto. È certamente nella modalità portatile che Xenoblade Chronicles 2 dà il meglio di sé, non solo perché il gioco gira più fluidamente, ma anche perché l’immagine è meno impastata rispetto a ciò che si vede quando la console è ospitata nel dock. Da questo punto di vista è un vero peccato che lo sviluppatore non abbia pensato a sfruttare in qualche forma lo schermo touch, non tanto nei combattimenti (dove, giustamente, non avrebbe granché senso), quanto nei momenti in cui ci si perde nella farraginosità dei tanti menu, non sempre comodissimi da navigare.

Un applauso fortissimo e convinto va a chi ha curato la colonna sonora

Un applauso fortissimo e convinto va a chi ha curato la colonna sonora (a Yasunori Mitsuda in particolare, che mi ha riacceso nelle orecchie e nella mente le onde emotive di Chrono Trigger e Chrono Cross), davvero strepitosa nell’alternare dolcezza e incalzante energia. Purtroppo, ho potuto giocare avvalendomi solo del doppiaggio anglosassone, visto che quello giapponese verrà reso disponibile come add-on gratuito quando Xenoblade Chronicles 2 raggiungerà gli scaffali: al di là di qualche momento in cui voci e labiale dei protagonisti erano palesemente fuori sync, devo dire di aver gradito abbastanza, così come ho apprezzato la più che decorosa traduzione in lingua italiana dei sottotitoli, nonostante qualche piccolo strafalcione qua e là. Bene così.

Nintendo piazza su Switch il colpo gobbo anche in fatto di JRPG, con un titolo che ogni amante del genere non dovrebbe lasciarsi sfuggire, e che anzi dovrebbe incuriosire anche chi non mastica giochi di ruolo di matrice giapponese dalla mattina alla sera. Certo, qualche difettuccio c’è, a cominciare da un’eccessiva confusione in alcune battaglie e da qualche incertezza nel modo in cui è gestito l’aggro dei nemici, ma si tratta di sottigliezze che, se si guarda al quadro generale, vengono confinate a ridosso della cornice e lontano dal centro della scena. La storia fila via liscia e – seppur poggi le basi su molti cliché – a tratti commuove e spinge financo alla riflessione. I personaggi, poi, sono davvero ben tratteggiati, tanto che molti di loro vi entreranno nel cuore e ci rimarranno per parecchio. Insomma… nonostante la tendenza di Monolith Soft a perdersi in un bicchiere d’acqua, almeno in certe questioni, possiamo dire che il risultato è portato a casa egregiamente.

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Pro

  • Storia a tratti imboccata, ma comunque interessante e ricca di spunti.
  • Poppy.
  • Tecnicamente a tratti incredibile.
  • Buona direzione artistica, con scenari e personaggi ben tratteggiati.
  • Combat system profondo e duttile.
  • Gargantuesco nella proposta dei contenuti.
  • Colonna sonora da favola.

Contro

  • L’eccessiva confusione di certi scontri mortifica parzialmente la profondità del combat system.
  • L’aggro va rivisto.
  • In un paio di situazioni la sospensione dell’incredulità è messa a dura prova.
  • In modalità TV si assiste a qualche calo di frame rate e a un velato impastamento dell’immagine.
  • Touch screen inutilizzato.
8.8

Più che buono

Detto, fatto, un po' matto. Il Kikko redazionale passa per vecchio e stanco, ma è quello che porterà un fiore, un mouse e una tastiera sulle tombe di tutti gli altri loschi figuri che gravitano per le nebbiose vie di TGM.

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