Folle, folle Far Cry 3

in un universo ludico fatto di immutabili costanti ed idee riciclate, troviamo pur sempre variabili in grado di stupirci

Ovviamente, i giovinastri vengono subito catturati dai pirati che infestano l’isola, tagliagole spietati capeggiati dallo psicotico Vaas Montenegro che vede nei malcapitati una ricca merce di scambio. L’unica speranza per gli aspiranti fuggiaschi, e in particolar modo per Jason Brody, che siamo chiamati ad interpretare, sono dunque i Rakyat, i nativi dell’isola, guidati dall’indomita e selvaggia Citra.Far Cry 3

la performance di Michael Mando nel ruolo di Vaas Montenegro è impeccabile

Per ambientazioni, figure principali e taglio di alcune missioni, Far Cry 3 (2012) assomiglia terribilmente al reboot di Tomb Raider (2013), tanto che pungolato sull’argomento Brian Horton, art director del titolo di Crystal Dynamics, ha spiegato: «La loro» isola «ha più un’estetica tropicale, mentre la nostra ha più l’aspetto di una foresta». Il problema è che sono simili anche le attività che siamo chiamati a svolgere (diciamo pure che sono le medesime da un decennio!): abbiamo missioni di scorta, difesa o liberazione, battute di caccia, gestione delle torrette, raccolta di ingredienti per produrre potenti siringhe ipodermiche in grado di aumentare le capacità del personaggio, sessioni di guida e quant’altro. Nondimeno, in un universo ludico fatto di immutabili costanti ed idee riciclate, troviamo pur sempre variabili in grado di stupirci.

Nel caso specifico, la forza di Far Cry 3 risiede in tre fattori cardine. In primis, calcare la mappa delle Rook Island costituisce una vera e propria esperienza in grado di intrattenere il giocatore con viste “da cartolina” (scusate la banalità e l’anacronismo!), tra spiagge eburnee, villaggi di lamiera, navi incagliate nella rena, lagune cristalline, fondali marini popolati da pesci colorati e coralli, rovine dilavate della seconda guerra mondiale, antichi templi e sgangheratissime torri radio. Tutto questo sarebbe nulla senza un ecosistema ricchissimo, dinamico e bipartito che vede da un lato gli umani – rappresentati dalle tre fazioni del gioco: pirati, Rakyat e mercenari – e dall’altro una fauna caleidoscopica che comprende, fra le tante belve, squali, draghi di Komodo, tigri, casuari, bufali, leopardi, coccodrilli e serpenti, senza dimenticare galline e maiali. Ed è meraviglioso trovarsi a liberare un accampamento coadiuvati da un leopardo (seppur temporaneamente, e per mera coincidenza), che da lì passava e che con qualche zampata ha “deciso” di semplificarci la vita.

in Far Cry 3 di Ubisoft
domina la biodiversità

Le Rook Island sono poi enormi e dettagliatissime: a differenza di taluni, vastissimi open world che non vado a menzionare, non vi sono qui rovine elfiche similari, locande copia-incollate o fortezze naniche identiche; in Far Cry 3 domina la biodiversità e logicamente abbondano “nooks and crannies” e paradisi in miniatura. E per spostarsi in questa verde vastità viene garantito un parco vetture che spazia dalle barche agli acquascooter, per muoversi agevolmente sul pelo dell’acqua, transitando per macchine, camioncini e dune buggy, arrivando financo a comprendere il parapendio e una tuta alare per tuffarsi giù in picchiata, magari in una profonda caldera.

QUESTA È FOLLIA!

In secondo luogo, Far Cry 3 non spreca una linea di dialogo né un personaggio. A ben vedere, se ci riflettiamo un attimo, il protagonista del titolo non doveva nemmeno essere Jason, ma il fratello maggiore Grant, il “Rambo” di turno, nato, cresciuto e pasciuto con la mentalità del militare; con gli attributi, insomma.

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