PS5? Il mio Digital Divide

Questa triste storia inizia nei primi mesi del 1982. Impossibile confondere l’anno, poiché gli avvenimenti che sto per raccontarvi precedono di poche settimane i mondiali di calcio che videro l’Italia campione del mondo, evento scolpito con un punteruolo di adamantio nei ricordi di chiunque abbia fatto più di due passi nel regno degli “anta”.

ps5 digital divide

Avevamo una TV in bianco e nero prodotta da Telefunken con mobiletto in legno e schermo da una manciata di pollici che anche senza ostentare scritte evocative come “Curved Display” o “AMOLED Technology” era decisamente curvo, figlio della tecnologia teutonica che tuttavia preferiva rimanere modesta e parlare con i fatti piuttosto che con slogan. A un certo punto il nostro amato televisore decise di sfatare il mito dei prodotti tedeschi che “durano una vita” e si rifiutò di accendersi, tra lo stupore e l’incredulità dei miei genitori, forti del fatto che il giorno precedente avevano visto il telegiornale senza problemi. Negli anni successivi, importanti studi condotti dai più brillanti ricercatori provenienti da dodici diverse nazioni dimostrarono che la capacità di un elettrodomestico di accendersi in un determinato istante non lo rende immune da avarie e malfunzionamenti nelle successive 24 ore.

importanti studi dimostrarono che la capacità di un elettrodomestico di accendersi in un determinato istante non lo rendeva immune da malfunzionamenti nelle successive 24 ore


Ma a quei tempi il pensiero dominante era diverso. Ieri funzionava? Allora deve funzionare anche oggi. Punto. Dopo una serata trascorsa a dare colpetti all’apparecchio in punti ritenuti strategici, si dovettero arrendere all’evidenza: quella sera, niente film. Non restava altro da fare che portare la TV in un bugigattolo che si presentava come una via di mezzo tra un laboratorio clandestino e una stanza degli interrogatori della Stasi dove un tecnico inquietante come il manutentore di Scary Movie avrebbe attaccato allo schermo un foglio con scritto in calligrafia incerta “non si accende” per poi riporla in mezzo a radio mezze smontate, macchine filocomandate che avevano visto tempi migliori, e giradischi polverosi. La prognosi era sempre riservata, ma a discrezione si poteva passare a vedere se c’erano novità dopo non meno di dieci giorni.

L’indomani, a scuola, tutti i miei compagni stavano parlando del film che una delle poche emittenti aveva trasmesso la sera prima, in un trionfo di: “hai visto quando è successo così”, “ti ricordi quando hanno fatto questo”, “che paura quando è arrivato quello”. Io non potevo far altro che ascoltare, senza capirci nulla, dato che non ero più un fortunato possessore di TV.

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