Il gioco nell’epoca della permalocrazia

Cedere sull’argomento, porsi continuamente dei limiti ai concetti che possiamo o non possiamo esprimere, usare, o riderci sopra, non è necessariamente un bene per la civiltà

Ma negli ultimi tempi basta un nonnulla per avanzare accuse di omofobia, razzismo, misoginia, discriminazione. Gli ultimi casi riguardano addirittura questioni di invalidità, come l’accusa di abilismo mossa a Ubisoft per la descrizione di un personaggio di Assassin’s Creed Valhalla, che suonava più o meno così: “Eorforwine è rimasta orribilmente ustionata da piccola e, terrorizzata all’idea che qualcuno veda la sua faccia sfigurata, scatena la sua furia con fiammate di violenza”. Certo, magari non deve essere carino leggere una descrizione del genere se si è passati dallo stesso dramma, ma… è giusto imbrigliare la fantasia dentro le regole di un galateo che ci dovremmo invece imporre nella vita reale?

La presenza delle trans in Cyberpunk 2077 ha sollevato un vespaio. Sono fioccate polemiche sia dall’alt-right che non le può vedere, sia da trans stesse scontente della loro rappresentazione

L’immenso Mel Brooks, di recente, ha dichiarato che “si dovrebbe poter ridere di tutto”, ma che anche per lui esiste un limite inviolabile costituito dalle sofferenze ebree durante l’Olocausto. Possiamo essere tutti d’accordo sull’argomento, o anche solo in parte: la caccia alle streghe durante l’Inquisizione, la deportazione degli africani nell’epoca dello schiavismo e tutte le guerre, in generale, sono state tragedie capaci di plasmare la società. Ridere di un portatore di handicap è davvero meschino, sebbene i cultori del black humour se ne freghino altamente. Perché, quindi, tutte queste cose non meritano lo stesso rispetto? A distanza di 80 anni dalle leggi razziali, posso prendere in giro gli ebrei ortodossi per il loro abbigliamento, per i loro riti o per le loro usanze? “No, perché nel secolo scorso Hitler ne uccise a milioni”, oppure “No, perché non è giusto farlo in quanto offensivo”? Posso permettermi il lusso di inserire un personaggio ebreo in un videogioco, perché funzionale alla trama, sfruttandone gli stereotipi? Posso, allo stesso modo, inserire un disabile, una trans, un nero, un asiatico, una fiera dell’est, solo perché mi servono nel contesto narrativo di un’opera? La libertà di parola mi suggerisce che posso. La necessità di portare avanti una storia, invece, che devo.politically correct videogiochi

Un outing non richiesto non si nega a nessuno: Kate Walker, delusa dagli uomini nei primi due episodi, nel quarto avrà una relazione con la sua compagna di cella.

Cedere sull’argomento, porsi continuamente dei limiti ai concetti che possiamo o non possiamo esprimere, usare, o riderci sopra, non è necessariamente un bene per la civiltà. Perché di questo passo finiremmo col giustificare i delitti d’onore (“ha offeso la mia virilità”), le esecuzioni sommarie dei talebani (“Ha offeso la mia religione”), gli omicidi tra tifosi (“Ha offeso la mia squadra”) o le azioni dei terroristi. Perché il punto è questo: l’umorismo, la satira e la narrativa non guardano in faccia a nessuno. Nessuno. Ma l’offesa sta solo dalla parte di chi la percepisce e, questo mi duole rimarcarlo, negli ultimi 30 anni siamo diventati tutti molto più permalosi, stizzosi, ipersensibili, pronti a scattare come molle quando percepiamo una lesione della sacralità del nostro io.

Per quale ragione ci stiamo imbruttendo in questo modo? Cosa ci ha resi incapaci di ridere di noi stessi, dei nostri mostri sacri, dei nostri problemi, delle nostre tragedie? Vivere nel Simulmondo (come direbbe Francesco Carlà) ci ha fatti davvero regredire al punto di renderci incapaci di distinguere le regole del reale dall’illustrazione del fittizio?
Allora hanno vinto loro: quelli “che i videogiochi fanno male perché sono violenti“.

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